Peter Kuper e il graphic novel Rovine

Il viaggio dal Canada al Messico della farfalla monarca

Intervista a Peter Kuper di Chiara Bongiovanni

dal numero di giugno 2017

Il suo lavoro di illustratore e fumettista è molto legato alla rivista “World War 3” che ha fondato nel 1979 insieme al suo amico e collega Seth Tobocman. Che cosa significa per lei fare giornalismo con i fumetti e la satira? Potremmo considerare Rovine (ed. orig. 2015, trad. dall’inglese di Vanni Santoni, pp. 328, € 34,50, Tunué, Latina 2017) un graphic novel politico?

Il giornalismo è un campo con cui i fumetti sono particolarmente ben attrezzati a confrontarsi. Puoi farci entrare un pizzico di umorismo e di satira e produrre salti nel tempo in modo fluido. Non c’è bisogno di troupe, di cameraman e di attrezzature costose e ne abbiamo grandi esempi, come il lavoro di Joe Sacco che ha creato nuovi approcci al giornalismo. Rovine è un po’ di tutto. Ci ho buttato dentro materiali di ogni genere – quel che si dice un kitchen sink – e ho cercato di sfruttare tutte le possibilità formali. Parlo di temi ambientali come di politica e di storia del Messico. Dunque, sì, c’è dentro la politica, ma ha a che fare anche con le relazioni e il desiderio. Come dicevo, è proprio un kitchen sink

Si è detto che che la storia raccontata in Rovine è molto legata alla sua vita: scelte personali, qualche anno fa, l’avevano portato in Messico, proprio a Oaxaca.

Si, con mia moglie e mia figlia siamo andati a vivere in Messico nel 2006 per due anni e questo ha ispirato gran parte del racconto di Rovine. Ero vissuto all’estero, in Israele, quando mio padre prese un anno sabbatico e ci fece trasferire lì nel 1969. Questa esperienza ebbe un’enorme importanza per lo sviluppo del mio rapporto con il mondo fuori dagli Stati Uniti. La prospettiva di un outsider è utile in generale, e specialmente per un artista. Aiuta a esplorare, ad apprezzare e abbracciare le differenze nelle culture e nei dettagli del mondo che ti circonda.

In alcune interviste ha detto che c’è un po’ di lei sia in George che in Samantha, i due personaggi principali. Potremmo dire che in un certo senso rappresentano le sue due anime?

Decisamente. Quando cominciai il libro li conoscevo fino a un certo punto, ma dopo aver passato alcuni anni a lavorare sulla storia, ho trovato più sfaccettature dei loro caratteri e di me stesso in loro. Ho fatto l’esperienza dello scrittore che li vede prender vita nella pagina e “raccontare” a me cosa volevano dire in una determinata situazione, dando l’impronta al dialogo. Mi piacevano e dispiacevano nel loro manifestarsi, proprio come io stesso a volte mi piaccio e dispiaccio.

George, anche attraverso la figura immaginaria del giornalista Alejandro Apolsky, finisce per essere coinvolto nello sciopero degli insegnanti. Dal momento che lo sciopero, e il suo drammatico epilogo, sono fatti storici accaduti nel 2006, a lei è capitato di entrare in contatto con gli scioperanti o è stato essenzialmente un osservatore esterno?

Seguivo soprattutto dall’esterno perché parlavo pochissimo lo spagnolo quando ero appena arrivato, dunque una comunicazione diretta era impossibile. Fu attraverso i miei disegni che ebbi i maggiori contatti. Quando li disegnavo, gli scioperanti tendevano ad essere dapprima sospettosi, poi interessati, e infine veramente amichevoli. Qui sta la grande differenza tra il disegno e la fotografia. Si può scattare una rapida istantanea e passare ad altro. Con un disegno sei impegnato per un mucchio di tempo, durante il quale c’è la possibilità di familiarizzare. Era come se io creassi un legame con loro per avervi dedicato del tempo.

Oltre a George e Samantha, il terzo protagonista di questo fumetto è sicuramente la farfalla monarca, seguita nel suo viaggio all’interno di tavole mute. Qual è il ruolo di questo personaggio metaforico rispetto alla storia nel suo complesso?

La metafora della monarca migrante ha anche una sua reale concretezza. Il viaggio dal Canada al Messico e tutti i pericoli che la farfalla affronta sono gli stessi incontrati dagli umani in un ambiente compromesso, che non è affatto una metafora. Gli insetti attraverso tutto il libro creano questi parallelismi naturali con la condizione umana e con le minacce a cui ci troviamo di fronte noi tutti, a gradi diversi, per sopravvivere. Per me è stata anche un’occasione per esplorare l’altro mio amore al di fuori dei fumetti, l’entomologia.

L’insegnamento, le lezioni e le discussioni di cui ha avuto esperienza per molti anni insieme ai suoi studenti hanno giocato un ruolo nella genesi e nella realizzazione di Rovine?

Uno degli aspetti positivi dell’insegnamento è che continua a far ricordare a me stesso tutti i modi diversi di affrontare questa forma d’arte. È talmente complicata che richiede in qualche misura uno studio permanente per rimanere freschi e tenere a mente tutte quelle possibilità. Raccontare a qualcun altro il suo funzionamento mi costringe a considerare e riconsiderare ogni aspetto del mio stesso lavoro.

È ovvio, anche per un profano, che Rovine sia un’opera grandiosa e complessa. La cura dei dettagli, l’uso narrativo/emozionale del colore e dei diversi stili grafici, la forma e la grafia delle nuvolette (rettangolari per George, frastagliate per Alejandro, arrotondate per Samantha) sono magistralmente usati per definire differenti situazioni e personaggi. Ricordano Asterios Polyp di David Mazzucchelli, che è anche un suo collega alla Scuola di Arti Visive. È un’idea sbagliata o c’è effettivamente una sorta di connessione estetica fra i due novel?

Asterios Polyp è tra le mie opere preferite nel genere dei fumetti e l’ho guardata molte volte durante la lavorazione di Rovine. L’opera di Mazzucchelli richiamava alla mia mente tutti gli approcci visivi che si possono assumere nella narrazione, compreso ciò che può esserne lasciato fuori. Io avevo usato forme e grafie variabili delle nuvolette nel mio adattamento della Metamorfosi e di altre opere, ma non mi fece male esservi nuovamente richiamato da Asterios Polyp. E poi entrambi i libri non rientrano propriamente in una categoria ovvia – cosa di cui in fondo sono felice, ma che ha anche reso molto difficile farli pubblicare. Uno della ventina di editori ai quali mostrai i miei abbozzi mi chiese a quali altri libri assomigliasse Rovine, e io gli dissi: “Assomiglia ad altri libri che non assomigliano agli altri libri.Per dire, come Asterios Polyp”. Proprio una bella promozione! Lui non ci stette.

Nel suo lavoro di illustratore, come nei vari adattamenti di opere di Kafka da lei pubblicati nel corso degli anni, c’è un forte utilizzo del contrasto in bianco e nero di chiara matrice espressionista. In Rovine, tuttavia, lo stile è più delicato e i colori sorprendenti. È un tributo alla luce del Messico o invece una scelta artistica legata al corpus narrativo del graphic novel?

Soprattutto la conseguenza del tempo passato in Messico. È disegnato in quel modo perché significativo anche per la narrazione, ma probabilmente fui attratto verso quella storia perché corrispondeva al mio orientamento artistico. Dopo il mio ritorno nel 2008 attraversai un periodo fluttuante fra una serie di approcci creativi. Avevo passato molti anni usando mascherine e pittura spray che erano perfettamente in linea con la presidenza Bush. Come George W. Bush, trovai sia che era troppo tossico continuare a lavorare in quella maniera sia che non ne potevo più di quella forma artistica! Ho voluto portare nel mio lavoro gli aromi e i colori che ritrovavo nei disegni dei miei album del Messico, ma non c’era nessun approdo chiaro. (Curiosamente questo corrispondeva al mio stato d’animo sotto Obama). Niente di buono per l’illustrazione politica, e mi sentivo un po’ perso. Il ritorno dai viaggi, specialmente se sono passati degli anni, è sempre difficile. Rovine fu l’apice degli approcci espressivi che trovai in Messico e ciò che mi rimise in cammino. Ora sto lavorando a una nuova antologia di Kafka, dunque sono tornato all’approdo aspro, un’opera in bianco e nero che sembra appropriata per la kafkiana era Trump!