Maureen Gibbon – Rosso Parigi

Victorine e Manet

recensione di Tiziana Merani

Scheda “letterature” dal numero di gennaio 2017

Maureen Gibbon
ROSSO PARIGI
ed. orig. 2015, trad. dall’inglese di Giulia Boringhieri
pp. 248, € 18
Einaudi, Torino 2016

Maureen Gibbon“Ho diciassette anni, quel giorno, e ai piedi gli stivaletti di una puttana”. Inizia così il romanzo di Maureen Gibbon, Rosso Parigi, edito da Einaudi, che l’autrice statunitense dedica alla modella preferita di Édouard Manet, Victorine Meurent. In piedi davanti a una couteillerie, un negozio di forbici e coltelli, la ragazza, in compagnia dell’amica Denise, osserva la vetrina e ritrae sul blocco da disegno un gatto che dorme acciambellato tra le lame. Mentre disegna, Victorine pensa al soldato che l’ha baciata con passione, prima di partire. Ed è lì che Manet la vede per la prima volta. E poiché il soldato a cui Victorine pensava non è l’uomo della sua vita, e poiché, anche, Manet le piace molto, la ragazza lascia il lavoro di brunitrice d’argento e la misera stanzetta che occupa con l’amica, per seguire l’artista parigino e diventare une modèle de profession. Verdi, gli stivali che la puttana le ha regalato, rossi i capelli che le scendono sulle spalle, azzurro il vestito che comprerà con la sua paga di modella, nero il laccio di velluto che ruba dallo studio Manet e blu il nastro che lui le mette tra i capelli prima di ritrarla. Perché il colore, sostiene Manet, fedele alla tradizione dei maestri del passato, è il vero protagonista di una tela. Pur priva di una vera formazione artistica, Victorine ebbe un padre incisore, un ciseleur, che le insegnò l’importanza degli attrezzi da lavoro (“Una volta mi ha detto che qualunque sia il proprio mestiere, senza un’attrezzatura personale non si diventerà mai nessuno”) e da cui forse ereditò manualità e occhio per i dettagli.

Ma nonostante fosse anch’ella pittrice, con tele esposte al Salon, il mondo la ricorda soprattutto per il nudo in cui Manet la immortalò, il celebre dipinto Olympia, il quadro che, esposto al Salon nel 1865, fu poi rimosso a causa dello sdegno esagerato che suscitò tra il pubblico: alcuni visitatori avrebbero addirittura voluto sfondare la tela con gli ombrelli. Perché tanta indignazione? Forse per la tranquilla indifferenza con cui un’operaia di diciassette anni mostra il seno e guarda il mondo dalla tela appoggiando placida la mano allusiva sul ventre. Forse per la forza che prorompe da una donna della classe lavoratrice che non si vergogna di avere i piedi sporchi, un abito vecchio e le tasche vuote. Una forza che il lettore percepisce sin dal primo incontro e che in Rosso Parigi oscura persino il noto pittore. All’inizio del romanzo Manet, l’anticonformista, sembra interessato a tutte e due le ragazze, la rossa e la bruna. Esce con entrambe, passeggia con loro tenendole a braccetto, una per parte, le bacia a turno e arriva al punto di proporre un ménage à trois. Victorine, avida di esperienze e disinibita, sarebbe disposta ad accettare, ma Denise si fa da parte: in fondo Manet piace più all’amica che a lei. L’artista non nasconde alla giovane amante di avere un’altra donna, la madre di suo figlio. Un figlio non riconosciuto, da cui però torna costantemente. A Trine – così la chiama lui – la cosa non dà fastidio. Non è amore quello che c’è tra loro. I due si attraggono, fanno sesso, sono amici e a volte escono insieme, ma ciò che li lega davvero è il momento della creazione, quello in cui Trine/Olympia impara a riempire di sé lo spazio che la circonda.

t.merani@libero.it

T. Merani è traduttrice