Emiliano Poddi – Le vittorie imperfette

Il peso del mondo su spalle di giovani atleti

recensione di Matteo Fontanone

Emiliano Poddi
LE VITTORIE IMPERFETTE
pp. 291, € 17
Feltrinelli, Milano 2016

È curioso come Emiliano Poddi, per il suo ottimo esordio in Feltrinelli, abbia scelto un titolo declinato al plurale, Le vittorie imperfette. In realtà questo romanzo è incardinato su un’unica, ingombrante e controversa vittoria: quella della Russia sugli Stati Uniti, finale del torneo di basket alle Olimpiadi di Monaco ’72, pochi giorni dopo il massacro degli atleti israeliani.
In bilico tra lo storytelling sportivo che tanto piace negli ultimi anni e l’ormai consolidato ricorso all’autofiction, Poddi riesce nell’intento di ridare vita a una partita talmente paradossale che se ne potrebbe mettere in dubbio l’esistenza. Ma sotto la cortina di ferro non era impossibile che il tempo tornasse indietro due volte, come successe in quella finale, o che pochi mesi prima, a Reykjavik, un poliziotto islandese prendesse campioni di aria in un sacchetto durante un’altra finale, questa volta di scacchi, guarda caso ancora tra USA e URSS.

Alla narrazione autobiografica si alterna quella, frutto della fantasia dell’autore, che segue le vicende e i pensieri più intimi dei due protagonisti della partita, i numeri quattordici Kevin Joyce e Sasà Belov. Il primo, l’americano, si preparava alle Olimpiadi nel ritiro di Pearl Harbor, luogo-simbolo della più grande disfatta americana; il secondo, il russo, faceva lo stesso ma a Stalingrado, santuario a cielo aperto della resistenza sovietica. Nel dar forma alle esistenze di chi prima non era nient’altro che una figura sfocata in un video, Poddi tira fuori il meglio. Dopo quella partita, Joyce non ha mai più davvero ripreso a vivere e narcotizza il suo trauma visitando compulsivamente musei: conoscerà Jacqueline, la sua salvezza, grazie alla solitudine che si nasconde nei quadri di Hopper. Belov, che della finale segnerà il canestro decisivo, tornerà in patria accolto da eroe ma, vittima della depressione, contemplerà passivamente il suo fallimento.

Nel corso del romanzo l’autore svela i perché della sua ossessione per una partita che, a dirla tutta, la storia ha dimenticato molto in fretta. Racconta dei tornei di Cisternino, quando sul finire degli anni ’70 la nazionale russa e quella americana si sfidavano sul campetto della parrocchia di una piccola cittadina pugliese. Parla dell’amore tra i suoi genitori, entrambi appassionati cestisti, reso possibile per uno scherzo del destino proprio dal risultato della finale. Poddi ricrea un universo parallelo dove ogni segno conduce a quella partita, architetta un mondo governato da una geometria cosmica per cui ogni singola molecola di materia è riconducibile a USA contro URSS, madre di tutte le battaglie.

Da evento sportivo a materiale epico il passo è breve: per chi l’ha giocata, quella partita di basket è diventata ragione di vita, per l’autore addirittura una sorta di compleanno ante litteram. Una partita che per la delegazione americana è stata più che uno psicodramma, una tragedia in piena regola. Certo, di tragedia se n’era consumata una vera soltanto pochi giorni prima. Ma per chi c’era, Poddi lo sostiene con candore, quella finale aveva assunto proporzioni gigantesche, come se quei giovani atleti si fossero ritrovati di punto in bianco il peso del mondo sulle spalle: “Non uno di essi sminuirà ciò che ha vissuto in campo sostenendo che i veri drammi sono altri, che in fondo era solo una partita, cosa vuoi che sia rispetto alla morte di undici persone. Fortunatamente a nessuno dei reduci di Monaco passerà mai per la testa di dire una stupidaggine del genere”.

matteo.fontanone@gmail.com

M. Fontanone è critico letterario