Michele Mari – I demoni e la pasta sfoglia

Dirimpettai di pianerottolo

recensione di Matteo Moca

dal numero di luglio/agosto 2017

Michele Mari
I DEMONI E LA PASTA SFOGLIA
pp. 756, € 28
Il Saggiatore, Milano 2017

Michele Mari - I demoni e la pasta sfogliaDopo tredici anni dalla prima edizione pubblicata da Quiritta e a sette dalla ristampa di Cavallo di Ferro, Il Saggiatore ha il grande merito di riproporre il volume di Michele Mari I demoni e la pasta sfoglia. Il libro raccoglie le pagine saggistiche che Mari ha disseminato su giornali, riviste, atti di convegno, nonché pezzi d’occasione e saggi inediti che vanno a costruire una folgorante galleria di ritratti delle sue ossessioni letterarie, ossia gli scrittori che continuamente vengono letti e riscritti. Non stupirà quindi che, rispetto alla prima edizione, la ristampa conti un numero quasi doppio di pagine: l’impressione è che nel corso degli anni il libro possa espandersi all’infinito, e il catalogo delle ossessioni di Mari costituire una sempre più personale storia della letteratura. È lo stesso Mari d’altronde, nella nota che chiude il libro, a chiamare in causa il racconto di Borges Una rosa gialla, dove lo scrittore immagina la disperazione di Giambattista Marino quando si rende conto di non poter rendere tutte le sfumature del mondo che ha intorno attraverso il linguaggio poetico: la risoluzione arriva quando il poeta si accorge che l’arte non è specchio del mondo, ma è qualcosa che viene aggiunto a quel mondo. Così il libro di Mari non vuole neanche lontanamente apparire come una storia letteraria, non ne rispetta parametri e cronologie ma, nello stesso tempo, è qualcosa che si aggiunge alla storia della letteratura, con il suo personale e incessante movimento tra le epoche e i generi, tra i temi e gli autori.

Atto d’amore per la letteratura

Torna estremamente utile iniziare a leggere il libro dalla nota conclusiva, emblematicamente intitolata Il beneficio dell’influenza, perché è questa a consegnare al lettore l’impianto teorico e metodologico che sta alla base della costruzione di questo libro. Mari oppone all’angoscia di Harold Bloom nei confronti della tradizione, questo termine, “beneficio”, per sottolineare come, negli ultimi decenni, la tradizione sia sentita erroneamente da scrittori e letterati come un “protervo fastidio”, come qualcosa di vecchio, un’abitazione impraticabile, scomoda e da lasciare sullo sfondo. Il risultato è che gli scrittori si ritirano a vivere “in squallidi appartamentini condominiali” dove non esiste più un confronto genuino e proficuo con “gli antichi proprietari di quelle fastose magioni” che sono alla base della tradizione, preferendo confrontarsi con i certo più innocui e sterili “dirimpettai di pianerottolo”. Questo libro si costruisce però su fondamenta completamente opposte, sull’abitare la “casa-letteratura” non come “turisti occasionali o come tecnici, ma come legittimi inquilini”, fino ad esserne coinvolti spiritualmente, senza nascondersi dietro l’alibi che tutto è stato già detto e che ai moderni il confronto con la tradizioni può solo relegare al ruolo di tristi epigoni o ricamatori. Chi si nutre di letteratura deve muovere dalla consapevolezza che “determinate cose non solo si possono continuare a dire bene e originalmente anche se sono già state dette, ma che si possono dire solo perché sono state già dette, proprio perché sono state già dette”, perché è grazie alla letteratura e all’arte se noi riusciamo a leggere la realtà più profondamente e in maniera più archetipica: “a furia di leggere libri, a furia di interiorizzare mondi, acquisiamo una sensibilità diagnostica grazie alla quale, nei confronti della vita il grande lettore ha molte più antenne e molta più ‘memoria’ perché ha vissuto più vite”.

Alla luce di questo procedimento teorico, leggere i ritratti di Mari assume un altro e più profondo aspetto: le diverse sezioni che accolgono al loro interno gli autori amati e ammirati (Ossessioni, Feticismi, Furori misantropici, Sadismo e voyeurismo, Atavismo come destino, Estroversioni e La violenza della calligrafia), sono atti d’amore verso la letteratura e il suo ruolo sia per lo scrittore, che ne fa un tesoro irrinunciabile a cui attingere, sia per il semplice lettore che sulle sue parole fonda il suo mondo. Soffermarsi sugli autori trattati da Mari è ovviamente impossibile considerata la mole dei documenti, si può solo segnalare le pagine sugli autori che ne hanno fondato più di altri l’estetica e lo stile (Conrad, Melville e Lovecraft), quelli da cui nasce l’ossessione e l’oscurità (Landolfi e Céline) o gli inarrivabili enciclopedici che si rinnovano continuamente ad ogni lettura (Borges, Kafka, Gadda e Proust). In questo libro febbrile e vertiginoso, i lettori del Mari romanziere troveranno risposte a molto di quello che era rimasto come un interrogativo aperto, soprattutto se si ha l’idea condivisa di una letteratura che non inganna mai “perché ci costringe a credere solo quello che crede l’autore, e nessun autore, come nessun uomo, crede in qualcosa come alle proprie passioni”.

matteo.moca@gmail.com

M Moca è dottorando in letteratura italiana all’Università Paris Ouest e all’università di Bologna