Giorgio Vallortigara – Il pulcino di Kant

La gallina è un animale intelligente

di Paolo Marcello Peretto

Giorgio Vallortigara
Il pulcino di Kant

ill. di Claudia Losi, pp. 171, € 20,
Adelphi, Milano 2023

Che esseri magnifici i polli! Almeno quanto lo sono gli uomini, ma forse di più perché oltre a rappresentare la nostra principale fonte proteica (ben 22 miliardi di polli coesistono con noi su questo pianeta!), sono un “modello di studio” eccezionale per svelare le basi funzionali di comportamenti cognitivi di cui l’uomo si sente unico depositario tra i viventi. Ed è proprio questo uno dei messaggi più importanti che emerge dl presente saggio breve, ma intenso, saggio di Giorgio Vallortigara: tenetevi forte uomini e donne, che vi piaccia o meno, alcune qualità intellettive del nostro magnifico cervello sono presenti anche nei cervelli di molti altri animali. In realtà, in questo libro emergono alcuni principi della biologia del sistema nervoso, e di come la sua organizzazione e funzione sia il frutto di un lunghissimo processo evolutivo iniziato ben prima della comparsa dei vertebrati, di cui polli e uomini (e donne) fanno parte.

Nello specifico, Vallortigara sfrutta il paradigma sperimentale dell’imprinting negli uccelli (quello che ha reso famoso Konrad Lorenz, uno dei padri dell’etologia) per svelare con incredibile efficacia, l’esistenza di una vera e propria “predisposizione” verso comportamenti adattativi, cioè funzionali alla sopravvivenza dell’organismo, in risposta a stimoli ambientali animati (altri viventi) e inanimati (oggetti). Proprio come succede nell’imprinting dei polli in cui il primo organismo, ma anche oggetto, che interagisce con il pulcino viene identificato come genitore.

È interessante notare che la tematica dell’esistenza di una “predisposizione” si inserisce nel contesto del grande dibattito storico-filosofico, ma anche funzionale, della scienza di “nature versus nurture” nello sviluppo del cervello. Ovvero su quale sia il contributo relativo della natura (cioè dei geni) e del nutrimento (delle esperienze) nel plasmare i circuiti neurali e quindi il comportamento. Il dibattito nasce dalla contrapposizione tra la corrente dell’innatismo e quella dell’ambientalismo. Già Platone (300 a.C.) riconosceva che certe cose sono innate, avvengono naturalmente, indipendentemente dall’influenza dell’ambiente. Questa idea è in opposizione all’ipotesi della “tabula rasa” del grande filosofo illuminista del XVII secolo John Locke, padre dell’empirismo, per il quale alla nascita il cervello si presenta appunto come un foglio bianco in cui le esperienze plasmano il comportamento.

Oggi sappiamo chiaramente che geni e ambiente cooperano per organizzare i circuiti neurali e quindi che i nostri comportamenti sono il frutto di questa interazione. Ciononostante, alcuni aspetti di questa interazione rimangono piuttosto oscuri, come il peso relativo di geni e ambiente nel plasmare i circuiti neurali che controllano i comportamenti cosiddetti salienti, ovvero importanti per la sopravvivenza. Il saggio da questo punto di vista è realmente rivelatore. Illustra con numerosi esempi che nei pulcini è possibile ottenere delle risposte a stimoli ambientali specifici, grazie all’esistenza di un substrato neurale la cui organizzazione presenta già una “predisposizione” verso questi stessi stimoli, cioè indipendentemente da precedenti esperienze. Esisterebbero quindi delle capacità “innate” che rappresentano il bagaglio conoscitivo necessario ai polli per sopravvivere. Questo innatismo, sebbene necessario, non è da considerarsi completamente esaustivo, ma piuttosto il presupposto di partenza per l’individuo di operare nell’ambiente in modo corretto e, probabilmente, anche il substrato su cui l’esperienza agirà ottimizzando l’interazione con l’ambiente. Ecco che allora i polli sanno fare addizioni, sottrazioni, divisioni, proporzioni e si intendono anche di geometria. Queste qualità innate sono frutto di conoscenze necessarie all’interpretazione di segnali animati e inanimati che contengono informazioni ambientali che giocano un ruolo chiave per la sopravvivenza.

Se questo è il messaggio principale del saggio, a suo corollario ne derivano molti altri in cui emerge chiaramente anche il ruolo della “ricerca di base” per lo sviluppo di approcci terapeutici. Ad esempio, nel capitolo “interessante ma a che cosa serve”, si chiarisce che studiare un fenomeno come l’imprinting rivela l’esistenza di fasi specifiche in cui il cervello è particolarmente sensibile alle stimolazioni ambientali. L’analisi del comportamento del pulcino in risposta agli stimoli materni (lo stesso vale per i neonati della nostra specie), quali le caratteristiche anatomiche e il movimento della testa, possono essere funzionali per identificare precocemente (e quindi intervenire velocemente) alterazioni nell’organizzazione di circuiti neurali potenzialmente implicati in disfunzioni sociali, come quelle che caratterizzano i disturbi dello spettro autistico. Questa considerazione offre l’opportunità di trasmettere un ulteriore importante messaggio biologico.

L’evoluzione, nel corso di milioni di anni, ha selezionato/adattato delle modalità (ad esempio molecole, meccanismi, circuiti neurali) che hanno validità generale e che quindi sono presenti in gruppi di organismi anche molto divergenti (distanti da un punto di vista filogenetico). Questa attività di “parsimonia” evolutiva si basa sul presupposto che quando qualcosa funziona si diffonde tra i viventi. Quindi affrontare lo studio del comportamento nei pulcini e il loro imprinting fornisce risposte chiave per comprendere come funzionano processi che regolano la funzione cerebrale anche nella nostra specie. Gli spunti e soprattutto le riflessioni che genera la lettura del “pulcino filosofico”, sono pertanto innumerevoli, ma terminerei con la seguente. Se nei pulcini le stupefacenti abilità matematiche intrinseche sono correlate a risolvere problemi ambientali che promuovono la sopravvivenza, allora perché molti giovani della nostra specie hanno spesso problemi in questa disciplina? Vorrà mica dire che siamo meno cognitivi o evoluti dei polli? Oppure suggerire che aspetti correlati alla matematica giochino un ruolo meno importante per la nostra sopravvivenza? Sulla base di quanto descritto nel saggio direi che entrambe le possibilità sono da escludere, sorge pertanto il sospetto che ci siano dei bias nelle nostre metodologie didattiche. Comunque sia, una cosa è certa, non offendetevi più quando qualcuno vi apostrofa con il termine di pollo o gallina.

paolo.peretto@unito.it
P. M. Peretto insegna anatomia comparata e neurobiologia comparata all’Università di Torino