Marino Magliani – L’esilio dei moscerini danzanti giapponesi

Danza tra le sponde delle ripartenze

di Pier Franco Brandimarte

dallo Speciale Estate 2017

Marino Magliani
L’ESILIO DEI MOSCERINI DANZANTI GIAPPONESI
pp. 180, €14,50
Exòrma, Roma 2017
disponibile su IBS

Marino Magliani - L'esilio dei moscerini danzanti giapponesiPassare nel mare di mezzo tra le parole e le cose e farsi una casa, è ciò che cerca di fare il personaggio di questo libro. Ecco il grande viaggio vale a dire l’esilio, il paese senza ritorno, il paese dai mille ritorni. La corrente più forte scorre dalla Liguria all’Olanda. Il primo è un entroterra petroso, contadino, da cui il mare si sogna e non si vede. Ci abita un narratore bambino e poi ragazzo, ci prepara e affina gli strumenti del naufragio che sono un atlante immaginario, una bussola periferica, un amore sfiorato. All’altro estremo il narratore è invecchiato, esule definitivo, tra dune marine e poeti in incognito. La corrente trasporta personaggi, luoghi e tempi che per virtù della composizione sono derive e parti integranti della storia. Capitoletti e paragrafi sono nugoli, sciami vibranti come suggerisce il felicissimo titolo col nome di un insetto effimero, esotico, esiliato – tre aggettivi da impastare nelle possibili definizioni del romanzo.  C’è stata e c’è ancora l’Argentina centrale, un posto anonimo come un altro, le trecento volte in Corsica, i collegi, le notti senza fine a Lloret de Mar, i rimorsi. L’esilio non è mai unico ma scalare, assortito, così come la nostalgia che ce ne sono versioni e versioni. 

Le corrispondenze sono molte. La fauna minuta delle battigie rimanda a un modo d’essere e di orientarsi, e lo stesso fanno gli scrittori specialisti dell’inquietudine che accompagnano Magliani, primo fra tutti Tabucchi. Il narratore cambia tono quando corrisponde con la donna ambigua, irrisolta, professoressa, che è voce e ombra allungata dal presente al passato. La casa non corrisponde mai, vuole sempre un esercizio acrobatico, “la quotidiana invenzione di una residenza”, o “una specie di autogeografia”.  

Le frasi di Magliani si leggono con la sicura speranza di un guizzo, di un colore, di una sentenza che schiocca (“noi siamo ciò che vediamo, siamo rovi”, “È il dialetto, l’ho ammesso, la lingua in cui per la prima volta ho sognato le parole”, “Senza trucchi non resta nulla”) e ci sorprende, ci rimanda a noi o a qualcuno. Noti a volte un senso del ritmo particolare, una versificazione interna, frasi così: “Novembre ben inoltrato / è l’alba. / Giù di sotto si è accesa una macchina, / fra un istante sarà partita.” che se le stacchi come ho segnato fanno un haiku coi fiocchi.  

“Qui non si scrive perché a volte la vita non basta, ma perché nei confronti della vita c’è un disavanzo del paesaggio.” 

P.F. Brandimarte è scrittore

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