Nino Motta – La parrucchiera di Pizzuta

Trovare l’assassino con passione filologica

di Domenico Dara

dallo Speciale Estate 2017

Nino Motta
LA PARRUCCHIERA DI PIZZUTA
pp. 224, € 16
Bompiani, Milano 2017
disponibile su IBS

Nino Motta - La parrucchiera di PizzutaDopo Ogni altra vita (Il Saggiatore, 2015) e I pesci devono nuotare (Rizzoli, 2016), Paolo Di Stefano torna alle suggestioni di Giallo d’Avola (Sellerio, 2013) con una storia avvincente e compiuta, e lo fa sotto le mentite spoglie di Nino Motta, il tipografo protagonista di Tutti contenti (Feltrinelli, 2003) che offre molti dei propri tratti alla nuova eroina. Rosa Lentini, “quarantotto anni da poco compiuti, filologa e petrarchista, specialista del famoso Codice degli Abbozzi”, delusa dall’ennesimo concorso universitario finito male a causa di loschi maneggi baronali, si prende una pausa dalla vita accademica milanese e scende a Pizzuta, suo paese d’origine. Ad attenderla, in un’estate siciliana arroventata e implacabile, “mamma Evelina, sguarnita dell’alleanza della buonanima di suo marito”. Il proposito di Rosa è uno solo: indagare sulla morte di Nunziatina Bellofiore, che tanti anni prima, nel 1956, “fu sparata al petto e trucidata barbaramente da mano ignota nei pressi del suo Salone sito in zona Stazione”. Cosa si nasconde dietro quel misterioso “ammazzamento senza perché” di cui nessuno vuole parlare?

Toccherà a Rosa, affiancata dalla madre, riportare a galla una sorprendente verità, e lo farà con l’unico strumento che possiede, l’armamentario logico che le deriva dal proprio mestiere. Ed è qui, nell’utilizzo in chiave investigativa delle metodologie filologiche, che sta il punto di forza della storia. Perché una cosa appare evidente, seguendo Rosa Lentini nelle sue indagini: nessuna disciplina più dell’ecdotica sembra idonea a fornire le competenze per risolvere un omicidio. Come scrive il suo alter ego Nino Motta, il filologo “è un detective, un investigatore a tavolino: non di intrighi giudiziari ma di intrighi storico-letterari, la differenza è minima: casi caldi, tiepidi, freddi, cold case. Sempre imbrogli sono, da una parte ci sono i testi, dall’altra le scelleratezze umane, le disgrazie, i delitti. Da una parte il compimento di un’opera d’arte, dall’altra il compimento di un’opera criminale. Sempre di opere dell’ingegno umano si tratta”. E non è secondario, in un’epoca in cui il pensiero umanistico subisce continui processi in nome di praticità e profitto, che si dimostri altresì la vitalità pragmatica di talune discipline, la loro applicabilità.

Ma non c’è, ovviamente, solo la trama. Perché come in tutti gli altri lavori di Di Stefano, il valore aggiunto è quello linguistico. Nella poetica dello scrittore siciliano il linguaggio è questione centrale: ne La catastròfa, per esempio, per rendere giustizia al mondo sommerso e clandestino dei minatori non bastava raccontarne la storia, ma bisognava farlo utilizzando la loro lingua che è soprattutto, come ne I pesci devono nuotare, contaminazione. Ne La parrucchiera di Pizzuta, continuando le sollecitazioni di Giallo d’Avola, Di Stefano crea un linguaggio su misura mescolando registri alti e bassi, tecnicismi filologici e calchi dialettali, una tensione linguistica persino esibita da Rosa Lentini e dalla sua passione per l’etimologia: “capire l’origine delle parole, possedere tutto attraverso il vocabolario, con la sua storia, che era come dominare il mondo, la storia del mondo”. Passione ereditata dal padre, figura materialmente assente ma con cui la donna deve fare i conti, in primis con il suo diniego, quando era in vita, a parlare della vicenda Bellofiore, diniego non secondario tra gli stimoli investigativi di Rosa, per la quale ricomporre “l’edizione critica della morte di Nunziatina” ha anche un sapore di rivalsa filiale. La filologa investigatrice, tra divinatio e birre ghiacciate, tra Lachmann e il professor Trombetta, si ritaglia così un posto di primo piano nella galleria degli investigatori letterari, al punto che sarebbe un vero peccato se il suo acume e la sua umanità terminassero qui, all’inizio di un percorso che si prospetta lungo e fecondo. Se è vero che “i morti parlano più dei vivi”, allora c’è bisogno di qualcuno che li sappia ascoltare.

D. Dara è scrittore

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