Le tesi di Harry G. Frankfurt e i suoi critici

Meglio avere tutti abbastanza che essere uguali?

di Adelino Zanini

dal numero di luglio/agosto 2016

FrankfurtRisulta difficile pensare che il breve testo di Harry G. Frankfurt Sulla disuguaglianza. Perché l’uguaglianza economica non è un ideale da perseguire (Guanda, 2015), ricavato da due saggi pubblicati, rispettivamente, nel 1987 e nel 1997, non abbia quale suo primo obiettivo quello di épater le bourgeois. Del resto, l’autore non è nuovo a questo tipo di legittime operazioni: si pensi al suo fortunatissimo On Bullshit (2005), anch’esso uscito dapprima su rivista nel 1986 e poi come pamphlet. Va peraltro detto che le obiezioni que­sta volta sollevate sono state, in più di un caso, particolarmente severe. Ad esempio, il cenno, episodico, al monumentale lavoro di Thomas Piketty da parte di Frankfurt, è stato l’appiglio che ha permesso a Matthew Walther di lanciare un’invettiva che nulla ha risparmiato (“The best thing about Harry G. Frankfurt’s On Inequality is the paper” su The Spectator) : né l’operazione editoriale, né la riproposizione di testi molto vecchi e ben poco mutati, né la scarsa dimestichezza dell’autore con la teoria economica. È stata poi la pretestuosità del bersaglio a essere oggetto della critica. Walther l’ha notato con enfasi ironica; Daniel Hirschman (“Enough Is Not Enough” Los Angeles Review of Book) si è espresso con più rispetto, ma il punto resta il medesimo: l’eguaglianza economica è di per sé, oggi, una formula astratta e, quindi, un obiettivo polemico scontato ma fuorviante. Certamente, la questione è stata di recente riproposta con grande determinazione: oltre al già citato la­voro di Piketty (“L’Indice”, 2015, n. 1), basti pensare a quello di Angus Deaton (“L’Indice”, 2015, n. 10). L’uno e l’altro, tuttavia, ancorché sostenitori di interpretazioni tra loro molto differenti, hanno sapientemente evitato di costruirsi un bersaglio a propria misura.

La dottrina della sufficienza

La tesi di Frankfurt è netta e ruota attorno al principio secondo cui, per quanto indesi­derabile possa sembrare la disuguaglianza economica, non vi è ragione per considerarla moralmente deprecabile. Deprecabili possono essere le diseguaglianze di altro genere ad essa conseguenti e tali da richiedere “appositi monitoraggi legislativi, normativi, giudi­ziari e amministrativi”. Ciò non può tuttavia porre in discussione l’intrinseca innocenza della disuguaglianza economica e, dunque, non può condurre a “propugnare l’egualitari­smo economico come autentico ideale morale”. Il problema non è la disuguaglianza, bensì la povertà, il non avere “abbastanza” da parte di molti (ove l’avverbio indica uno standard, più che un limite da raggiungere). L’obiettivo di fondo dovrebbe certamente es­sere quello di ridurre sia la povertà sia l’eccessiva ricchezza, anche per contenere gli ef­fetti potenzialmente antidemocratici che di norma le accompagnano. Questo può benis­simo comportare una riduzione della disuguaglianza, ma di per sé tale riduzione non può costituire la nostra ambizione primaria. “L’uguaglianza economica non è un ideale mo­ralmente prioritario”.

Non è perciò importante che tutti abbiano le stesse quantità di denaro, ma che cia­scuno ne abbia abbastanza. All’egualitarismo, Frankfurt contrappone la “dottrina della sufficienza”. Egli è ben consapevole della scarsa autoevidenza di tale dottrina, ma ciò non gli sembra un motivo bastevole per adottare un’alternativa non corretta. Peraltro, non intende affatto negare che l’eguaglianza economica possa avere un importante valore po­litico e sociale. Dunque, “impegnarsi ad attuare una politica economica egualitaria po­trebbe rivelarsi indispensabile per promuovere la realizzazione di vari obiettivi auspica­bili in ambito sociale e politico”. A ciò non corrisponde, tuttavia, una cogenza morale, poiché “la quantità di denaro disponibile ad altri non ha a che fare, direttamente, con ciò che occorre per il genere di vita a cui sarebbe più ragionevole e appropriato che una persona aspirasse”. Non solo: il preoccuparsi della condizione altrui potrebbe distoglierci dal perseguire i nostri interessi e ambizioni: in altre parole, potrebbe risultare addirittura dannoso e alienante.

Sin qui, per così dire, l’argomentazione ha carattere assiomatico. L’autore cerca per­ciò di trarne le deduzioni conseguenti, muovendo dalla critica al principio di utilità mar­ginale decrescente che, nella formulazione datane ad esempio da Abba Lerner, implica “che un’uguale distribuzione di denaro massimizzi l’utilità aggregata, ovvero…

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