Jean-Henri Fabre – Ricordi di un entomologo

I nidi di sterco degli scarabei

di Maria Cristina Lorenzi

Jean-Henri Fabre
Ricordi di un entomologo
vol. 1, ed. orig. 1879,
trad. dal francese di Laura Frausin Guarino, 
prefaz. di Gerald Durrell
pp. 679, € 38,
Adelphi, Milano 2020

Certo la mole scoraggia. Ma la lettura è piacevole e Ricordi di un entomologo di Jean-Henri Fabre ci apre il sipario su un mondo in cui la vita scorreva lentamente. Spesso identificato come entomologo, Jean-Henri Fabre (1823-1915) è stato uno scienziato eclettico e uno scrittore prolifico. Candidato da un ex-Nobel al Premio Nobel per la Letteratura nel 1912, le sue opere rispecchiano i suoi vasti interessi scientifici che spaziano dalla chimica alla geologia, dalla botanica alla zoologia, ma certamente l’entomologia è uno dei soggetti preferiti delle sue opere.

Fabre era infatti affascinato dal mondo degli insetti e nei Ricordi ne descrive la vita e il comportamento con un linguaggio poetico un po’ d’altri tempi, ma anche con una scrittura agile e scorrevole. Il libro, introdotto da un testo di Gerald Durrell, è organizzato in capitoli, e ogni capitolo è un quadretto che illustra le abitudini di un insetto: come la vespa solitaria cattura e paralizza la preda che fungerà da riserva di cibo per la propria prole, come lo scarabeo stercoraro approvvigiona il nido sotterraneo facendo rotolare le pallottole di sterco che serviranno da nutrimento per la prole, come le formiche schiaviste razziano i nidi vicini per procurarsi le schiave. Fabre è un precursore dell’etologia, che avrebbe visto la luce come scienza del comportamento qualche decennio dopo la sua morte con i lavori di Konrad Lorenz, Niko Tinbergen e Karl von Frisch. L’interesse dello scrittore per il comportamento è grande, e non solo per il comportamento dell’insetto soggetto del capitolo, ma anche per le altre specie animali che occasionalmente gli si affacciano intorno: quando l’attenzione è puntata sugli scarabei stercorari, non gli sfugge lo spinarello, un pesciolino d’acqua dolce che nel ruscello accanto si difende da un predatore rizzando gli aculei della pinna dorsale.

Il suo, è dunque l’occhio di un naturalista attento e curioso che ci accompagna per i campi della Provenza nel sud della Francia o su per i monti a visitare luoghi e osservare la natura, con particolare attenzione agli insetti, la loro vita, il loro ambiente, il loro comportamento, ma non solo. Prendiamo il capitolo dell’escursione al Monte Ventoux: una camminata d’altri tempi. Gli insetti qui non sono i protagonisti, lo sono il paesaggio, le piante, il cielo e le condizioni atmosferiche. Fabre ci fa rivivere la pace di un’escursione in montagna alla fine dell’ottocento, quando il tempo non era una risorsa limitata e si godeva appieno delle bellezze dell’ambiente naturale.

Fabre è molto interessato alla funzione del comportamento e ai suoi meccanismi. Fa le sue osservazioni sulle modalità di nidificazione di una vespa scavatrice, poi si interroga su perché la vespa manifesti quel particolare comportamento e quali fattori ambientali lo giustificano in confronto a quello di una specie simile che vive in un altro ambiente. Ha un approccio squisitamente sperimentale, e anticipando l’attitudine scientifica dei primi etologi, mette alla prova le sue ipotesi con semplici e geniali esperimenti scientifici. Lo vediamo quando per esempio descrive il comportamento delle ammofile che paralizzano la preda che servirà da nutrimento per la prole e si chiede come e perché la preda possa conservarsi a lungo intatta in seguito alla puntura del predatore, mentre gli stessi insetti da lui catturati imputridiscono inesorabilmente dopo pochi giorni. Ritroviamo il suo atteggiamento scientifico quando discute e confuta una per una le ipotesi allora in voga sulle capacità di orientamento dei piccioni viaggiatori o di ritorno al nido delle api muraiole, per poi riconoscere (concordando con Darwin!) che alcuni animali devono possedere capacità sensoriali diverse dalle nostre.

Molto interessanti sono i capitoli in cui l’autore fa riferimento all’istinto. É vero che qua e là nel testo usa termini antropomorfici che oggi troviamo un po’ stridenti (l’insetto “sa”, l’insetto “conosce”). Ma poi è incredibilmente attuale e moderno quando riflette che l’insetto (questa volta si riferisce ad una vespa scavatrice del genere Sphex) può “sapere tutto e tutto ignorare”, in quello che oggi riconosciamo come frutto di adattamento per selezione naturale, ma che quando Fabre scriveva era certo un processo ancora poco chiaro (Darwin gli è contemporaneo, ma Fabre aveva un atteggiamento scettico sulla teoria di Darwin). Per concludere: un testo ricco e formativo e una lettura piacevole.

lorenzi@univ-paris13.fr

M. C. Lorenzi insegna etologia all’Università Sorbona di Parigi