Elezioni: programmi o post-narrazioni?

Se la campagna elettorale diventa marketing cross mediale

di Federico Bottino

Anche se i recenti sondaggi rivelano che la decisione su chi votare, gli italiani la prendano ancora sfogliando un vecchio giornale, è ingenuo negare che l’opinione, la doxa, affonda le sue radici nelle abitudini del quotidiano e quindi anche nel web, sui social e nei gruppi chiusi di Facebook o Whatsapp. Ricordiamo che dal 2008 a questa parte – come rivela lo stesso Obama intervistato da David Letterman per Netflix – le campagne sui social media hanno sempre acquisito maggior rilevanza e sono diventate un ottimo strumento, non solo per diffondere propaganda, informazioni corrotte o attacchi ad personam per screditare l’avversario, ma anche per segmentare (e analizzare) il pubblico degli elettori in gruppi dettagliati.

Abbiamo quindi, da una parte, partiti e movimenti guidati da agenzie di comunicazione private, che confezionano i loro messaggi con la stessa efficacia con la quale i marketers delle aziende turistiche tracciano le richieste sui motori di ricerca per proporre agli utenti alberghi e voli, secondo le loro preferenze. Creano contenuti originali, investono in campagne, fanno le stories su Instagram con i loro slogan, postano foto e GIF con i loro simboli crociati. Poi estraggono i dati delle campagne, li confrontano con la campagna precedente e verificano se la loro fanbase sta crescendo o diminuendo. Dall’altra abbiamo gli elettori-utenti. Compulsivi commentatori di notizie che non hanno letto. Aggressivi antagonisti verbali di programmi o candidati che non conoscono. Gli utenti-elettori che hanno fatto le rate per comprare l’ultimo modello lanciato dalla loro casa produttrice di smartphone preferita e fingono di non avere ormai più i soldi o il tempo per formare le loro opinioni fallaci al bar, in chiesa o nei salotti. E così se ne stanno da soli, sul web, con il loro costoso smartphone fra le mani. E nella loro solitudine digitale consumano le narrazioni dei partiti, che stanno d’altronde spendono ingenti cifre in marketing digitale e non possono permettersi di trasmettere messaggi poco efficaci. E quindi tutto viene esagerato, esacerbato o esasperato. I toni sono apocalittici o salvifici. I messaggi diffondo odio e paura. E proprio come anche il grande granitico manager si commuove quando a casa da solo guarda una commedia romantica, allo stesso modo l’utente, che fuori di casa sembrerebbe parte della società civile, quando si trova immerso nella solitudine del proprio schermo si trasforma. Viene coinvolto dalle ultra-narrazioni dei partiti e dei movimenti. Viene convogliato in un flusso di commenti, condivisioni, like e piccoli segni di falsa aggregazione virtuale. E questo gli dà l’impressione di sfogare le sue più intime paure e di farlo all’interno di un gruppo, impugnando una pseudo-ideologia e nascondendosi dietro lo scopo pubblico e sociale del dibattito politico. Ma come abbiamo scritto sopra, non c’è nessun dibattito. Sono voci sole che si urlano addosso o che applaudono a promesse favolistische della politica, che sa di non doversi più sforzare a tramandare agli utenti-elettori i punti cardine di un programma economico-politico, bensì può limitarsi a propinare loro una narrazione a cui aggrapparsi. Questo presupposto, “la solitudine” degli utenti-elettori, sembrerebbe spesso sfuggire agli acuti osservatori della politica.

La sinergia fra la solitudine degli uomini davanti agli schermi e l’impatto sociale delle piazze virtuali come Facebook o Twitter, ha creato un modo tutto nuovo di raccontare la politica e i prodotti elettorali, sempre più vicino allo storytelling, alla narrativa prestata al marketing, e sempre più lontano dalla cronaca, dal giornalismo che ricerca di fatti oggettivi. Ed è forse all’interno di queste solitudini che vanno analizzati e contestualizzati fenomeni che credevamo sconfitti, in decadenza o lontani. Quando siamo soli, di fronte ai nostri schermi, il web 2.0 ci propone un mondo così personalizzato da diventare lo specchio riflesso di noi stessi.

Mario Perini, psicoanalista co-fondatore di Sloweb, associazione nata a Torino, attiva nel mondo del web etico, descrive questa condizione emotiva come una fase di narcisismo di massa della società occidentale. Non sono più quindi gli animali sociali di Aristotele a recarsi alle urne, che hanno animatamente discusso con i propri simili nella realtà fisica, fino a poche ore prima del voto. Saranno invece gli utenti narcisi quelli che si recheranno alle urne. Usciranno dalla loro solitudine digitale, staccheranno gli occhi dai loro schermi, dai loro news feed che rafforzano le loro credenze, anche (soprattutto) quelle fallaci. Porteranno con sé non delle argomentazioni, bensì una narrazione politica che riesce a essere di massa e solipsista allo stesso momento.

Se a questo aggiungiamo che una volta concluse le elezioni non ci saranno – per la prima volta dall’inizio della Repubblica – rimborsi o rendicontazioni per ammortizzare i costi della campagna elettorale, scopriamo che oggi la politica è davvero più vicina al marketing aziendale di quanto sia mai stata prima.