Samuela Salvotti – Concepiti in ventri di regine

L’incredibile avventura del dolore

recensione di Silvia Nugara

dal numero di febbraio 2018

Samuela Salvotti
CONCEPITI IN VENTRI DI REGINE
pp. 150, € 15
Liberedizioni, Brescia 2017

Samuela Salvotti - Concepiti in ventri di regineCi sono voluti vent’anni perché, dopo aver vinto la IX edizione del premio letterario “Italo Calvino”, Concepiti in ventri di regine di Samuela Salvotti fosse finalmente dato alle stampe, presso un piccolo editore bresciano. È stato certamente necessario del tempo perché nel mercato editoriale ci si accorgesse che, anche dal punto di vista letterario, “invecchiare è straordinariamente interessante”, come ha sottolineato in diverse occasioni Luisa Ricaldone citando Doris Lessing (“L’Indice” 2008, n. 9, e poi nel recente Ritratti di donne da vecchie, Iacobellieditore, 2017). Il romanzo di Salvotti, infatti, narra dal punto di vista della sua protagonista, Regina, il suo ultimo giorno di vita. Sono ventiquattr’ore nell’arco delle quali una serie di eventi porta l’anziana donna a ripercorrere la propria esistenza e a rivalutarla completamente.

Il pretesto narrativo è quotidiano: la madre non risponde alle chiamate, i figli si preoccupano e arrivano a far sfondare la porta dell’appartamento trovandola viva e vegeta ma sorda al punto da sorprendersi di tanto clamore. Regina è quindi costretta a passare alcune ore con quei “fanciulloni tristi” dei suoi figli per cui non nutre alcuna stima né affetto: Giacinto e Rosmarina. Il primo, prete, è obiettivo degli epiteti più inclementi da parte di una madre ostile alla fede e ben lungi dallo stereotipo della vecchina di chiesa: “mastodontico tacchino”, “donabbondiano”, “mosciatore di erre”, “signore dalla calvizie smaltata, dal sudore proletario e dalla saliva cotonosa”. La seconda è medico e porta un nome che rivela quanto poco, sin dalla nascita, la madre l’avesse presa sul serio: Regina ne ricorda impietosa la goffaggine di bambina ebete e bulimica divenuta con il tempo donna affamata di danaro che nell’ora della fine la madre crede avvicinarsi solo perché desiderosa di sottrarre al fratello il boccone migliore della cospicua eredità. La protagonista, infatti, possiede un quadro di enorme valore raffigurante sant’Agostino. Il romanzo alterna passato e presente ricostruendo le incredibili vicende che legano la donna al quadro. Regina ha origini modeste, è rustica, impervia: “Ero una vecchiastra a sedici anni, l’eterna tristezza addosso, facevo parte di quell’umanità negativa, cerbera, invidiosa dei giovani e dei peccatori”. Cresce analfabeta in un mondo contadino e patriarcale in cui nascere femmine è una condanna alla sottomissione e al giudizio.

La sua prima ribellione sta nel concedersi a un uomo fuori dal matrimonio: “Diceva che aveva avuto un coito con me, ma io ho sempre pensato che se lo fosse dato da solo”. Ma subito si pente e trova un uomo pio disposto a sposarla con cui spera di redimersi conducendo una vita scevra dai piaceri della carne.
Con il marito Regina si unisce otto volte e per otto volte rimane incinta. La prima nascita è raccontata con grande forza in pagine capaci di rendere la sorpresa di “una felicità inaudita, sconvolta, sconfinata”. Ancora rapita nell’estasi dell’innamoramento per la sua primogenita, Regina si vede scagliata negli inferi del dolore quando a due anni la piccola muore. A quel punto tutta la vita della donna si impernia su un solo desiderio: ricongiungersi un giorno con la figlia defunta ed esserle seppellita accanto. Ciononostante, Regina partorisce un secondo bambino e scopre di poterlo amare intensamente ma le creature concepite nel suo ventre hanno il destino segnato: “Vivevano fino ai due anni, poi il cuore si spaccava come una mela”.
La seconda e vera ribellione di Regina giunge allorché decide di dedicarsi allo studio per emanciparsi da un’ignoranza vissuta come “cieca schiavitù” ma anche per ragioni legate a un’idea quasi stregonesca dei libri come mediatori tra cielo e terra in cui trovare una risposta al dolore e forse un modo per avvicinarsi ai morti. Lo studio sviluppa in Regina doti che le permettono di affermarsi nel campo dell’arte e di avere molto successo. È a quel punto che usa tutto il danaro che ha per comprare il dipinto affisso nella parrocchia dove furono celebrati i funerali dei suoi figli.

Con lingua pastosa e tragica, capace di rendere sontuoso anche l’ordinario, Salvotti non si limita a ricomporre i frammenti di una memoria ma trasforma quest’ultima in uno dei sensi con cui il soggetto setaccia l’esperienza. Concepiti in ventri di regine è un Vollendungsroman, un romanzo della fine, in cui proprio il limitare del precipizio rappresenta un luogo cruciale di trasformazione del rapporto tra il soggetto narrante e il mondo. La materia plastica e mutevole della scrittura restituisce così il rapporto in divenire con il tempo e le emozioni di una protagonista che la maturità ha reso infine pronta per capire la vita e l’amore. Il romanzo di Salvotti è dunque l’avventura di un’intimità mai domita che, dopo una trafila incredibile di dolori, si scopre ancora capace di amare e di aprirsi a una gioia dagli echi nietzschiani: “la gioia eterna del divenire, aldilà del terrore e del dolore, quella gioia che include anche la gioia di distruggere”.

silvia.nugara@unito.it

S Nugara è dottore in scienze del linguaggio e specialista in studi di genere