Alessandro Piperno – Dove la storia finisce

Un’attualità incontrollabile

recensione di Diego Stefanelli

dal numero di aprile 2017

Alessandro Piperno
DOVE LA STORIA FINISCE
pp. 277, € 20
Mondadori, Milano 2016

Alessandro Piperno - Dove la storia finisceL’ultimo libro di Alessandro Piperno mostra la volontà dell’autore di inaugurare una nuova fase della propria scrittura. La “storia” del titolo è anche quella della prima parte di una carriera. Piperno stesso ha dichiarato di essere impegnato nella stesura di un nuovo lavoro: alludere a un libro in corso di scrittura a proposito di uno appena scritto, indica entusiasmo per la nuova fase e forse anche una certa produttiva insoddisfazione verso l’opera che l’ha inaugurata. Il modo migliore per giudicare Dove la storia finisce è allora considerarlo all’interno del sistema narrativo dell’autore, negli scarti e nelle continuità con i libri precedenti, tenendo presente soprattutto Con le peggiori intenzioni, l’esordio con cui la storia (di Piperno scrittore) è iniziata.
Dove la storia finisce parla di un ritorno e delle sue conseguenze. Matteo Zevi, inaffidabile poligamo, ritorna a Roma dopo sedici anni passati a Los Angeles, dove era fuggito per i debiti contratti con uno strozzino. I figli, avuti da due mogli diverse, si mostrano nei suoi confronti molto meno affettuosi di quanto si sarebbe aspettato: Martina, dottoranda in giurisprudenza, sposata con il rampollo di una ricca famiglia, è in preda a una crisi matrimoniale (ed esistenziale) inarrestabile; Giorgio, proprietario di un ristorante panasiatico, ossessionato dalla perfezione degli affari, si rifiuta perfino di vederlo, terrorizzato all’idea che quello strano padre, sopportabile (e amabile) solo a distanza, possa mettere in subbuglio la sua esistenza. Solo la moglie Federica (la madre di Martina) non ha mai smesso di attenderlo.

Il tempo non porta consiglio

Al ritorno di Matteo tutti si scoprono immaturi come anni prima: il tempo non ha portato consiglio per nessuno e ognuno è roso dalle stesse inquietudini di sempre. Matteo per primo, disastrosamente disinteressato alle conseguenze delle proprie azioni (e dei propri appetiti), regredisce “all’età in cui gli amici sono più importanti delle ragazze”. Anche Federica, nonostante i molti anni trascorsi, è fissa nella stessa illusione di un tempo. Solo i figli sembrano trovare, attraverso percorsi più o meno accidentati, una loro via alla maturità: Giorgio con la nascita di un figlio sembra realizzarsi in quanto padre; Martina, attraverso una crisi profonda, non può evitare di fare i conti con se stessa. Eppure, un tragico evento, per il quale nessuno di loro era preparato, li costringe a nuovi, inattesi cambiamenti.

I personaggi del nuovo libro hanno molto di quelli del primo (si pensi solo a Matteo Zevi, che è un Bepy Sonnino meno energico e più malinconico). Non sono ripetizioni, ma costanti che si ripetono con significative variazioni. Una delle novità più interessanti è la voce narrante. Il punto di vista in Piperno riveste da sempre un ruolo essenziale. Se Con le peggiori intenzioni è costruito intorno a una prima persona offesa e rancorosa; se ne Il fuoco amico dei ricordi si ha una terza persona che è in realtà una prima persona camuffata (una “parodia” di narratore onnisciente); in Dove la storia finisce la terza persona assume, in ogni paragrafo, il punto di vista di un personaggio. Non si tratta di polifonia (o di coralità), ma di una narrazione empatica, che si sforza di comprendere le ragioni dell’altro (perfino di un Matteo Zevi). Forse proprio in tale perdita di un punto di vista fisso e nell’accettazione serena della pluralità sta la sfida che Piperno ha lanciato a se stesso. L’espediente permette inoltre di mimare le movenze mentali di una porzione di società romana, e le sue manie espressive (come attestano i molti anglismi modaioli disseminati nel libro, che convivono con stereotipate espressioni di registro basso).

A quale “storia” allude il titolo (tratto da una canzone di Isaac Slade)? Nelle storie dei personaggi, nei loro faticosi percorsi di regressione o di crescita, interviene la storia con inedita violenza: non quella che da sempre fa da sfondo ai romanzi di Piperno, ma l’attualità più incontrollabile (e incomprensibile). Pur senza svelare alcunché del finale, nelle ultime pagine avviene qualcosa di inatteso e spiazzante: una storia è finita, traumaticamente, e si ignora cosa comincerà. I personaggi (e con loro il lettore) non sanno quale sarà la propria reazione di fronte a quel qualcosa e che ne sarà di quel gruzzolo di maturità raggranellato a fatica. Per come finisce, per la profonda discrepanza tra il “prima” e il “dopo”, il nuovo romanzo di Piperno lascia la sensazione che nulla sia finito veramente, che tutto in realtà debba ancora cominciare. È come se l’autore stesso, a suo agio nel “prima”, si trovasse spiazzato nel “dopo”. Eppure, Piperno è riuscito abilmente, rimanendo fedele a se stesso e ai propri temi, a prepararsi un nuovo spazio narrativo dalle grandi potenzialità, i risultati della cui esplorazione si attendono con interesse.

diego.stefanelli01@universitadipavia.it

D Stefanelli è dottore di ricerca in filologia moderna