Lorenzo Figoni, Luca Rondi – Gorgo cpr. Tra vite perdute, psicofarmaci e appalti milionari

Lorenzo Figoni, Luca Rondi
Gorgo CPR
Tra vite perdute, psicofarmaci e appalti milionari
pp. 176, € 16,
Altrɘconomia, Milano 2024

Detenzione amministrativa senza dignità

di Marta Capesciotti

Con il D.L. 28 marzo 2025, n. 37, il governo italiano ha deciso di rilanciare il progetto dei centri albanesi di Gjadër e Shëngjin, prevedendo la possibilità di trasferirvi persone straniere senza regolare permesso di soggiorno già destinatarie di un provvedimento di espulsione in Italia. Il centro di Gjadër disponeva già di un’area equiparata a un Centro di Permanenza per il Rimpatrio (cpr), ma si tratta in sostanza di modificare de facto il contenuto del protocollo Italia-Albania, prevedendo un complesso sistema di trasferimenti tra le due sponde dell’Adriatico: in attesa del rimpatrio, le persone verrebbero trasferite in Albania per poi essere riportate in Italia laddove il rimpatrio fosse davvero predisposto. In caso contrario? Questo non viene specificato. Nel frattempo, sempre a marzo, dal cpr di Trapani-Milo è trapelato un video registrato da un cellulare – nonostante il divieto di introdurre smartphone in vigore anche in quel centro, senza alcuna base giuridica – che mostra la repressione violenta dello sciopero della fame iniziato dalle 150 persone detenute a seguito del tentativo di suicidio di un giovane tunisino. I cpr sono quindi tornati sulle pagine dei quotidiani e nel dibattito pubblico che troppo spesso spegne i riflettori sul sistema patogeno della detenzione amministrativa in Italia.

Gorgo cpr ha proprio l’obiettivo di accendere questo riflettore con un’inchiesta giornalistica, ricca di dati, testimonianze e documenti che integrano le indagini già dedicate dalla rivista “Altrɘconomia” a questo tema. Sono tanti i temi affrontati dai due autori, un ritratto a tutto tondo di un sistema opaco sia in termini di gestione che di responsabilità su quanto accade all’interno dei centri. Un sistema punitivo che incide sulla libertà personale e in cui però le traiettorie delle persone recluse, i loro diritti e le condizioni di detenzione nei centri scompaiono, fagocitate da una narrazione pubblica e politica sulle migrazioni che persiste nel presentarle come una costante emergenza, di fronte alla quale la compressione dei diritti viene intesa come giustificata da cause di forza maggiore.

Un dato preliminare è d’obbligo: questo libro è stato reso possibile dalle numerose richieste di accesso civico generalizzato (foia) presentate dai due autori, che hanno consentito di visionare i documenti relativi alla gestione dei cpr, agli eventi critici che hanno luogo al loro interno, agli accordi in essere con i servizi pubblici e le realtà del territorio. Senza quest’opera minuziosa e testarda, l’opacità con cui la pubblica amministrazione gestisce i centri avrebbe avuto la meglio sulla libertà di informazione e anche su quel controllo pubblico e civico dei luoghi di detenzione che è condizione imprescindibile per il contrasto agli abusi e alla violenza. Al di là delle informazioni reperibili nel volume relative alla situazione nei singoli cpr – che forniscono un quadro chiaro, tra le altre cose, di come la gestione dei cpr sia appaltata a un numero ridotto di soggetti privati – i due autori evidenziano una serie di caratteristiche gestionali e giuridiche che fanno dei cpr un sistema patogeno, ovvero un dispositivo di detenzione che ha in sé tutti gli elementi che conducono a un peggioramento delle condizioni di vita e di salute delle persone recluse. Ed è un sistema patogeno da ogni punto di vista, a partire dal sistema giuridico assolutamente peculiare che lo regola: pur essendo luoghi di privazione della libertà personale, la convalida della detenzione è affidata ai giudici di pace – magistrati onorari pensati per tutt’altro fine – al fine di velocizzare le procedure. Già questo, secondo gli autori, rende evidente lo scarso valore riconosciuto alla libertà personale di chi non ha permesso di soggiorno: udienze di convalida non pubbliche, giudici di pace che emettono provvedimenti fotocopia limitandosi ad accogliere le richieste di trattenimento trasmesse dalle questure locali.

Oltre alla lesione delle garanzie costituzionali previste nei casi di limitazione della libertà personale, sono molte altre le violazioni dei diritti identificate nei cpr italiani. A partire dalla compressione ingiustificata della possibilità di comunicare con l’esterno, nonostante i cpr non si configurino come vere e proprie carceri: è sempre più diffusa la pratica di vietare i cellulari nei centri, o di limitarne l’uso rompendo la fotocamera. In tal modo i detenuti e le detenute non possono raccontare cosa succede loro, così preservando l’opacità della gestione, alimentata anche dalle difficoltà che i soggetti autorizzati riscontrano nel visitare i cpr. Vengono quindi meno i presidi che monitorano l’operato delle istituzioni e degli enti gestori privati. Anche il diritto alla salute viene violato nei cpr: il sistema di visite di idoneità all’ingresso è viziato dal fitto intreccio di rapporti tra questure, asl locali e medici che fa sì che nei centri finiscano persone le cui condizioni di salute fisica e psicologica sono chiaramente incompatibili con la detenzione. E proprio qui risiede la contraddizione insita nell’abuso di psicofarmaci nei cpr, come chiariscono i due autori; suggerendo che ci troviamo di fronte a un caso di sedazione di massa per fiaccare qualsiasi moto di protesta.

Le condizioni di detenzione dei cpr vengono denunciate da anni dalle persone recluse, dalle associazioni, dalla società civile. Tuttavia, i procedimenti giudiziari che riguardano i centri si focalizzano prevalentemente sui reati contro la pubblica amministrazione come se la detenzione fosse (solo) una questione di frode e sperpero del denaro pubblico. Raramente sotto il riflettore, anche giudiziario, ci sono i diritti delle persone recluse, gli abusi e le violenze che subiscono; anche se le persone nei cpr a volte ci muoiono, anche togliendosi la vita. Per ricordarlo il libro si apre con l’appello dei familiari di Moussa Balde e Ousmane Sylla, morti nei cpr italiani, e le loro storie sono poi raccontate insieme a quella di Wissen Abdel Latif, giovane tunisino morto nel Servizio psichiatrico di diagnosi e cura dell’ospedale San Camillo di Roma nel 2021, dopo essere stato sedato per cinque giorni, e dopo aver transitato dai cpr italiani.

Il sistema dei cpr per come si è strutturato finora, la sua natura sistematicamente patogena e lesiva dei diritti fondamentali, non risponde a un obbligo di legge. La normativa comunitaria in materia di rimpatri contemplava – almeno fino al nuovo Patto Ue sulla Migrazione e l’Asilo che entrerà in vigore nel 2026 – la detenzione ai fini del rimpatrio come una possibilità, non un obbligo. Possibilità di cui l’Italia ha fatto un uso intenso, in spregio alla garanzia di condizioni minime di vivibilità e dignità nei centri. Se, come evidenziano gli autori, il sistema cpr non ha reso il sistema dei rimpatri più efficiente, quello che ha fatto di sicuro è stato peggiorare le condizioni di vita e di salute di persone incappate nelle maglie sempre più stringenti del sistema europeo e italiano delle frontiere. Se non è stato possibile o non si è voluto vedere cosa succedeva e continua a succedere nei cpr italiani, niente fa sperare che sarà possibile operare un controllo pubblico e civico sulla detenzione amministrativa una volta che le persone straniere verranno fisicamente rimosse dal territorio italiano per essere detenute in centri ubicati sull’altra sponda dell’Adriatico.

capesciotti@fondazionebrodolini.eu
Capesciotti svolge attività di ricerca per la Fondazione Giacomo Brodolini di Roma