Tintas. Tredici racconti dal Cile

Il Cile non è solo Bolaño

recensione di Vittoria Martinetto

dal numero di aprile 2018

TINTAS
Tredici racconti dal Cile
trad. dallo spagnolo di Maria Cristina Secci
pp. 286, € 16
gran vía, Narni TR 2017

Tintas - Tredici racconti dal CileSe il genere racconto non è molto frequentato dai lettori italiani, a meno che uno scrittore non si sia già affermato come romanziere (andamento di cui è responsabile in primis la nostra editoria), oltremodo coraggiose sono le antologie di racconti di autori vari. Nel caso di un continente letterario sconfinato come quello latinoamericano dove, com’è naturale che sia, si pubblicano ogni anno un’enorme quantità di autori dei quali in Europa non arriva che la punta dell’iceberg, ben vengano queste panoramiche locali per dare almeno un assaggio di tali nuove o meno nuove proposte. In genere la volenterosa operazione è compiuta da qualche studioso o professore specialista dell’area e magari quale risultato di un laboratorio di traduzione com’è il caso di questo libro curato da Maria Cristina Secci, alla quale va un meritato applauso.
Nel passare in rivista le mini bio-bibliografie degli autori che partecipano al volume si può notare che l’arco generazionale è compreso fra il 1970 e il 1988 – abbracciando tutto l’arco della dittatura di Pinochet fino al plebiscito del “No” alla sua rielezione – e che di questi tredici autori solo tre hanno già avuto la fortuna di essere tradotti in Italia. Si tratta in sostanza dei figli di coloro che vissero in prima persona il golpe e i colpi del pinochetismo, i quali hanno impiegato del tempo prima di accorgersi di avere una propria voce e una propria storia da raccontare, convinti di dover raccontare quella dei loro genitori. È indubbio, tuttavia che scampoli di quella storia compaiano qua e là anche in un panorama che, secondo una tendenza che caratterizza tutta la narrativa del continente, si è fatto meno epico e più intimista nei temi, e meno barocco e più minimalista nella forma, che è poi il modo in cui si scrive, ovunque, oggi. Ciò significa che questi narratori, pur non sottraendosi del tutto a scampoli di memoria di un paese straziato da decenni di autoritarismo, hanno voltato pagina per raccontare minimi aneddoti e frangenti esistenziali di personaggi che potrebbero trovarsi a vivere in qualunque posto del mondo occidentale. Ci sono due amici che rispolverano i ricordi di un ménage à trois avuto con una donna morta in un incidente (L’ultimo film), un pugile semi professionista svenduto dal proprio allenatore (Il jab tutta la notte), istantanee di vite adolescenti tra feste e sbronze (Noize), coppie che scoppiano parlando d’altro, alle prese con un gatto ferito (Alle quattro, alle cinque, alle sei), ricordi di compagne di scuola in tempi di sparizioni e assenze (González), una figlia che assiste l’anziano padre in una casa di riposo e decide infine di sequestrarlo per un ultimo viaggio insieme (Finché non si spegneranno le stelle), un aspirante scrittore che indaga su un misterioso poeta ungherese le cui tracce si perdono in Antartide (L’Antartide inizia qui), un padre che impartisce lezioni di storia recente al figlio (L’educazione), ragazze che si radono a vicenda nei bagni di scuola in un rituale sadomasochista (Lame di rasoi), rapporti conflittuali e violenti fra due donne (Regni), rapporti sensuali fra due uomini che lavorano in un’impresa di traslochi familiare (Fantasia), memorie di integrazione di immigrati siriani in Cile (Gettarsi nella mischia) e il periplo di una coppia di giovani senza fissa dimora che vive negli appartamenti pilota dei condomini in costruzione (Un mondo di cose fredde).

Fra i tredici racconti riuniti c’è una sostanziale differenza di temi e di stili che non potranno convincere indiscriminatamente, tuttavia il lettore sarà invogliato a interessarsi a due o tre di loro e a cercare di seguirne le tracce dopo questa prima “prova campione”. Salvo scrittori che apprezzavo e conoscevo come Andrea Jeftanovic, Álvaro Bisama, Alejandro Zambra o Lina Meruane (gli ultimi due pubblicati in Italia), gli autori che hanno catturato maggiormente la mia attenzione sono Gonzalo Baeza di Il jab tutta la notte e Diego Zúñiga di Un mondo di cose fredde. Il primo per il ritmo e l’efficacia descrittiva nel trascinare il lettore, in questo caso letteralmente, sul ring della narrazione, riprendendo atmosfere degne di Soriano; il secondo, appena trentenne, e già vincitore di diversi premi nonché selezionato fra i migliori 39 scrittori latinoamericani sotto i quarant’anni, per la valenza metaforica della vicenda narrata, quella di due giovani vite disorientate in una Santiago spettrale fatta di cantieri e di speculazione edilizia, che non sembra promettere loro alcun futuro.

Insomma il Cile non è solo Bolaño, cileno imprescindibile, per carità, che in Cile, tuttavia, ha vissuto poco e del Cile ha raccontato meno. È tempo di esplorare altre scritture di questo paese australe, sottile e in parte misterioso, di cui il grande pubblico ricorda forse solo Neruda, come autore del passato, e Allende o Sepúlveda come autori, commerciali, del presente.

vittoria.martinetto@gmail.com

V Martinetto insegna letterature ispanoamericane all’Università di Torino