Le gioie si gustano nellâassenza
recensione di Ernesto Ferrero
dal numero di settembre 2014
Domenico Dara
BREVE TRATTATO SULLE COINCIDENZE
pp. 368, ⏠19
Nutrimenti, Roma 2014
Avevo letto il romanzo di Domenico Dara come giurato del Premio Calvino 2013, sul cui podio è poi finito. Se una rilettura è sempre la prova del nove della tenuta di un libro, Breve trattato sulle coincidenze non solo regge, ma addirittura ci guadagna. Ă un romanzo originale, solidamente strutturato, che si lascia abitare con piacere. Senza essere sperimentale, va controcorrente, in tempi dâintrattenimento trionfante e ricerca di consensi facili. Dellâautore sappiamo che è del 1971, calabrese di Girifalco, paese appenninico non lontano da Catanzaro, in cui è vissuto sino allâadolescenza; poi si è laureato a Pisa sulla poesia di Pavese. Da anni insegna in Lombardia, presumibilmente materie classiche, a giudicare dalla confidenza che ha con il mondo antico.
Nel romanzo si racconta di un postino solitario, anche lui di Girifalco, di cui apprenderemo il nome significativo solo allâultima riga, tenero e malinconico voyeur che si realizza nelle vite degli altri. PoichĂŠ ha il dono di imitare qualsiasi grafia, intercetta le lettere che deve consegnare e si impadronisce dei segreti dellâintero paese, ma a fin di bene, per reindirizzare il corso di tanti destini intervenendo come una sorta di materna provvidenza. Eccolo dunque rintuzzare le velleitĂ di seduttori da strapazzo, favorire agnizioni e lenire amori infelici, procrastinare lâannuncio di sventure, intralciare le losche speculazioni di un politico locale, una sorta di boss tra il democristiano e il mafioso, come tanti ne abbiamo visti.
Il postino è un regista occulto che ama operare nellâombra. Se tutti al mondo desiderano lasciare un segno, lui ha scelto di comportarsi âcome lâanimale astuto che cancella le orme sul terreno dopo il suo passaggio, non per paura di essere seguito, ma solo per avere la sensazione, e forse anche lâillusione, di non appartenere a questa terraâ. Preferisce la distanza alla contiguitĂ , convinto che le vere gioie si gustino nellâassenza. Non vuole una donna con cui vivere, ma âparticolari da guardareâ: si sente un âsegugio di tartufi pago di annusare prelibatezze che altri gusterannoâ; dunque ama donne angelicate, idealizzate, âscritteâ da lui medesimo con una sensibilitĂ essa stessa femminile, come rassegnata a un destino di subordinazione.
Il suo è un voyeurismo filosofico. Con quel che apprende dalle lettere intercettate e con lâosservazione di minimi eventi quotidiani del paese, cerca di dedurre grandi regole generali che presiedono alle invenzioni del caso. Vorrebbe ridurre il caos a cosmos, dare un senso possibile a vite destinate a perdersi nel limbo dellâinsignificanza. Per lui una coincidenza è come una âpiccola lente dâingrandimento che chiarisce il groviglio e riporta ordine e significato lĂ dove non sembra ci sia altro che confusione e accidentalitĂ â. Sembra di sentire il Gadda della Meditazione milanese acaccia del âpesciolino del probabileâ, cosĂŹ come gaddiano è il âglomerulo di sensazioniâ di cui si parla in unâaltra pagina. Certo, Dara non ha le ambizioni enciclopediche e sistemiche dellâingegnere, ma ne condivide le strategie espressive, in primo luogo lessicali, facendo ampio ricorso al dialetto natio, intarsiato nellâidioma nazionale ogni volta che garantisca un âdi piĂšâ di intensitĂ e pregnanza. CosĂŹ facendo si sottrae ai rischi del bozzetto e dellâidillio paesano, o del presepe, che pure è unâimmagine da lui stesso evocata.
La messa in distanza è garantita da una complessa quanto discreta attrezzeria letteraria, che comprende la predilezione per lâinciso gnomico-sentenzioso, lâuso settecentesco dei titoli descrittivi dei vari capitoli (Dâuna lettera che giunge da terra esplorata, dellâantica mano di Clotuzza che recide filami e dâun lemure nomato Salvatore Crisante), o lâironica invenzione di aggettivi compositi al modo di Omero: âCalogero cuoremigranteâ, âMaria occhioterrosoâ, âpostino animosfuggenteâ. Forse è anche un omaggio al Pavese che seguiva passo passo le traduzioni di Rosa Calzecchi Onesti. Cuore del romanzo è il mistero delle lettere dâamore incandescenti che la bella Teresa Sperarò torna a ricevere dopo ventâanni dal suo innamorato dâun tempo, condannato per un delitto odioso che non ha commesso, e poi scomparso. Una storia costruita ingegnosamente e di forte suggestione, degna di una novella di Pirandello, che da sola sarebbe bastata a fare un libro; e offre allâautore lâoccasione di una riflessione non banale sui rapporti tra vita e scrittura. Il paziente catalogo di coincidenze con cui il postino cerca di riempire la propria vita finisce per delineare unâaffettuosa (ma non complice) antropologia della terra natale, investigata nei suoi detti e motti, nel suo immaginario, nella fissitĂ consolatoria dei suoi riti, nelle sue culture materiali. Siamo nel 1969, alla vigilia dello sbarco americano sulla luna, e la Calabria è ancora quella un poâ arcaica di Corrado Alvaro, che prova ad annusare la modernitĂ senza crederci troppo. Ă anche questo un modo per restituirci un Sud che non sia soltanto pittoresco o malavitoso. Un Sud non immemore dellâimprinting greco, i cui cieli restano popolati da dei con i quali ci si può ancora confrontare.
E. Ferrero è narratore, saggista e traduttore