Il sogno di una Russia normale
di Giulia Baselica
Aleksej Anatol’evič Naval’nyj nasce il 4 giugno 1976 a Butyn, un villaggio della regione di Mosca, e da bambino trascorre le estati in Ucraina, a casa della nonna paterna, dove in pochi mesi si trasforma in un ragazzo di campagna abbronzato e quasi incapace di parlare il russo. A chi gli domanda se si sente ucraino o russo, non fornisce una risposta netta: la Russia e l’Ucraina sono inscindibili parti di sé. Agli occhi del piccolo Aleksej il paesino di Zales’e è il paradiso, ma è troppo vicino a Černobyl’. Il 26 aprile 1986 l’esplosione del reattore n. 4 della centrale nucleare distrugge quel paradiso per sempre e, a soli dieci anni, Naval’nyj è costretto a prendere atto di una drammatica verità: l’ipocrisia e le bugie sono gli strumenti con i quali il regime affronta l’enorme disastro. Negli anni successivi, e dopo la dissoluzione dell’Urss, il giovane dovrà constatare l’immutabilità delle strategie adottate dal governo, nonostante il cambiamento di regime e la comparsa di nuovi uomini ai vertici del potere.
Si laurea in giurisprudenza, compie studi di economia, diventa avvocato e, nel 2010, vince una borsa di studio presso l’Università di Yale: qui partecipa al programma Yale World Foundation e studia la legislazione antiriciclaggio adottata negli Usa e nella Ue. L’anno successivo costituisce la Fondazione per la lotta contro la corruzione (Fbk) che, già nel 2013, il 16 luglio, produce un’inchiesta sulla corruzione del Cremlino e delle ferrovie di Stato. Due giorni dopo Naval’nyj è condannato a cinque anni di carcere per appropriazione indebita di fondi. Nell’aprile del 2017, davanti alla sede della Fondazione, l’attivista russo è aggredito da sconosciuti: gli viene gettato in viso un liquido che gli provoca la parziale perdita della vista, poi recuperata. Nel corso dell’anno è nuovamente arrestato per aver organizzato una serie di proteste contro il governo. Nel 2018 fonda il partito Russia del futuro, europeista e filo-occidentale, che tre anni dopo l’Agenzia di monitoraggio finanziario (Rosfinmonitoring) dichiarerà “organizzazione terroristica ed estremista”. Nel 2019 le forze dell’ordine irrompono negli uffici della Fondazione e distruggono computer e arredi. Ma la lotta, impari, fra Aleksej e il potere istituzionale il 20 agosto 2020 fa registrare una drammatica svolta: l’attivista russo è avvelenato con l’agente nervino Novičok e trasferito d’urgenza all’ospedale della Charité a Berlino, in seguito alle pressanti richieste della famiglia, del partito Russia del futuro, della cancelliera tedesca Angela Merkel e del presidente francese Emmanuel Macron.
Una volta ristabilito, Naval’nyj torna in Russia: è il 17 gennaio 2021. Alla frontiera viene arrestato con lo stesso capo d’accusa del 2013, ma il giorno successivo la Fondazione per la lotta contro la corruzione pubblica una videoinchiesta sulle proprietà immobiliari di Vladimir Putin, ed è record di visualizzazioni. Meno di una settimana dopo, il 23 gennaio, le strade delle principali città della Russia si riempiono di folle che manifestano solidarietà a Naval’nyj: più di 3400 gli arresti, che supereranno il tetto degli 11.000 il 3 febbraio, dopo la pronuncia di una nuova sentenza di condanna a due anni e otto mesi di carcere, seguita, il 21 marzo, da un’ulteriore, e più severa, condanna a nove anni di carcere duro. Di lì a un anno è condannato a una nuova pena di undici anni, ma la sentenza in assoluto più malvagia – diciannove anni di reclusione per estremismo – sarà emessa il 4 agosto 2023. Nei mesi successivi sarà periodicamente trasferito in vari penitenziari: l’ultimo e definitivo sarà il carcere di massima sicurezza di Charp, nella Siberia occidentale, oltre il Circolo polare artico.
Il 16 febbraio 2024 l’attivista russo Aleksej Anatol’evič Naval’nyj muore. Ancora una volta, l’ultima, le proteste esplodono nelle maggiori città della Russia per commemorarlo e nelle strade e nelle piazze dell’Europa e degli Stati Uniti migliaia di persone si radunano per rendere omaggio al coraggioso e indomito oppositore del Cremlino.
Le situazioni, i momenti, i fatti dei quali Naval’nyj è stato protagonista dal 2007 al 2024, sullo sfondo di una storia meno convenzionale della Russia postsovietica, sono presentati con sintesi efficace nell’agile volume La Russia che si ribella. Repressione e opposizione nel paese di Putin di Maria Chiara Franceschelli e Federico Varese, un percorso propedeutico alla lettura di Patriot, l’autobiografia che Naval’nyj comincia a scrivere durante la convalescenza in Germania. Detta il testo alla sua assistente, Kira Jarmyš, perché troppo debole per utilizzare lui stesso il computer e completerà la stesura in carcere. Lo scritto, redatto in russo, è stato pubblicato dall’editore newyorchese Knopf il 24 ottobre 2024, in versione inglese, alla quale ha collaborato la vedova di Naval’nyj, Julija. Da quella versione derivano le altre undici edizioni finora apparse, in altrettante lingue diverse.
È ormai l’inizio della fine della sua avventura terrena, quando Aleksej Anatol’evič decide di raccontare la propria vita, non come esercizio solipsistico, bensì come testimonianza di una scelta morale, per lui più importante di ogni possibile scelta ideologica o politica: quella di lottare contro la corruzione per un sistema giudiziario giusto, affinché sia garantito, un giorno, il diritto di candidarsi a libere elezioni e perché i sindaci e i governatori siano eletti dal popolo. La storia personale di Naval’nyj è inscindibile dalla storia della Russia: la giornalista Viktorija Artem’eva nella sua recensione intitolata Naval’nyj: reportage con il cappio al collo e pubblicata sul quotidiano “Novaja gazeta” – lo stesso giornale sul quale apparivano i contributi di Anna Politkovskaja – osserva che il titolo Patriot definisce precisamente la natura dell’autore: un autentico patriota, senza pathos, e provvisto, invece, di una consapevole e profonda affezione per il suo paese. Naval’nyj non si chiede se sia opportuno per lui tornare in Russia, una volta guarito: “non mi fermo troppo a riflettere sull’amore per il mio paese. Lo amo e basta. Per me la Russia è una parte imprescindibile di ciò che mi costituisce […]. Credo che la Russia potrebbe essere un paese normale, ricco, un paese governato dalla legge. Ma il punto è soprattutto che questa Meravigliosa Russia è la Russia normale”.
Tuttavia, precisa ancora Viktorija Artem’eva, sacralizzare la figura di Naval’nyj e considerare il suo libro postumo una sorta di nuovo Vangelo equivale a svalutare tutto ciò che ha fatto e tutta l’autoironia che ha saputo conservare fino all’ultimo. Ed è essenziale ricordare che il leader Aleksej non è stato né un eroe né un santo – ricorda Adriano Dell’Asta nello scritto introduttivo al volume Io non ho paura, non abbiatene neanche voi, nel quale sono riprodotti post pubblicati da Naval’nyj su vari social insieme ad alcune interviste apparse nei maggiori quotidiani occidentali, illuminante integrazione alla lettura di Patriot – e che ha commesso colpe difficilmente perdonabili. Per esempio, tra il 2006 e il 2007 aveva assunto posizioni marcatamente nazionaliste e dichiaratamente xenofobe, aderendo a iniziative eticamente riprovevoli. Le sue memorie evocano quel periodo: “ero convinto che, per contrastare Putin, fosse necessaria un’ampia coalizione […]. Stabilii che se io, con i miei valori democratici, sostenevo il diritto di libera assemblea, allora per coerenza dovevo supportare anche quello degli altri”. Naval’nyj, ci ricorda Dell’Asta, era “un uomo vivo che, come ogni uomo vivo, cambiava e che, proprio nella possibilità del cambiamento personale, aveva colto una delle possibilità della lotta politica per come la concepiva lui”. Se, nell’autobiografia di Naval’nyj, Viktorija Artem’eva riconosce una nuova narrazione dissidente sulla libertà e sulla non libertà, oltre che la nuova prosa documentaria sulle carceri e sui lager, non meno incisivo è il ritratto di Aleksej come compagno di vita di Julija – “È un logoro cliché parlare della chimica tra le persone, ma credo davvero che esista. Così come l’amore a prima vista, e io ne sono la prova vivente” – e come padre di Dar’ja e Zachar, il cui ricordo gli detta parole colme di struggimento: “i giorni più terribili in carcere sono i compleanni dei parenti stretti, soprattutto dei figli”.
Patriot è il racconto vivido di un’esistenza intensa, nella quale ogni singolo momento compone un mosaico di fatti, idee, sentimenti ed emozioni. È una lettura coinvolgente per la continua variazione di tono del racconto, nel quale il dramma e la tragedia si alternano alla gioia e alla tenerezza e per l’autenticità della voce dell’autore, miracolosamente inalterata e pura che ‒ in ogni traduzione, ancorché indiretta ‒ esprime la sua sorprendente autoironia e l’altrettanto intemerata sua onestà intellettuale.
giulia.baselica@unito.it
G. Baselica insegna lingua e letteratura russa all’Università di Torino