Francesco Saraceno – La scienza inutile


Liberi da un consenso dogmatico e malmenato

recensione di Mario Cedrini

dal numero di dicembre 2018

Francesco Saraceno
LA SCIENZA INUTILE
Tutto quello che non abbiamo voluto imparare dall’economia
pp. 189, € 16
Luiss University Press, Roma 2018
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Francesco Saraceno - La scienza inutileChiunque abbia scritto o immaginato di scrivere un libro di testo di macroeconomia sa quanto sia difficile rispettare davvero il proposito di situare le diverse teorie macroeconomiche nel loro contesto storico e intellettuale. La macroeconomia contemporanea è il risultato di una storia tutt’altro che lineare, e anzi fatta di proclami e rivoluzioni, di visioni che competono, anziché di conoscenze che si accumulano; la fine di questa storia non ne è il fine. Naturalmente occorreva una grande crisi, come quelle che hanno accompagnato appunto le varie rivoluzioni, per riaprire gli occhi o – per dirla con maggiore rassegnazione – per produrre richiami come quello di Francesco Saraceno, che, scommettiamo, non arriverà dove, auspicabilmente, dovrebbe. Non certo per colpa del saggio che lo contiene: i docenti che concordano sulla visione competitiva e non cumulativa della macroeconomia troveranno qui, concretamente, i contenuti del corso che vorrebbero tenere, e gli studenti una delle pochissime, ragionate e pressoché complete guide alla lettura della situazione contemporanea, in particolare di quella europea.
Il richiamo del vice direttore dell’Observatoire Français sur les Conjonctures Économiques (Ofce) di Sciences Po Parigi Francesco Saraceno (nonché membro del comitato scientifico della Luiss School of European Political Economy), arriverà certamente agli studenti che da quasi due decenni invocano una riforma nell’insegnamento dell’economia; e arriverà ai media, cui non dispiaceranno il titolo e il tono volutamente provocatori del volume. Più difficile che giunga a quelli che contano davvero, economisti mainstream e policy-makers, cui però dimostrerà per lo meno che in economia si dibatte sullo stato corrente della disciplina stessa; e che se si ritorna alla storia del pensiero e dell’analisi economica, è perché la disciplina soffre di una crisi di legittimazione. Si potrebbe forse affermare che il (paradossale, per certi versi) richiamo al realismo che ha contraddistinto la controrivoluzione antikeynesiana della “New Classical Economics” di Robert Lucas abbia prodotto una svolta postmoderna in economia, ma non la necessaria consapevolezza al riguardo. È con Lucas, con l’assunzione di aspettative razionali (è come se gli agenti conoscessero i modelli economici, ciò che permette loro di poter sconfessare, nei fatti, qualsiasi politica economica), con la riduzione dei cicli stessi a fenomeni di equilibrio, che ci si è convinti che sia possibile fare economia senza teoria (rigettando così in toto, e sul punto il volume avrebbe potuto e forse dovuto insistere, il contributo di Keynes, la sua concezione dell’economia come metodo di ragionamento logico, adeguato a una realtà necessariamente complessa). È sufficiente introdurre un’imperfezione in più nei modelli apparentemente di sintesi (perché in fondo di imperfezioni sarebbe maestro il piccolo Keynes dei neokeynesiani) ma in realtà neoclassici del nuovo consenso, e provare a vedere – non certo cosa accade, perché questo lo si sa già (quei modelli presuppongono l’equilibrio) – se il sistema economico si ri-adatta ai modelli stessi.

È in questo senso, che la disciplina economica – non l’economia, ma l’economia come scienza – è divenuta pressoché irrilevante. Lucas ha realmente vinto: il problema della gestione dell’economia, per usare le sue stesse parole, è stato risolto. Non perché sia così, ma perché si è reso superfluo il ricorso alle teorie stesse, eliminando la possibilità di concepire visioni alternative, persino quelle già esistenti (e non solo quelle keynesiane). La crisi del 2008, mostrando la sostanziale impreparazione degli economisti, ha quantomeno fatto apparire ridicolo il contesto ovattato (anche nei termini: razionalità, moderazione, consenso) nel quale questi erano ormai abituati a operare. A contare non è tanto il fatto che la crisi abbia rimesso in discussione i contenuti di un consenso “malmenato”; è piuttosto l’horror vacui, drammaticamente giustificato, che discende dal carattere dogmatico, come lo definisce l’autore, del consenso stesso. E allora, al consenso disinformato, Saraceno può sostituire un pragmatismo informato, ri-assegnando (e così facendole finalmente respirare) le idee del consenso e quelle che attualmente vi si oppongono rispettivamente alle due grandi visioni, neoclassica e keynesiana, ai loro fondamenti, teorici e metodologici. È innanzitutto riscoprendo il cammino storico-intellettuale delle attuali divergenze tra economisti (e policy-makers), e presentandole in primis come conflitti tra teorie economiche, che si potrà (Lucas ringrazi) salvare la scienza economica da un destino di irrilevanza.

mario.cedrini@unito.it

M Cedrini insegna economia politica all’Università di Torino