Primo piano: Davide Conti – Fascisti contro la democrazia

Irriducibili dioscuri neri

di Mimmo Franzinelli

Davide Conti
Fascisti contro la democrazia

Almirante e Rauti alle radici della destra italiana 1946-1976
pp. XIV-330, € 19,
Einaudi, Torino 2023

Questo libro rimedia a un ritardo storiografico deplorevole, considerato il rilievo rivestito da Giorgio Almirante (1914-1988) e Pino Rauti (1926-2012) in mezzo secolo di politica italiana. E risponde al diffuso interrogativo sui padri spirituali cui si rifanno – più o meno esplicitamente – presidente del Consiglio, presidente del Senato e confratelli d’Italia da oltre un anno alla guida del Paese. L’approccio di Conti segue i dioscuri del neofascismo dalla fondazione del Movimento sociale italiano sino alla metà degli anni settanta. Di Rauti, peraltro, si esaminano anche gli anni giovanili, con l’adesione alla dittatura e poi l’arruolamento nella Guardia nazionale repubblicana, in una convinta partecipazione agli ultimi sprazzi della guerra civile. Almirante ha guidato il Msi nel primo quadriennio di vita, sino al sopravvento del moderato Augusto De Marsanich; al cambio di segreteria corrisponde significativamente la fuoruscita di Rauti, che per un decennio s’impegna nell’organizzazione eversiva Ordine nuovo. I rispettivi itinerari politici si ricongiungono nel 1969, col ritorno di Almirante alla segreteria del Msi (al termine della lunga segreteria Michelini); Rauti – nel frattempo pesantemente coinvolto nelle trame nere – diviene nel 1972 deputato del Msi, nonché a inizio 1990 (dunque ben oltre l’arco temporale di questo volume) segretario, con un programma alternativo a quello di Gianfranco Fini.

I due protagonisti appaiono ricorrentemente tentati dal rivendicare in pieno l’esperienza fascista: non tanto quella del ventennio, ma piuttosto della repubblica sociale, ovvero del fascismo più radicale e violento: quello collaborazionista. Del regime Rauti critica modalità a suo dire troppo “accomodanti”, tranne poi – contraddittoriamente alle premesse – puntellare con i suoi camerati la Democrazia cristiana (ma mantenendo un piede nell’eversione). Le sinistre rimangono sempre il nemico principale; ciò smentisce, o almeno ridimensiona di molto, la vulgata della “sinistra fascista” dialogante, e volte collaborativa, col partito comunista.

Le pagine forse più significative riguardano le ambiguità di Almirante nel giovarsi degli strumenti della democrazia per rafforzare la presenza neofascista nel paese. E l’abilità con cui Rauti compatta – soprattutto nell’area romana – militari e civili in reti antidemocratiche funzionali a una virata autoritaria, dentro la guerra fredda. Mentre Almirante si caratterizza per la duttilità nel riadattarsi alle contingenze, traendone la massima utilità e servendosi del Parlamento come tribuna propagandistica, Rauti appare più saldamente radicato in una tradizione eversiva che ricerca contatti internazionali (anche in ambienti Nato) per una guerra continentale alle sinistre.

Conti riprende e sviluppa la precedente monografia L’anima nera della Repubblica. Storia del Msi (Laterza, 2013) accentuando l’attenzione verso Almirante e Rauti. La ricognizione d’insieme non esaurisce certamente il tema trattato, ma traccia un valido quadro d’insieme sul quale s’innesteranno auspicabilmente nuovi studi. L’asse interpretativo è l’irriducibilità fascista cui Almirante e Rauti si serbarono fedeli nei ruoli politici rivestiti nell’Italia democratica, in una “convergenza-competitiva”, condividendo “ambiguità, doppie militanze e labili confini di distinzione tra aree eversivo-criminali e Msi. Non è un giudizio derivante da preconcetto ideologico, ma la risultante di analisi su episodi quali – per fare un esempio – la rivolta di Reggio Calabria del 1970-1971. Il libro offre allo stesso tempo di più e di meno di quanto promesso. Di più: andando oltre le figure di Almirante e Rauti, delinea la storia complessiva della destra fascista e postfascista nel primo quarantennio repubblicano; di meno, poiché non è una doppia biografia esaustiva, ma un primo avvicinamento ai due personaggi. Ci si potrebbe dunque attendere da Conti la prosecuzione della ricerca per il periodo successivo, ovvero dai tentativi dei dioscuri neri nella seconda parte della loro vita di rivitalizzare e aggiornare il fascismo, sino all’odierna fase nella quale gli eredi di Almirante e Rauti, non più figli di un dio minore, governano l’Italia.

mimmofranzinelli@gmail.com
M. Franzinelli è segretario della Fondazione E. Rossi-G. Salvemini di Firenze

 

Una domanda a Davide Conti

Quali sono, a suo avviso, i tratti di continuità e di discontinuità del partito di Giorgia Meloni con le esperienze che lo precedono (Uomo qualunque, Msi, An e Popolo delle libertà)? E la relazione con il suo passato ha un legame con l’affermazione di Fratelli d’Italia quale partito di maggioranza relativa alle ultime elezioni politiche?

Dalla sua nascita Fratelli d’Italia esprime una rottura con il processo che, pur in assenza di una compiuta rivisitazione delle radici storiche saloine, gli eredi del Msi guidati da Gianfranco Fini avevano lentamente avviato con il congresso di Fiuggi del 1994. Un percorso sui cui ritardi aveva pesato anche l’anomala destra berlusconiana che già prima della trasformazione del Msi in An aveva traghettato l’estrema destra al governo del paese. Gli sviluppi di quell’incontro portarono, anche in ordine alla compatibilità degli interessi dei ceti e delle classi rappresentate dai rispettivi elettorati, al tentativo di fusione delle anime della destra nel Popolo della Libertà. Un esperimento fallito dalla cui divisione emerse il partito fondato da Giorgia Meloni e Ignazio La Russa.

Da questa premessa si può comprendere perché Fratelli d’Italia abbia sempre rivendicato come sua radice d’origine più che l’esperienza di An quella dei padri missini Giorgio Almirante e Pino Rauti. Due uomini legati ideologicamente e biograficamente al fascismo e alla repubblica sociale italiana, ma soprattutto due figure di riferimento della “comunità” dal 1969 (ritorno alla guida del Msi di Almirante e rientro di Rauti nel partito dopo la scissione di Ordine Nuovo) fino a inizio anni novanta. La fondazione del Msi aveva rappresentato il segno politico dei mancati conti dell’Italia con la sua storia, un rimosso nazionale che eluse le responsabilità dell’eredità della dittatura di Mussolini. Negli anni sessanta e settanta il partito degli “eredi di Salò” espresse umori presenti e profondi della società italiana ostili alla Costituzione e alla Repubblica. Questi spiriti esistevano anche in altri partiti (Dc in primo luogo) e non “risiedevano per intero nel Msi – come affermò Aldo Moro – pur nell’innegabile riferimento ideale e storico che esso fa al fascismo”. Tuttavia nel corpo missino trovarono esplicita visibilità attraverso istanze corporative, posture reazionarie (si pensi alla campagna contro aborto e divorzio) e avverse ai mutamenti della società del tempo sul piano dei diritti sociali, del lavoro e civili affermatisi nel solco della Costituzione antifascista. Il Msi postulò la propria alterità tramite la formula della “alternativa di sistema” su cui, in fondo, hanno fatto leva tanto l’autorappresentazione di Meloni underdog quanto la propaganda elettorale del suo partito nelle ultime elezioni, quando l’estrema destra si è presentata come “unica opposizione” al governo di larghe intese, e dunque al “sistema”, presieduto da Mario Draghi.

La differenza fondamentale tra la natura politica del Msi e la linea seguita da Fratelli d’Italia risiede nel contesto storico e internazionale. Almirante e Rauti operarono in un’Italia collocata all’interno della guerra fredda e della divisione bipolare del mondo ma saldamente ancorata al paradigma antifascista sostenuto da partiti democratici di massa che marginalizzavano i “fascisti contro la democrazia”. Meloni agisce in un mondo globale, multipolare e connesso sul piano economico, tecnologico e culturale. Questa difformità rende inutilizzabili le eredità programmatiche missine (corporativismo, autarchia, nazionalismo), ma consente di muoversi in uno spazio pubblico globale in cui il nesso tra popolo e democrazia è fortemente indebolito e lascia aperte faglie (prima fra tutte quella della disuguaglianza sociale) nella società da dove sono riemerse quelle paure su cui l’estrema destra ha costruito una sua nuova identità e proposta.