Aravind Adiga – Selection Day

Una Disneyland di relitti industriali

recensione di Carmen Concilio

dal numero di febbraio 2018

Aravind Adiga
SELECTION DAY
ed. orig. 2016, trad. dall’inglese di Norman Gobetti
pp. 307, € 20
Einaudi, Torino 2017

Aravind Adiga – Selection DayAravind Adiga dedica il suo romanzo al secondo sport più seguito al mondo, ma vi aggiunge molto di più. Inizialmente la lettura sembra presentarci il contraltare indiano del cinese Il ruggito della mamma tigre (Sperling&Kupfer, 2011) di Amy Chua. Qui un padre induce i suoi due figli a diventare campioni di cricket, là una madre induceva le sue due figlie a diventare musiciste e concertiste di grande fama internazionale. Entrambi i genitori perseguono il loro sogno egocentrico di emancipazione, conscio o inconscio, e lo proiettano sui figli con un’educazione rigida, privandoli di amici e distrazioni con un controllo pressoché assoluto sulle loro vite, affinché perseguano l’obiettivo di successo personale e fama. Nel primo caso il romanzo si ispira a una storia vera che si svolge sullo sfondo del privilegio sociale. Qui si tratta invece di un riscatto dalla povertà di chi proviene da umili zone rurali di montagna dell’India e vive con umiltà negli slum di Mumbai. Ma sul ruolo del padre nella vita di uno sportivo, l’autobiografia del grande tennista Andre Agassi, Open: la mia storia (Einaudi, 2011) ha fatto scuola e qualche eco di quella vicenda così sofferta – ma forse tutte le vicende sportive eroiche nascondono sofferenza – lo si trova anche in Adiga, tradotto con sapienza da Norman Gobetti.
Il padre in questo caso è un venditore ambulante di Chutney, abbandonato dalla moglie e con due figli, il minore dei quali continua a ricordare la madre con nostalgica dolcezza. Alla madre Adiga dedica questo romanzo. Radha Kumar è il figlio maggiore e predestinato, promette bene e suo fratello deve solo imitarlo. I due passano l’infanzia e l’adolescenza ad allenarsi con il padre, ossessionato dall’igiene, dalla dieta e da una vita sana. I due lo temono e gli obbediscono e un giorno i suoi sforzi sembrano ripagati, poiché un allenatore mette gli occhi su di loro e arriva persino una sponsorizzazione che cambia loro la vita. Finalmente potranno abitare in un appartamento di un grande palazzo in un quartiere dignitoso di Mumbai, potranno andare a scuola e perseguire il sogno paterno.

Ritratto dell’adolescenza

Il cricket, si sa, è lo sport che gli inglesi hanno esportato nelle colonie, e che ancora viene giocato e seguito con una certa animosità, soprattutto quando una nazionale delle ex-colonie riesce a battere una delle squadre della madrepatria, oppure vince i Giochi del Commonwealth, per esempio. “Il cricket è stato portato qui dagli inglesi per intrappolarci. Gli indiani dovrebbero giocare a sport indiani”, dice un vecchio che in una baracca stira camicie per mestiere, per assicurare gli studi alla figlia. D’altro canto Salman Rushdie aveva scritto nella sua autobiografia di non aver subito alcun atto di razzismo al college, grazie al suo incarnato chiaro e alla sua abilità negli sport nazionali che lo avevano subito reso popolare tra i coetanei. Nel romanzo Manju Kumar, a sorpresa, soffierà al fratello maggiore la borsa di studio per l’Inghilterra. Sarà lui a recarsi a Manchester per perfezionare la tecnica da battitore e per frequentare i corsi di scienze per cui è molto portato. (Sogna di diventare un medico legale come quelli di Csi, una professione che oggi riscuote molta popolarità tra i ragazzini, spettatori delle serie televisive americane, in cui anatomopatologi e raffinati profiler parlano con voce suadente ai cadaveri durante le autopsie, cercando di riscattare almeno in morte una vita che non ha potuto essere salvata.) Non sarà l’unica cosa che Manju soffierà al fratello, d’altra parte il padre dovrà ammettere che il figlio maggiore è dotato del desiderio di diventare campione, il figlio minore ne ha il talento.

La rivalità tra fratelli produce alcuni disastri, ma è vero che il romanzo procede come una palla ribattuta a effetto e di cui non si riesce a prevedere la direzione. Le sorprese e i colpi di scena non mancano. Sono quelli tipici dell’adolescenza, un’età in cui tutte le decisioni importanti fanno paura, comprese quelle che riguardano il sesso. E, forse, quello di Adiga è un bellissimo ritratto dell’adolescenza, la sua musica, i suoi miti, le pulsioni vitali, la voglia di fuga, le ambizioni e le sconfitte, i sogni e gli incubi. Un’età, come scrive anche Agassi nelle sue primissime pagine, in cui “un ragazzino voleva lasciar perdere, e ha lasciato perdere varie volte”. Nel romanzo di Adiga, c’è chi lascia perdere, come il ricco e biondo Javed Ansari, che preferisce seguire la sua vocazione di poeta, omosessuale, tutto genio e sregolatezza, e chi invece come Mohan Kumar non vorrebbe lasciar perdere mai, ma vi è costretto. È la dura legge del Selection Day. Alcuni ragazzi ce la fanno, altri ragazzi no: questo è il ritornello che punteggia il romanzo. Tommy Sir, l’allenatore idealista che dipinge quadri alla van Gogh, ha un’epifania quando osserva che Manju gioca meglio quando odia il cricket. Agassi che pone una lettera di van Gogh al fratello Theo in epigrafe, spiegava: “odio il tennis, lo odio di una passione oscura e segreta, l’ho sempre odiato”.

Non solo sport e rivalità

Il romanzo di Adiga però non si limita a tratteggiare il profilo di uno sportivo tra adolescenza e maturità, o i drammi della rivalità tra fratelli, perché è cosparso di considerazioni su politica, letteratura, sport, inquinamento, attualità. Tra i campioni della letteratura vengono nominati con una certa ironia Salman Rushdie per le sue “descrizioni di Mumbai” e Amitav Ghosh per la sua evocazione di “nuovi dilemmi morali”, poi segue una lunga tirata su: “Quello che vogliamo noi indiani dalla letteratura, almeno quella scritta in inglese, non è affatto letteratura, ma adulazione. Vogliamo vederci rappresentati come persone appassionate, sensibili, profonde, valorose, ferite, tolleranti e spiritose. Tutta quella roba alla Jhumpa Lahiri”. Tra i ringraziamenti, la gratitudine va a Ramachandra Guha, il dottor Guha, professore di storia, autore di saggi su Gandhi, sull’ambientalismo, sul cricket, e, tra gli altri, ad Andrea Canobbio, scrittore torinese ed editor Einaudi.

Infanticidio femminile, diritti delle donne, violenza da parte della polizia verso gli omosessuali, immondizia e ratti a Mumbai, immondizia nelle acque del mar Arabico che lambisce le spiagge, sono alcuni dei temi che inframmezzano le cronache sportive e che completano l’affresco della megalopoli indiana. “In India non bisogna investire in nuovi settori. I soldi stanno nei vecchi settori, perché il cuore di questo paese è una Disneyland di relitti industriali: migliaia di fabbriche socialiste in procinto di chiudere i battenti”. Sono molte le perle di saggezza offerte nel romanzo da parte di personaggi che si muovono come pedine impazzite in un sistema neo-liberale, piuttosto anarchico, in cui lo sport fa la sua parte.

carmen.concilio@unito.it

C Concilio insegna letterature comparate all’Università di Torino