Daniel di Schüler – Un’odissea minuta

Il meticoloso risveglio di un Fantozzi di provincia

recensione di Francesco Permunian

dal numero di luglio-agosto 2016

Daniel di Schüler
UN’ODISSEA MINUTA 
pp. 637, € 20
Baldini&Castoldi, Milano 2016

Daniel Di Schuler - Un'odissea minutaAlla prima edizione del premio Comisso venne premiato Giorgio Manganelli il quale, come ricorda Gian Antonio Cibotto, stupì tutti perché alla domanda su quale fosse il libro più bello che avesse letto, rispose: il vocabolario. Confesso che tale aneddoto – tipicamente manganelliano – mi tornò alla mente l’anno scorso allorché, in qualità di giurato alla XXVIII edizione del Premio Calvino, mi trovai alle prese con un ponderoso manoscritto rigorosamente anonimo intitolato Alberto Kappa. Note di un risveglio (poi menzione speciale della giuria): un romanzo oggi pubblicato da Baldini&Castoldi col titolo Un’Odissea minuta, dove la O maiuscola di Odissea – nella sua vacua pomposità omerica – confligge dolorosamente e sornionamente con l’aggettivo che l’accompagna e la definisce nei termini angusti di una modestissima minutaglia domestica. Il vocabolario, dunque, in quanto l’aggrovigliata vicenda di questo bislacco libro-mondo si riassume sì in quella ventina di pagine che fungono da prologo, e che sono perciò stampate in neretto come si usa per le Avvertenze al Lettore, ma si sdipana poi in una sterminata ed enciclopedica marea di note e noticine e appendici varie che fanno di questa singolare opera prima una sorta di spassoso e stralunato dizionario dei luoghi – e tormenti – più comuni della vita di provincia in Italia.

Un poveraccio dalla nobile discendenza

Di cosa si parla, in definitiva, in questo vero e proprio libro monstre, così insolito nello stagno stagnante delle nostre asfittiche patrie lettere? Beh, in esso si narra il lento risveglio mattutino di un tal Alberto Cappagalli, un oscuro ragioniere che vive nel paese di Commiserate Ontona «tra l’Ontona e il Laltro», ossia in una metaforica landa della Lombardia (l’autore stesso, Daniele Pruneri, pur vivendo da anni in Galizia è nato in provincia di Como) alquanto simile per grettezza e mediocrità a quella dove visse e morì Lucio Mastronardi: siamo infatti lì, in quei luoghi e in quel filone narrativo inaugurato cinquant’anni fa dal Maestro di Vigevano e non in un fantomatico «Nordest grigio e industriale», come recita invece la quarta di copertina. Nella quale, tra l’altro, il nostro povero ragioniere viene inopinatamente promosso dall’editore nientemeno che ingegnere, forse per risarcirlo delle tante miserie morali e materiali che lo affliggono nel corso della narrazione. Un poveraccio, è vero, ma la cui figura discende tuttavia da nobili lombi sia letterari che cinematografici: dalla commedia di Vittorio Bersezio del 1863 (Le miserie d’monsù Travet) fino all’omonimo film di Mario Soldati del 1945, in cui già allora faceva capolino quell’Alberto Sordi che sarà poi l’indimenticabile interprete di Un borghese piccolo piccolo di Monicelli.

E Alberto, guarda caso, è pure il nome del protagonista di questa esilarante e angosciante Odissea minuta da cui sprigionano – di nota in nota – tutti i miasmi di quell’Italietta becera e provinciale assurta ormai da tempo a genere letterario. Come altrettanto non casuale, a me sembra, è il fatto che il Cappagalli di cognome faccia Kappa, rinviando così in maniera obliqua e ironica al celebre agrimensore K di Il castello di Kafka. Ma oltre ai richiami più immediati e riconoscibili, è soprattutto il tema del risveglio – vero e proprio leitmotiv narrativo – a poter vantare le ascendenze letterarie più illustri, da Joyce a Proust: celebre è infatti la «fenomenologia del risveglio» che apre il prologo della Recherche («l’accoglienza dell’eterno mattino del mondo», come ebbe a definirla Bonnefoy), che ovviamente qui si svilisce in maniera paradossale quando a risvegliarsi nel «mattino del mondo» è invece quel perfetto everyman di provincia che risponde al nome di rag. Cappagalli Alberto. Il quale a un certo punto rivela quale sia la sua ossessione più segreta e inconfessabile. Ossia quella di scrivere un libro, che non dovrà essere però «uno dei soliti libri; uno di quelli dove succede di tutto, ma che non dicono niente», bensì «un libro dove succede poco, ma che dicesse tutto; una giornata qualunque, ma con tutti i dettagli. Beh, certo, se sapessi scrivere (…) ma poi ci vuole tempo. E chi ce l’ha?».

Ecco, io direi che il tempo deve invece averlo trovato, l’autore di questo strano «romanzo», o antiromanzo oppure iper-romanzo che dir si voglia, meticolosamente costruito registrando le fasi del risveglio alla vita di un banalissimo Fantozzi di provincia − attimi che rimandano, di volta in volta, a una prodigiosa costellazione di ricordi degna de La vita, istruzioni per l’uso di Georges Perec. Il quale non a caso era un vero maestro nell’esplorazione della banalità della memoria, o della memoria del banale, fautore di una sorta di «realismo» riassumibile in questa sua formula: «Basarsi su una descrizione della realtà spogliata da qualsiasi presunzione». Ragion per cui raccomandava a ogni aspirante scrittore queste tre semplicissime operazioni, degne di un «ragioniere» letterato: descrizione, inventario, registrazione.
Che sono poi, a ben vedere, anche le doti più genuine messe in mostra da Alberto Pruneri (alias Daniel di Schüler), autore di questa originale invenzione narrativa alla quale sembra calzare a pennello la definizione che Italo Calvino diede del capolavoro di Perec: «Un libro sospeso tra pietas e gioco».

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