Speciale Gianni Celati: una voce savia e folle

di Eloisa Morra

dal numero di maggio 2016

Il numero di maggio dedica uno speciale di quattro pagine a Gianni Celati:

Quando Celati dormiva con Basaglia, di Michele Ronchi Stefanati
Pedinando Zavattini, di Gianni Celati
Gianni Celati Romanzi, cronache e racconti, di Ivan Tassi
Celati, Stendhal, Delfini scrittori-contrabbandieri, di Anna Palumbo
Gianni Celati La banda dei sospiri, di Massimo Castiglioni
La banda dei sospiri: Un viaggio attraverso le edizioni, di Maria Pia Arpioni

(gli articoli sono nell’area riservata agli abbonati)

“L’impulso iniziale può avere tanti aspetti quanti sono i temperamenti e i talenti; può essere l’accumulo di una serie di choc praticamente inconsapevoli o un’ispirata combinazione di idee astratte e prive di uno sfondo ben definito. Ma in un modo o nell’altro, il processo resta riducibile alla forma più naturale di fremito creativo: un’improvvisa immagine vivente costruita in un lampo con unità dissimili, colte tutte assieme in un’esplosione stellare della mente”. Oltre a evocare l’avventuroso itinerario di Gianni Celati, queste parole di Nabokov potrebbero fungere da ideale risposta alle perplessità, provenienti da più versanti, sull’operazione di raccolta delle sue opere narrative all’interno del Meridiano curato da Marco Belpoliti e Nunzia Palmieri. Varrebbe la pena raccogliere le maggiori opere di un autore contemporaneo vivente, per di più un outsider votato a una letteratura tesa al superamento dei suoi stessi confini? Non si corre – ci si chiede – il rischio di ingabbiare in una subitanea monumentalizzazione un talento narrativo libero e divagante? Il problema è mal posto, e non solo per via della conformazione variegata che la collana è venuta assumendo negli ultimi anni: perché le opere dei veri scrittori, anche i più apparentemente antiletterari, non faranno che scrollarsi di dosso le interpretazioni dei critici per tornare a farsi leggere di nuovo, intatte.

CelatiI sentieri percorsi in questo speciale sono solo alcune vie di ricerca possibili; nascono dalle sollecitazioni delle quasi duemila pagine del Meridiano, che, lungi dall’agire a mo’ di cenotafio, hanno il merito non scontato di farci assistere in sequenza alle “esplosioni stellari della mente” che animano il percorso celatiano: dalla trilogia stralunata degli esordi fino al libro-ponte Lunario del Paradiso, passando attraverso il “novellino padano” degli anni ottanta per poi sfumare sulle opere più recenti. Lo scorrere di questi fotogrammi narrativi mette il lettore di fronte a una verità ben evidenziata da Belpoliti nel suo saggio d’apertura: in qualsiasi punto la fermiamo, “la voce di Celati emerge con una nettezza e un’originalità assoluta”. L’ordinamento volutamente piano e reader-oriented – si procede cronologicamente per ordine di pubblicazione – scelto dai curatori non fa che accentuare questo dato: Celati è senza dubbio uno scrittore di “libri unici”, ovvero di libri, suggerisce Calasso in L’impronta dell’editore, “dove subito si riconosce che all’autore è accaduto qualcosa e quel qualcosa ha finito per depositarsi in uno scritto”; allo stesso tempo, la sua vera opera è data dall’inconfondibile modulazione vocale che emerge dall’insieme dei suoi scritti.

Ciò che rende riconoscibile Celati a ogni apertura di pagina è proprio la verità della figura mentale che si muove (come in un Teatro dei Mimi mai dismesso) dietro le maschere del brutalizzato professor Otero Aloysio, di Garibaldi lo sbandato o nel dipintore d’insegne Menini: una voce che è a tratti folle e savia, irriverente e malinconica, conscia che l’unico esito umano possibile è il fallimento e che dunque non resta altro che fabulare, raccontar fole per alleviare i dolori e ingannare il tempo che passa. In questo quadro vivere e raccontare non risultano più attività separate e incomunicabili; “entrambe” dice ancora Belpoliti “si nutrono di cerimoniali, perciò vivere significa intessere racconti. E raccontare è il modo migliore per appaesarsi nella propria sconclusionata vita”. Tutto fin troppo lineare, se a quest’apparente semplicità lo scrittore non fosse pervenuto in seguito ad anni di apprendistato costellati di incontri, errori, progetti falliti o mai andati in porto. Il Meridiano ne presenta testimonianza esplicita non solo attraverso la Cronologia e le note al testo, ricche di materiali d’archivio, ma anche grazie alla puntuale bibliografia compilata da Anna Stefi, che costituirà senza dubbio una mappa e una bussola per orientarsi nella materia magmatica degli studi di e su Celati. L’incrocio tra le due serie di dati dà corpo all’immagine d’un autore che per molti aspetti somiglia inaspettatamente al suo opposto, Pier Paolo Pasolini: li unisce senz’altro l’idea della performatività dell’opera, con il gesto dell’autore che entra in azione quanto il suo testo (e il conseguente tornare sui propri passi, come dimostrano le molteplici operazioni di riscrittura: da Comiche, presente in appendice anche nella versione 1972-1973, alle tre stesure di Lunario, fino alla riedizione di Banda dei Sospiri ristampata da Quodlibet e recensita in queste pagine). Un secondo punto di contatto è dato dall’attraversamento appassionato delle discipline più diverse, che Celati opera però con ben altra sistematicità e armonia: basti pensare alla profondità del suo rapporto con l’antropologia, che – ricorda Andrea Cortellessa – lo spinge a “considerare l’atto del narrare in sé. Più un processo che un dato, più una condizione che un atto, più un flusso che un oggetto”.

È inevitabile che questo narrare arioso e “naturale”, volto a far immergere il lettore-ascoltatore nell’iridescenza del tempo”, metta in crisi la tradizionale distinzione editoriale in “romanzi e racconti”; nemmeno il terzo elemento giustamente aggiunto dai curatori, quello delle cronache, esaurisce la molteplicità di una creatività che si muove in più direzioni, in una continua apertura all’impensato. Traduzioni, saggi, poesie, libri fotografici, documentari: pensare a Celati senza tener conto di questo continuum di esperienze (e di un’apertura alla virtualità ereditata da Cesare Zavattini, di cui lo scrittore parla nella rara testimonianza qui ripubblicata) è impossibile, e forse sarebbe stato opportuno dotare il Meridiano di un secondo volume o di alcune appendici. A mostrare almeno parte dell’altra metà di Celati arriva però la bella raccolta di saggi recentemente pubblicata da Quodlibet, Studi d’affezione per amici e altri (Macerata 2016, pp. 277, € 16,50), ideale seguito di Conversazioni del vento volatore. Affezione è un termine leopardiano, ed è “un qualcosa di esterno che ci tocca, che produce un’inclinazione del pensiero e dei sensi; e tutti i libri che ci piacciono agiscono su di noi in questo modo”. Ne nasce una scrittura saggistica non lontana dalla narrativa, tesa ad accentuare le risposte interne e gli echi delle frasi in un fraseggio che insegue il filo arzigogolato dei pensieri. E simile è non soltanto il tono, ma anche il metodo di lavoro per accumulazioni e spostamenti di tasselli diversi, secondo la pratica del montaggio volto a creare l’illusione della continuità attraverso cui Celati ha dato vita a parecchi suoi libri.

Così per gli otto studi che compongono il volume, dedicati a passioni di lungo corso: dalla novellistica al poema cavalleresco, passando per l’eccentrico Tomaso Garzoni, fino a Imbriani, Tozzi, Campana, Delfini, Manganelli. Centro dell’attenzione di Celati è Leopardi, con la sua vocazione a una poetica della vaghezza che si traduce in una scrittura impossibile da racchiudere entro un orizzonte definito (una traccia di vicinanza con Una pietra sopra, ma con l’eliminazione di Galileo a favore di Basile); nelle sue opere non catalogabili, e sempre volte a denunciare la vanità delle ambizioni umane, l’autore di Narratori delle pianure riconosce lo specchio in cui sempre tornare a guardarsi. Leopardi è il nucleo italiano d’una tradizione più ampia, che dalle digressioni e ondeggiamenti del pensiero trae impeto narrativo: da Stendhal a Gadda, Celati ama le narrazioni fluide, avventurose, panoramiche, che attraversano rapidamente gli eventi senza adottare un punto di vista fisso o una linea retta da A a B. Questo sono per Celati i classici: libri in cui perdersi, e “se uno non riesce a perdersi in questi libri, se non riesce ad essere turbato per il fatto di essersi perso, be’ io non capisco perché debba leggerli”. È lo stesso senso di piacevole spaesamento che si prova nel leggere Celati, e un invito ad attraversare i suoi paesaggi di parole.

eloisamorra@fas.harvard.edu

E Morra è ricercatrice di letteratura italiana all’Università di Harvard