Non ci sono libri innocui: un inedito di Giorgio Manganelli

Un inedito sulla letteratura del teorico della neoavanguardia

di Giorgio Manganelli

dal numero di settembre 2014

In piazza del Popolo, a Roma, una lapide affissa alle mura verso piazzale Flaminio rammenta il sacrificio di due carbonari, giustiziati nell’Ottocento; la lapide non si rivolge a nessuno in particolare, ma tutti possono leggerla; coloro che la leggono provano emozioni, e forse la ricorderanno a lungo, o forse quelle due morti “vere” resteranno nella memoria solo come poche, anonime parole incise sul marmo. Quella lapide ha qualcosa che fa pensare a una pagina, la pagina di un libro; forse è un libro minuscolo e insieme vasto; le sue parole, ingenue e grandi, appartengono a tutti coloro che vogliono leggerle.

File:Campo Marzio - piazza del Popolo - caserma Acqua - memoria Tarchini e Montanari 00487.JPGNoi viviamo in un mondo di messaggi scritti: nella stessa piazza, certamente, ci sono manifesti che annunciano eventi prossimi, e anche manifesti che si riferiscono a eventi ormai dimenticati. Sono parole destinate a scomparire insieme a ciò di cui parlano. Le ascoltiamo rapidamente, se ci interessa ne prendiamo nota, e procediamo. Altre parole ammoniscono automobilisti e pedoni. Sono parole utili ed è bene porvi attenzione. Ma quella lapide è diversa. Non annuncia, non dà istruzioni. Racconta, celebra. Soprattutto è dedicata a tutti coloro che, generazione dopo generazione, passeranno per quella piazza. Cambieranno i mezzi di trasporto, cambierà la lingua delle persone che scorgono la lapide. Roma è piena di scritte vecchie di molti secoli, che ci ricordano che per queste strade, su questo selciato, un tempo si parlava una lingua diversa, simile e lontana dalla nostra di oggi. Supponiamo che quella lapide sia una pagina e che si giustapponga ad altre innumerevoli pagine; tutte dedicate a tutti e a nessuno in particolare: ecco un libro. La legge tutela il segreto epistolare, perché una lettera è scritta da un’unica persona a un’altra, ugualmente unica; reca un messaggio comprensibile solo nell’ambito segreto di una vita singola. Può decidere tutto per una o due persone, ma non ha nulla da dire alle altre. Il libro è una lettera che non ha busta, né indirizzo.

Riguarda la vita di tutti noi, di ciascuno di noi. È nostro, ma anche di persone che non sono più, non sono ancora. Nulla più di un libro ci fa consapevoli di appartenere a una comune umanità, illuminata e tormentata dalle medesime speranze e angosce. Il libro non si sa dove va, chi incontrerà, come sarà accolto; esso viaggia in mezzo a noi, come un meraviglioso enigma. Non tutti i libri hanno la stessa vitalità. Molti, la grande maggioranza, si estinguono; ma quei pochi che sopravvivono sembrano eterni. Essi sono totalmente umani, e che siano vecchi di una sola, o di trenta generazioni, pare non avere alcuna importanza. Leggiamo Omero, leggiamo Leopardi. Tra mille anni, se vi saranno uomini, leggeranno Omero e Leopardi. Dunque ci sono “grandi” libri, e ci sono “piccoli” libri. Ma non è facile definirli, né i grandi né i piccoli. Vi è qualcosa di misterioso attorno a un libro “grande”, e di solito il mistero avvolge anche il suo autore. Chissà se è esistito Omero. Di Shakespeare conosciamo data di nascita e morte e il nome della moglie. Di un “grande” libro possiamo dire che esso viene letto da una generazione dopo l’altra; I fratelli Karamazov di Dostoevskij ha compiuto cent’anni, e grandi libri sono stati scritti e si scriveranno sull’autore e su quel grande libro. Un grande libro racconta contemporaneamente molte storie e ogni lettore vi trova qualche cosa di diverso. Dunque un grande libro è inesauribile, come inesauribili sono gli esseri umani, misteriosi a se stessi. Vi sono libri che restano piccoli per molto tempo, poi, improvvisamente, diventano grandi. Pinocchio fu un libro per bambini, e solo da pochi anni ci si è accorti che è grande. I romanzi storici del nostro Ottocento ebbero migliaia di lettori, fecero piangere e disperare, e ora non si leggono più neppure a scuola, e di regola li leggono solo professori pagati per farlo. Non avere accesso al libro è dunque non avere accesso a noi stessi, alle zone più oscure, magiche, enigmatiche, a ciò che in noi sogna, ama, teme, crede e dispera. Oggetto umile e potente, il libro entra nella nostra vita con una forza terribile: e non è un caso che quelle parole siano state così spesso, siano tuttora perseguitate, trattate con diffidenza, con astio, con ira, giacché esse parlano a tutto ciò che è umano, o debbono tacere. Ma la totalità dell’uomo, sempre proposta e sempre elusa, è una oscura minaccia per chiunque abbia una verità in testa, e la forza di imporla.

Ci fu un tempo in cui la parola scritta era intimidatoria; pochi leggevano, e leggevano poche cose, e ne scrivevano anche di meno. Poi la parola scritta venne consegnata a tutti: divenne un privilegio, e insieme un mezzo per dominare. Parole liberatrici si mescolavano a parole che volevano persuadere all’ubbidienza. Allora qualcuno si rammentò che il bandito analfabeta imprendibile in mezzo alle montagne, era libero, assai più libero dell’uomo d’ordine che quotidianamente imparava una piccola e disonesta verità da un giornale qualsiasi. Ma il tempo passa, e le cose cambiano. Oggi, nuovamente, l’uomo orecchio, l’uomo palpebra, l’uomo che si consegna al quotidiano ipnotismo (manifesti, televisione, discorsi di potenti, immagini, tutto ciò che, apertamente o occultamente, è “propaganda”) è l’analfabeta che sa leggere, colui che ignora i libri, e soprattutto quello che i libri possono toccare dentro di lui.

In un mondo di pubblicità e di imbonimento, di menzogne non di rado confortate da cultura e da ingegnosa malafede, la possibilità di non essere catturati irreparabilmente, di non essere strumenti di incomprensibili o fittizie battaglie, sta nella nostra esperienza di noi stessi, della vastità e della drammaticità della sorte dell’uomo. Da questo punto di vista, non vi sono libri innocui, e non v’è cultura “che non fa male a nessuno” e rende migliori. Un grande libro è terribile, perché la sua storia dentro di noi non si spegnerà mai; e sarà la storia della nostra libertà.

Una biblioteca è molte, strane, inquietanti cose: è un circo, una balera, una cerimonia, un incantesimo, una magheria, un viaggio per la terra, un viaggio al centro della terra, un viaggio per i cieli; è silenzio ed è una moltitudine di voci; è sussurro ed è urlo; è favola, è chiacchiera, è discorso delle cose ultime, è memoria, è riso, è profezia; soprattutto è un infinito labirinto, e un enigma che non vogliamo sciogliere, perché la sua misteriosa grandezza dà un oscuro senso alla nostra vita, quel senso che la pubblicità va cercando di cancellare.

Archivio centrale dello Stato, fondo del Movimento di collaborazione civica, Busta 9.41. Per gentile concessione di Lietta Manganelli.

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