Donne e università

di Non Una di Meno Roma Tre

L’emergenza pandemica avrebbe dovuto essere un’occasione per ripensare profondamente la formazione e l’Università, non solo nei termini dei protocolli di sicurezza sanitari, ma per una riflessione su tutte le sue componenti. Sono i documenti della Banca Mondiale e della Commissione Europea a evidenziare come gli effetti della pandemia abbiano colpito in termini occupazionali e di opportunità di carriera soprattutto le donne. Non è una situazione creata dalla pandemia, bensì il riconoscimento che la pandemia la ha aggravata perché il carico di lavoro relazionale e di cura, necessario alla sopravvivenza stessa della società, pesa in maniera radicalmente diversa su uomini e donne, giacché non ha a che fare solo con una differenza biologica ma con un’ascrizione di genere fortemente radicata nei ruoli sociali.

Se l’Italia occupa il terzultimo posto in Europa in termini di gap retributivo tra donne e uomini, l’Università italiana è uno dei luoghi in cui il differenziale di genere più si amplia risalendo la piramide dei ruoli docenti e amministrativi: se all’inizio della carriera i numeri delle e dei docenti sono alla pari, tra le e gli ordinari il rapporto passa a 1/3, fino a raggiungere 1/5 o 1/6 in molti settori disciplinari; ancora più significativo è il differenziale negli organi di governo e nelle funzioni amministrative apicali. Questo dato mostra che l’Università è, per le donne, un luogo di progressiva vulnerabilizzazione, rispetto alle opportunità di carriera ma anche rispetto al più generale benessere lavorativo.

Quali sono le conseguenze sull’agenda della didattica e della ricerca di una situazione che il lascito della pandemia non farà che esacerbare negli anni? Ma, soprattutto, quali le conseguenze per un’istituzione il cui compito è formare le stesse strutture della società? Sono queste le domande che l’università dovrebbe porsi per affrontare un presente storico così difficile.

Non Una di Meno Roma Tre è un gruppo di lavoratrici dell’Ateneo che si è formato nella convinzione che l’Università debba essere un presidio imprescindibile del contrasto alla violenza maschile contro le donne, e questo non può che partire dal disvelamento della violenza epistemica che attraversa l’Università stessa, a cominciare dal linguaggio fino alla riproduzione delle gerarchie nei ruoli sociali. È questa consapevolezza che dobbiamo a Sara Di Pietrantonio, nostra studente vittima di femminicidio nel 2016; ed è per questa ragione che anche quest’anno sosterremo lo sciopero femminista dell’8 marzo contro la violenza di genere nella società.