Guido Barbujani – L’alba della storia. Una rivoluzione iniziata diecimila anni fa

Guido Barbujani
L’alba della storia
Una rivoluzione iniziata diecimila anni fa
pp. 201, € 20,
Laterza, Roma-Bari 2024

L’agricoltura motore della crescita umana

di Fabio Malavasi

Tradizionalmente associata allo studio di caratteri ereditari semplici (come nei piselli di Mendel) o di malattie rare familiari, in tempi più recenti la genetica si è rivolta allo studio delle basi biologiche della variabilità individuale e della sua distribuzione nelle popolazioni. Un’iniziativa cruciale fu lanciata negli anni settanta a Torino da Ruggero Ceppellini per definire le basi biologiche delle differenze individuali, identificate come istocompatibilità (hla), con l’obiettivo di rendere possibili i trapianti nell’uomo. Questo richiedeva una conoscenza della costituzione genetica delle popolazioni. Da qui nacque un grande sforzo internazionale per studiare la genetica delle popolazioni attuali, utilizzando i dati anche per ricostruire la loro storia.

È in questo contesto che si inserisce il contributo di Guido Barbujani. Dopo la laurea in biologia a Ferrara, Barbujani ha svolto una brillante carriera accademica, focalizzandosi sulla genetica di popolazione e ampliando la sua cultura in importanti centri internazionali.

Luigi Luca Cavalli-Sforza fu figura di riferimento nel campo quando insegnava a Stanford. Con una ricca esperienza multidisciplinare, intelligenza fulminante e personale curiosità, ebbe accesso negli Stati Uniti a risorse superiori rispetto a quella Europa. Cavalli-Sforza avanzò l’audace ipotesi che i geni attuali potessero agire da indicatori affidabili della storia umana, ipotesi studiata sfruttando la potenza analitica dei primi computer Ibm. Creò un gruppo specifico, invitando Alberto Piazza di Torino e Paolo Menozzi di Parma, per rappresentare simultaneamente la diffusione dei geni noti in mappe grafiche, usando colori per indicare differenze quantitative. Questo approccio ebbe successo: la prima carta geografica delle frequenze geniche dell’Europa guadagnò la copertina della rivista “Science”, un risultato ottenuto fotografando uno schermo di computer prestato dai militari Usa.

Questi studi suscitarono enorme interesse anche tra archeologi e antropologi. Cavalli-Sforza e altri ricercatori decisero quindi di fondere dati genetici con informazioni da archeologia, antropologia e demografia per costruire un quadro verosimile della storia umana negli ultimi diecimila anni, fondamentali su dati culturali e migrazioni.

Egli racconta gli eventi rivoluzionari di circa diecimila anni fa con uno stile lineare, accessibile e coinvolgente.

Elemento cruciale di questa rivoluzione è l’agricoltura, considerata uno dei motori della crescita umana. L’autore include una digressione sulla tragica storia di Nikolaj Ivanovič Vavilov e Trofim Denisovič Lysenko nell’Unione Sovietica, legata all’agricoltura e alle teorie genetiche. Altre tappe sequenziali sono la nascita delle città, con il cambiamento da cacciatori/raccoglitori a popolazioni stanziali di agricoltori. Questo nuovo stile di vita portò maggiore benessere, migliorando alimentazione e riproduzione, ma la crescita demografica rese necessario migrare per trovare nuove risorse. L’importanza dell’alimentazione, con la domesticazione di piante e animali, è un nodo focale del libro.

Per giungere a queste conclusioni integrate è stato necessario unire dati di diverse discipline (genetisti, archeologi, antropologi, linguisti) che latitavano a comunicare tra di loro. Questi incontri multidisciplinari furono segnati da scontri aspri dovuti a visioni diverse: anche tra linguisti e genetisti c’erano barriere, non solo accademiche. Il primo convegno con genetisti, archeologi e linguisti, organizzato da Piazza a Torino, aiutò ad appianare controversie, sebbene con una certa diffidenza reciproca. “Mathemagical” è il termine scettico usato allora da alcuni e che la dice lunga. Il progetto di fondere migrazioni, cultura, storia e genetica porta a conclusioni significative sulla composizione delle società attuali. La conclusione finale, quasi ovvia, è che la razza non esiste. Barbujani si prende gioco dei sostenitori del concetto di razza, idee non scomparse oggi. Questo enorme sforzo, che ha visto Barbujani tra i protagonisti, è stato reso possibile da intuizioni di menti illuminate, da diversi atteggiamenti sociali e da un importante contributo tecnologico. Il valore aggiunto di questi risultati storici si vede anche nella loro ricaduta sull’analisi delle malattie odierne. L’auspicio è che un simile sforzo possa essere applicato alla medicina della longevità.

fabio.malavasi@unito.it
Fabio Malavasi ha insegnato genetica medica all’Università di Torino

Gli albori della civiltà

di Davide Lovisolo

Guido Barbujani, autorevole genetista di popolazioni è anche un ottimo comunicatore, e si è impegnato in particolare nella confutazione degli stereotipi sull’esistenza di razze umane, contribuendo a far capire come la diversità genetica fra individui sia molto più ampia di quella fra popolazioni diverse. Nella sua ultima opera affronta un tema affascinante e complicato, quello della rivoluzione che 11.000 anni fa segnò il passaggio dal paleolitico al neolitico, e trasformò la nostra specie, facendola passare dal nomadismo dei cacciatori-raccoglitori a un insieme di popolazioni sedentarie che iniziarono a praticare agricoltura e allevamento, creando insediamenti stabili e sempre più complessi: fu l’alba della storia.

Barbujani parte dal presente, in cui cambiamenti velocissimi e confusi inducono serie e motivate preoccupazioni e forse immotivate paure, per chiedersi: ma è la prima volta nella nostra storia? La risposta è no, quello che è successo tantissimi anni fa fu la rivoluzione più radicale che finora la nostra specie abbia sperimentato. La domanda dell’autore è: come è potuto succedere? La distanza da quegli eventi ha per lungo tempo scoraggiato i ricercatori, ma negli ultimi decenni la combinazione fra i dati archeologici e le nuove tecniche di analisi del genoma ha consentito di costruire una narrazione che, se non è fondata su sicurezze granitiche, lo è su ragionate e ragionevoli ipotesi.

La storia che il libro racconta è una storia di migrazioni, che dai primi centri propagano le nuove tecniche e le nuove forme sociali che a esse sono legate, ai quattro angoli del mondo. E si parte dal basso, dalla terra, dai semi: il testo inizia col capitolo Migrazioni di piante, perché è con i primi segni di coltivazione che possiamo datare l’inizio della rivoluzione neolitica. La mezzaluna fertile è stata sicuramente il primo di questi centri di irraggiamento, ma nei millenni successivi si trovano tracce in Cina, nell’America del sud, e via via. Compaiono specie nuove, selezionate per la loro resa e la loro utilità, che difficilmente sopravviverebbero senza l’opera dell’uomo: è la “selezione artificiale”.Il capitolo successivo si intitola Nascono le città, perché è proprio la nuova tecnologia che porta alla formazione di aggregati umani stabili. I primi insediamenti iniziano con il neolitico, la prima vera città è probabilmente Huyuk, sorta in Anatolia 8.500 anni fa. Come erano grandi questi agglomerati? Quanta gente ci viveva? Quali sono stati i pro e i contro delle scelte fatte dalla nostra specie? Si viveva meglio o peggio? Quando comparvero gerarchie sociali? Qui i dati archeologici si intersecano con quelli paleontologici e genetici. Quello che emerge è che la maggiore disponibilità di cibo e un primo livello di organizzazione sociale portarono a condizioni di vita sostanzialmente migliori e a una rapida crescita della popolazione. E quando il territorio non era più in grado di soddisfare le nuove esigenze, cominciarono le grandi migrazioni; e a questo complesso e intrigante processo è dedicato il capitolo forse più denso del libro. La comprensione di come la rivoluzione neolitica in agricoltura sia da attribuire a un processo migratorio, graduale e continuo, che dal vicino oriente ha invaso come un’onda tutta l’Europa occidentale e parte della costa mediterranea dell’Africa, è stata possibile grazie al contributo pionieristico del gruppo di Luigi Luca Cavalli-Sforza e Alberto Piazza, grazie a un uso creativo delle tecniche di analisi genetica disponibili negli anni settanta; oggi, con le tecniche più sofisticate che consentono l’analisi del dna antico, il quadro si è completato ma sostanzialmente confermato. Un altro capitolo è dedicato alle migrazioni di animali, che hanno accompagnato quelle degli umani. Ancora, per comprendere le nostre origini, oltre che al dna si può guardare alle lingue. L’epilogo, Guardare lontano, prova a legare la lunga storia della nostra civilizzazione al futuro.

Un bel libro, che usa molti concetti biologici e anche termini tecnici, ma che consente di non perdere il filo. Utile il piccolo glossario finale.

davide.lovisolo@unito.it
Davide Lovisolo ha insegnato fisiologia all’Università di Torino