Han Shaogong – Il dizionario di Maqiao | Libro del Mese

L’umanità tra le fiamme della Cina rieducata

di Martina Codeluppi

Han Shaogong
Il dizionario di Maqiao
ed. orig. 1996, trad. dal cinese di Patrizia Liberati e Maria Rita Masci
pp. 400, € 22,
Einaudi, Torino 2021

Benvenuti a Maqiao, dove le parole e i loro significati si rincorrono, si scontrano, si attorcigliano e si accarezzano, per poi stendersi davanti agli occhi, a formare il ritratto di una Cina come nessuno l’ha mai raccontata prima. Han Shaogong, classe 1953, una delle voci più significative della letteratura contemporanea cinese, vede tradotta in italiano quella che è considerata la sua opera più significativa. Durante gli anni della Rivoluzione culturale, l’autore viene inviato in un remoto villaggio di campagna nella Cina meridionale per essere “rieducato attraverso il lavoro”, come prevedevano le direttive maoiste del tempo. Il dizionario di Maqiao è un viaggio attraverso l’esperienza del “giovane istruito” Han Shaogong, che tenta di decifrare la realtà attraverso l’esplorazione del linguaggio, dando vita a un esperimento formale e narrativo in grado di far emergere la tridimensionalità di una Cina ormai sepolta da decenni di polvere e detriti che la modernizzazione si è lasciata alle spalle.

Come recita il titolo stesso, il romanzo imita la struttura del vocabolario e si sviluppa attraverso una serie di voci, qualcuna racconta una storia, qualcun’altra costituisce una breve digressione, ma tutte si intrecciano tra di loro come fili che finiscono per comporne il tessuto narrativo. Lo sconcerto del giovane di città che si ritrova catapultato nel contesto rurale è accentuato dallo smarrimento provocato dall’impatto con la lingua che, plasmata dagli aneddoti del posto, a Maqiao assume sfumature inaspettate, talvolta quasi assurde. La scienza è la quintessenza della pigrizia, essere “svegli” è sinonimo di stupidità e, anziché morire, ci si “disperde”. In questo gioco di sovrapposizioni, le parole sono come una fibra grezza, la materia prima da cui la narrazione prende vita e a cui essa stessa aspira a fare ritorno, creando una sorta di dizionario etimologico al contrario che, anziché risalire alla genesi delle parole, è in grado di raccontare al lettore gli episodi che hanno dato origine alla lingua di Maqiao, finendo per lasciare un’impronta indelebile nella sua storia. Il romanzo ripercorre gli episodi salienti che hanno marcato i sei anni trascorsi in rieducazione dal giovane istruito Han Shaogong, dipingendo le storie di una serie di personaggi che animano la vita del villaggio, scandita da turni di lavoro, riti, scandali e morti misteriose, ma senza dimenticare di soffermarsi su dettagli apparentemente fini a sé stessi che costituiscono, in realtà, una parte fondamentale della sua narrazione. È Han Shaogong stesso a esprimere la sua avversione verso i romanzi “tradizionali”, che riducono la trama a una linea per lo più piatta, povera di digressioni sulle cose “senza significato”. In effetti, ci sono il segretario del partito del villaggio, il contabile, il mendicante arricchito, la “donna-sogno” e quella dal profumo pericoloso, ma anche i fiumi, gli spiriti, le “zanzare dell’esercito” e gli “aceri fatati”. Il dizionario di Maqiao appare come un ritratto in controluce che, da un lato, traccia i contorni di un’ambientazione cara alla letteratura cinese di fine Novecento ma, dall’altro, ci permette di scorgere la complessità dietro la vita rurale nella Cina della Rivoluzione culturale, mettendone a nudo gli aspetti più triviali, più irrazionali e più umani. È nelle parole e anche, paradossalmente, nella loro mancanza che l’umanità e la bestialità dell’essere umano trovano la loro origine più profonda. Nonostante la maschilizzazione ufficiale del linguaggio in uso a Maqiao, l’autore mette in risalto le sfumature femminili nascoste nella terminologia legata alla sfera affettiva, ma non manca di sottolineare il vuoto linguistico che si è creato attorno all’atto sessuale, affidando alle allusioni e alle volgarità il compito di indicare ciò che, in realtà, costituisce un pilastro della natura umana ed è sinonimo di conoscenza del corpo. Attraverso tale abdicazione linguistica, l’essere umano rinuncia al controllo e ammette la propria sconfitta.

Tuttavia, nel narrare l’importanza dei significati, Han Shaogong non ha paura di farci sentire il loro potere, coerentemente con lo stile che da sempre lo contraddistingue. L’esecuzione di Sanmao – il bue ribelle di cui soltanto qualche coraggioso osava servirsi – è uno dei passaggi più toccanti del romanzo, in cui la vividezza dell’espressione scava un solco nella sensibilità del lettore, ricreando una scena estremamente cruda e reale, ma circondata da un’aura di solennità disarmante. Chiaramente, nel caso di un’opera legata a doppio filo con la lingua che la compone, il compito della sua traduzione costituisce una sfida notevole. Il lavoro magistrale di Patrizia Liberati e Maria Rita Masci restituisce un testo che è in grado di prenderci per mano e accompagnarci nell’esplorazione di Maqiao, aprendo uno spiraglio sulla lingua cinese anche ai curiosi che ne sono completamente digiuni e riflettendo la profondità della narrazione nella pluralità dei livelli di lettura. Difatti, Il dizionario di Maqiao è un romanzo che descrive una tripla evoluzione. C’è quella del protagonista che, dopo l’impatto iniziale e gli anni trascorsi nel villaggio, continua a farvi ritorno tramite una serie di salti temporali (lo stesso concetto di tempo, a Maqiao, viene messo in discussione) e a riosservare con occhi più maturi le dinamiche che hanno segnato la sua giovinezza, quella del villaggio stesso, che cambia col passare degli anni, ma c’è anche quella del lettore che, procedendo voce dopo voce, capisce, impara e assimila, ritrovandosi alla fine in grado di contestualizzare e decifrare in autonomia il linguaggio di Maqiao e, di conseguenza, gli episodi che ne scandiscono la vita quotidiana. La resa in italiano di un tale esperimento formale e narratologico richiede una particolare attenzione e precisione, quasi a costituire un ulteriore richiamo all’importanza della rettificazione dei nomi nella tradizione confuciana, per rendere la stratificazione di un linguaggio che, talvolta spinoso, talvolta vellutato, è strumento di espressione ed essenza stessa del romanzo.

Che cosa ci resta alla fine del viaggio? Il sangue mescolato al vino, il sudore che cola lungo la fronte, il vociare scatenato delle liti di paese, l’emozione di una mano sfiorata nel buio di una cava. Malgrado le numerose distinzioni, tra la “vita pregiata” dei giovani e quella “dozzinale” dei vecchi, tra le “fiamme alte” di chi esercita l’intelletto e quelle “basse” di chi crede ai fantasmi, tra chi possiede lo “status di parola” e chi no, la filigrana del Dizionario è l’umanità dei suoi personaggi, che trascende le distinzioni e si impone davanti a esse. Dopo aver ricomposto le vicende del gruppo di giovani istruiti attraverso la giustapposizione di istantanee ricostruite a partire dai singoli lemmi, il protagonista-narratore resta impigliato nel fascino di Fangying e ci racconta di un’antica attrazione destinata ad essere soffocata dalla vita. Pur abitando una lingua in cui il dolore si fonde con la bellezza, Han Shaogong, infine, sembra deporre le armi del filologo ed arrendersi all’inenarrabile eloquenza dei suoi “mmm”.

martina.codeluppi@uninsubria.it

M. Codeluppi insegna letteratura cinese contemporanea all’Università dell’Insubria