Matematica e filosofia: i due amori di Cesare Musatti

La geometria e la rappresentazione scientifica del mondo interiore

di Gabriele Lolli

Forse solo chi conosce bene la storia della psicologia in Italia non si meraviglierà di questo volume che contiene la tesi di laurea del 1921 di Cesare Musatti (1897-1989) (Cesare L. Musatti, Geometrie non-euclidee e problema della conoscenza, a cura di Aurelio Molaro, Prefazione di Mauro Antonelli, pp. 539, € 28, Mimesis, Sesto San Giovanni 2019), noto come padre fondatore della psicoanalisi in Italia, psicologo della percezione, psicologo applicato in campo giuridico e del lavoro. Per gli altri era l’autore del Trattato di psicoanalisi (Boringhieri, 1962). Ma negli anni di formazione, e durante la partecipazione alla guerra, dal 1916, Musatti fu attratto da due amori, la matematica e la filosofia. Si iscrisse presso l’Università di Padova al biennio propedeutico di ingegneria passando subito, nel dicembre 1915, al corso di laurea in filosofia. In un momento in cui la crisi dei fondamenti della matematica investiva anche altre discipline, Musatti sentiva la mancanza di un’adeguata considerazione del processo di acquisizione del sapere scientifico, dice nella prefazione Mauro Antonelli. A matematica trovò arida la materia nonostante insegnanti del calibro di Ricci Curbastro e Severi, che “però si muovevano soprattutto nell’ambito del puro calcolo, e sembravano meno interessati specificamente al problema dei princìpi”. Racconta nella tesi che incontrò come maestro Antonio Aliotta (1881-1964), già autore di La misura in psicologia sperimentale (tesi di laurea, 1905) e La reazione idealistica contro la scienza (Optima, 1912).

Musatti s’iscrisse di nuovo a matematica dopo la laurea, frequentando due anni i corsi senza dare esami, e fu solo allora che rinunciò “alle sue aspirazioni formative in ambito matematico-geometrico”. Ma ancora a distanza di trent’anni, in una conferenza presso la Casa della cultura di Milano si chiedeva: “La geometria è proprio così estranea agli studi psicologici? Direi di no, e in base a fatti concreti: a) Kanizsa ha licenziato un lavoro, applicazione alla psicologia sociale dei concetti di Kurt Lewin (…). Per matematizzare la psicologia (renderla più rigorosa) non bisogna rivolgersi alle equazioni differenziali, ma ai concetti della geometria di proiezione, topologia, analysis situs (psicologia topologica); b) Psichiatri dell’indirizzo antropoanalitico sostengono che si possono descrivere le alterazioni che si compiono in alcuni malati mentali nel modo di vivere i propri rapporti con la realtà, come deformazioni della geometria dello spazio immediato da essi vissuto, descrivibili in termini geometrici. (…) Non solo la geometria appare indispensabile per una rappresentazione scientifica del mondo fisico, ma anche per una rappresentazione scientifica del mondo interiore”.

Trasferito Aliotta a Napoli, Musatti faceva l’assistente volontario a Vittorio Benussi, che insegnava psicologia sperimentale. Pubblicò Analisi del concetto di realtà empirica (Il Solco, 1926) come sviluppo delle considerazioni filosofiche della tesi. Questa è stata riesumata dall’Archivio storico della psicologia italiana, Archivio Cesare Musatti, dell’Università di Milano-Bicocca, e curata con un lavoro immane e rigoroso da Aurelio Molaro che ha premesso una corposa introduzione di cento pagine e più di 300 note, dove i lettori troveranno gli elementi per capire il significato epistemologico e filosofico delle geometrie non-euclidee. Nel testo di Musatti rischiano di perdersi: un primo capitolo generale è dedicato alla storia della filosofia e la storia delle scienze, seguendo la linea di La reazione idealistica di Aliotta. Una prima parte è dedicata alle “interpretazioni gnoseologiche” delle nuove geometrie proposte dalle diverse scuole di pensiero, e una seconda parte è un saggio sulla teoria della conoscenza spaziale geometrica. Sorprende l’ampiezza delle letture del candidato, la sua maturità e il coraggio di teorizzare. Viene da esclamare “ah, le tesi di una volta”.

Le geometrie non-euclidee nascono intorno al 1830, dopo una ricerca bimillenaria iniziata dai primi commentatori di Euclide, con la pubblicazione da parte di Nikolaj I. Lobačevskij (1792-1856) e di János Bolyai (1802-1860) di teorie che negavano il V postulato di Euclide sull’esistenza di un’unica retta parallela passante per un punto esterno a una retta data, e ne contemplavano più di una (con varie conseguenze divergenti, come la somma degli angoli interni di un triangolo minore di 180°); divennero oggetto d’interesse dopo la metà del secolo con la pubblicazione di scritti inediti di Carl F. Gauss (1777-1855), che le aveva anticipate, e di Bernhard Riemann (1826-1866), che ne proponeva un’altra, senza parallele, ma soprattutto delineava un concetto più generale di spazio. Gli studi si concentrarono sulla coerenza di queste nuove teorie, e risultò che esse erano coerenti quanto quella euclidea, cioè se e solo se questa era coerente. Incominciò a prendere corpo l’ammissione che la giustificazione di una teoria per i matematici dipendeva non dalla sua aderenza ai fenomeni fisici rappresentati e studiati ma dalla sola coerenza interna. Tale conversione rappresenta uno spartiacque epocale per la concezione della natura della matematica. Sostenuta, non senza contrasti, da matematici di diversa formazione e impostazione come Henri Poincaré (1854-1912), Federigo Enriques (1871-1946), David Hilbert (1862-1943), finì per essere sanzionata come “metodo assiomatico”, e dominare nel Novecento, grazie all’opera di quest’ultimo sui Fondamenti della geometria (1899).

Musatti la sottopone a un esame dettagliato nel capitolo VIII dedicato ai Logici, adottando l’interpretazione di Giovanni Vailati (1863-1909) del “significato strumentale degli assiomi”, che sono arbitrari e ai quali non è attribuito alcun significato. Nota tuttavia che le frasi che Hilbert usa nell’introdurli a gruppi: questi “definiscono…”, o “stabiliscono…”, questi altri “semplificano…”, questi altri ancora “permettono d’introdurre…”, di fatto motivano la loro assunzione, che non è dunque assolutamente arbitraria, ma ha l’obiettivo di semplificare, o di introdurre un nuovo concetto, così limitando il campo delle possibili geometrie. Sembra che il relatore Aliotta non sia stato particolarmente colpito da questa acuta analisi.

Assai vivaci, anche se poco conclusive, furono le conseguenze del riconoscimento delle geometrie non-euclidee per la teoria della conoscenza, in particolare la conoscenza dello spazio. Ancora prevaleva la dottrina di Kant sulla natura a priori dell’idea di spazio, ma adesso si doveva fare una scelta e trovare una risposta a quale fosse lo spazio in cui siamo collocati, quale quello più adatto a spiegare le rappresentazioni dei nostri movimenti e delle nostre percezioni. Invece di assumere vero il vecchio assioma euclideo si doveva fondare il tipo di conoscenza condiviso, chi razionalmente, chi con l’esperienza, chi con l’intuizione, chi convenzionalmente, chi anche basandosi sulla psicologia delle percezioni. Scienziati-filosofi come Hermann von Helmholtz, Charles Renouvier, Joseph Delbouf, Hermann Lotze, Auguste Calinon, Georges Lechalas, Bertrand Russell, Henri Poincaré diedero vita a un ricco dibattito qui dettagliatamente riportato e commentato. Fin troppo minutamente, ammette quasi scusandosi lo studente che teme di aver fatto sfoggio della sua erudizione.

Ma due concezioni principali si confrontano secondo Musatti alla fine del periodo esaminato, quella di Bertrand Russell (1872-1970) e quella di Poincaré. Russell vuole salvare la necessità di qualche forma di a priori, Poincaré insiste sul carattere convenzionale di ogni sistema geometrico. Musatti vorrebbe metterle d’accordo; le due posizioni non si contraddicono, una interessata alle condizioni di possibilità di qualsiasi geometria, l’altra che svincola la loro determinazione dall’esperienza sostenendo l’interdipendenza tra geometrie e teorie fisiche. Più in generale Musatti vuole salvare una convivenza tra kantismo e convenzionalismo riconoscendo la valenza di necessità di ragione ai caratteri della spazialità (continuità, divisibilità e illimitatezza) e dunque di “convenzioni necessarie” (se non è ossimorico); applicherà queste idee per la fondazione della psicologia come scienza empirica nel lavoro del 1926, insieme con altre convinzioni da tempo maturate. Nel 1983 ricordava: “Da adolescente mi ero molto interessato agli scritti di Vailati, come a quelli di Poincaré e di Federigo Enriques, col quale ho avuto anche la possibilità, qualche anno più tardi, di istituire rapporti personali. Ciò che accomuna questi studiosi, pur tanto diversi tra loro, o per dir meglio, ciò da cui io stesso ero colpito in essi, era soprattutto il modo diverso (rispetto a quello del pensiero comune) di concepire le scienze fisico-matematiche, la matematica elementare, la geometria e la fisica stessa, come qualcosa di costruito dal pensiero umano e non di dato o desunto dal mondo reale”.

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G. Lolli ha insegnato matematica alla Scuola Normale di Pisa