Andrew O’Hagan – La vita segreta

Identità sfilate dal web

recensione di Matteo Fontanone

dal numero di marzo 2018

Andrew O’Hagan
LA VITA SEGRETA
Tre storie vere dell’èra digitale
ed. orig. 2017, trad. dall’inglese di Svevo D’Onofrio
pp. 222, € 22
Adelphi, Milano 2017

Andrew O’Hagan - La vita segretaIl sottotitolo di quest’ultima raccolta di Andrew O’Hagan, Tre storie vere dell’era digitale, è una dichiarazione di genere. In primo luogo per la professione di autenticità racchiusa nell’aggettivo “vere”: il contenuto del libro, per quanto passato dalla lente più o meno deformante dell’io di chi scrive, ha fin dalla copertina un sigillo non fraintendibile di aderenza al reale. Non-fiction, quindi: un metodo, più che un genere, all’incrocio tra la scrittura di reportage, il personal essay e il gonzo journalism, attraverso cui lo scrittore (non il giornalista né il reporter, la differenza si assottiglia eppure continua a mantenere un certo peso) indaga il mondo che ha intorno, quest’era digitale che non è science fiction né distopia ma soltanto la manifestazione più pervasiva del nostro tempo. La distinzione tra la cronaca e il romanzo “non regge, specialmente nel mondo di oggi”, e allora O’Hagan si affida a una forma ibrida, a un racconto dove i personaggi, “reali perlomeno all’inizio della loro storia”, si sfrangiano man mano che l’autore affonda dentro di loro: la spinta della letteratura, messa a reagire con il dato cronachistico, deforma i protagonisti in “individui buffoneschi”, uomini in fuga o vittime impotenti delle loro stesse creazioni.
O’Hagan, che pure non esterna alcun entusiasmo per l’universo digitale 2.0, ha potuto ragionare sul suo sviluppo silenzioso (“siamo diventati schiavi del web molto prima di capire in che misura la tecnologia avrebbe cambiato le nostre vite”) da una tribuna privilegiata. Nel 2011 è assoldato come ghostwriter di Julian Assage, con cui entra in stretto contatto per oltre un anno; nel 2016 forte di quell’esperienza gli viene affidata la storia di Craig Wright, l’uomo dietro alla leggendaria figura di Satoshi Nakamoto, l’inventore e il teorizzatore dei bitcoin. Senza la pretesa di una ricognizione complessiva sul mondo a venire, senza la tentazione di contestualizzare ad ogni costo – il contesto è ormai la realtà tutta e sarebbe ridicolo pensare di ridurla a un sistema ordinato – O’Hagan si accontenta di focalizzarsi su una sola controindicazione del digitale, la più insidiosa, e racconta la parabola per certi versi esemplare di uomini alle prese con il problema del riconoscimento.

Assange, Pinn, Nakamoto

Nel “far west di internet”, infatti, La vita segreta riflette sul valore residuo della nozione di identità, svenduta dagli utenti sul banco dei social network, delle reti neurali, del villaggio globale. Anche chi il web credeva di cavalcarlo, e per un dato periodo l’ha fatto, dal web finisce per essere risucchiato con esiti paradossali, tutti giocati su uno spettro di matrice novecentesca che va da Kafka a Pirandello. Assange, l’alfiere dell’informazione anonima, l’uomo che sognava per la società una democrazia depurata dai segreti di stato e dal potere dell’intelligence, si perde nella contemplazione del suo ego dietro al quale si nasconde il vuoto, vive braccato da giornalisti e dalla paranoia di nemici invisibili, ha talmente poco da dire che boicotta la sua stessa autobiografia. Per Craig Wright, invece, il paradosso si fa tragicomico: quando dopo anni di sparizione è costretto dai suoi impresari a uscire allo scoperto e certificare la propria identità in quella di Satoshi Nakamoto, nonostante le prove tecniche e l’avvallo degli esperti, non viene creduto dalla stessa base che lo adorava attraverso il suo pseudonimo.

Tra le due eminenze grigie che con le loro invenzioni hanno contribuito a ricalibrare l’asse dell’opinione pubblica e della finanza mondiale, si insinua poi un personaggio che non esiste se non come alter-ego fittizio dell’autore, alle prese con uno stress-test della realtà. Ronnie Pinn, uno dei tanti nomi dimenticati sulle lapidi del cimitero di Camberwell, subisce post mortem un furto d’identità da O’Hagan, che ne ottiene senza difficoltà i certificati di nascita e di morte, gli apre degli account social e un conto in banca, intreccia a nome suo rapporti virtuali, arriva addirittura a procurargli un domicilio, una patente e un passaporto sul dark web. “Per molti versi il mio Ronnie era un tipico cittadino del ventunesimo secolo. Non da ultimo per la sua falsità”. Per quanto sia la storia più breve e l’unica priva di un personaggio fatto di carne e sangue, la vicenda di Ronald Pinn è quella che più di ogni altra porta dentro di sé uno sguardo cupo sul futuro prossimo. L’identità, è questa la morale forte dietro ai tre scritti di O’Hagan, nel nuovo ed eccitante universo in via di definizione non ha più spazio, non può più averne: si sfalda, si moltiplica, si rinnova e si può pure rinnegare.

Una lezione di metodo

Delle tre storie di O’Hagan, quella del presunto Nakamoto sarà verosimilmente la più ricordata, vuoi per la perfetta costruzione di un protagonista che non si spoglia della sua tenace ambiguità nemmeno a libro finito, vuoi per l’inafferrabilità della tecnologia su cui si fonda il racconto. O’Hagan, nonostante l’intento divulgativo dietro al suo lavoro o forse proprio per questo, non rinuncia ad addentrarsi nel campo minato del lessico tecnico, riporta intere conversazioni e procedure informatiche tutt’altro che convenzionali, dà in pasto al lettore idee di finanza digitale accessibili sì ma non senza un certo sforzo. È una lezione di metodo, e pure una dichiarazione d’intenti: ci siamo lasciati sfilare le nostre identità dal web senza neanche renderci conto di cosa stesse succedendo, ora almeno proviamo a capirne i meccanismi e, soprattutto, mettiamo da parte i vecchi paradigmi: minare i bitcoin o apporre la propria firma sulla blockchain sono dei fatti letterari senza mezzi termini, tanto quanto lo erano le contese in seno alla borghesia parigina dell’Ottocento o le piccole vite nelle tavernacce di piazza Sennaja a San Pietroburgo. È solo l’ennesimo ritorno al reale.

matteo.fontanone@gmail.com

M Fontanone è critico letterario