Letizia Pezzali – Lealtà


L’amore al tempo delle big bank

recensione di Mario Marchetti

dal numero di novembre 2018

Letizia Pezzali
LEALTÀ
pp. 195, € 17
Einaudi, Torino 2018

Letizia Pezzali - LealtàLibro di rara intelligenza, Lealtà di Letizia Pezzali (già finalista alla XXIV edizione del Premio Calvino con l’ottimo L’età lirica, pubblicato nel 2012 da Dalai), un’intelligenza condensata nell’icasticità di espressioni che scoccano infallibili verso il bersaglio. Osservazioni spiazzanti, gelide ironie costellano in ogni sua piega un testo che non vuole essere conciliante. La noia morbida di un coniugio di lungo corso, un’insalata piena di ingredienti superflui come quelle proposte nei protocollari menù dietetici, uomini-mariti che comunicano erosione dello spirito, la macchina elettrica come organismo con le ossa vuote, le foto felici che si esibiscono ad amici e conoscenti o l’ironico titolo di un’inventiva tesina d’economia: L’umanizzazione come motore della crescita nel settore degli animali domestici. Perfetta è la descrizione – ai tempi della Brexit − dello scenario principale, la Londra di Canary Wharf (cap. 2), il futuribile centro finanziario costruito sulle rive del Tamigi annientando il preesistente brulicame dickensiano. Un luogo rarefatto, dove di notte si possono anche incrociare volpi: “Un plastico vivente, una fantasia immobiliare, un desiderio urbanistico avverato senza particolare spargimento di realtà, senza contaminazioni con ciò che sta intorno”. Come perfetta è la descrizione dei comportamenti delle persone che ci lavorano o per meglio dire ci consumano la loro energia vitale. Persone umane − ma anche ingranaggi fungibili di un meccanismo algoritmico, insieme metafisico e loico − il cui unico credo è quello nella religione razionalizzata dell’economia: “Gente che conosceva il denaro, che lo frequentava”. Tra queste Giulia, che ha trentadue anni e dice di sé “Io sono fatta della stessa materia dei mercati”; Giulia, protagonista di un’ossessione amorosa che l’accompagna da quand’era studentessa a Milano e aveva conosciuto un personaggio circonfuso della gloria delle banche d’affari londinesi e bello, ai suoi occhi, della loro bellezza, Michele. Ne scaturisce una liaison fatta di vuoti e di pieni, con una Giulia, nella fase aurorale, incontenibile nel bisogno di coinvolgere coi suoi messaggi l’amante affascinato ma elusivo. La loro è una passione triste, fatta di tenui derive erotiche, ma soprattutto, da parte di Giulia, è una tenace figurazione mentale che solo verso il finale evolverà in un precario equilibrio di poteri nel ricordo (i due dopo un fuggevole nuovo incontro a Milano non si vedranno più), la cui parola chiave, pronunciata da Michele, sarà “lealtà”. Si badi, non amicizia né amore. E con questa parola Michele esce infine dal suo profilo in semitono: come quello peraltro di tutti i personaggi maschili, escluso Seamus, genio dei mercati, che in un mondo di cravatte regimental si prende di tanto in tanto la libertà, da umorismo pirandelliano, di indossare parrucche, reggiseno e tacchi a spillo. Ed è proprio Seamus, all’inizio, che dice a Giulia “A te, almeno, restano gli uomini”, mettendo in moto la narrazione.

Giulia, personaggio di cristallina nitidezza, vero ed emblematico a un tempo, è un’apolide del sentimento e dell’habitat: le sue esperienze sessuali, al di là dell’ossessione per Michele, sono seriali e performative, senza particolare coinvolgimento, così come non ha sinuose radici né a Londra né a Milano e frequenta spazi e luoghi cosmopoliti, come aerei, alberghi di lusso, resort sardi, anche qui senza particolare abbandono. Tutto traspira apolidismo, su tutto aleggia un senso di freddezza, un diaframma si frappone tra soggetto e oggetto. È la sensazione di non appartenere veramente a nessun posto e a nessun ambiente, o di essere ovunque fuori posto, e non a caso frequenti sono i richiami al Fenoglio della Paga del sabato: Ettore, il protagonista del romanzo, è anch’egli uno spostato, per quanto in una campitura esistenziale profondamente diversa. Una sfida ardita quella di Letizia Pezzali: tentare di cogliere, di individuare omologie tra il sistema finanziario e il sistema dei sentimenti (e dei comportamenti). Sfida che ricorda il DeLillo dello straordinario Cosmopolis. E, sicuramente, tratto comune ai due sistemi, oltre all’apolidismo in declinazione allargata (così come Giulia non ha luogo, la big bank non ha neppure ethos e opinioni: “Non ha nulla contro nulla”), è l’ossessività, che trova un indovinato traslato musicale in Vessazioni di Satie con le sue 840 ripetizioni del rapido e misterioso motivo iniziale, sul cui rumore di fondo si consuma in un androne l’ultima tangenza sessuale tra Giulia e Michele. Come chi lavora a Canary Wharf non ha altro pensiero se non ottimizzare il guadagno, così Giulia, almeno per la sua metà non finanziaria, è preda connivente dell’ostinata costruzione mentale di un fantasma amoroso.
Ma mercati ed erotismi non si lasciano fissare, sono protei sfuggenti a ogni presa.