#LibriInTasca: Alessio Torino – Tina

Un’isola è una provincia alla seconda

consigliato da Matteo Fontanone

#LibrinTasca è lo Speciale sul sito dell’Indice che accompagnerà la vostra estate.
Sarà un compagno di viaggio loquace e mai banale, e si comporrà di tanti consigli di lettura suggeriti da voci diverse e penne più o meno note: libri pensati per viaggiatori in cerca di avventure e tomi poderosi per chi poltrisce sotto l’ombrellone. 

Alessio Torino
TINA
pp. 139, € 14
minimum fax, Roma 2016

Alessio Torino - TinaAffidare l’esordio di una recensione alle etichette è una scelta pericolosa. Eppure già dalle prime righe di Tina, l’ultimo romanzo di Alessio Torino pubblicato da minimum fax, il pensiero non può che rivolgersi a Elsa Morante e alle iniziazioni di Arturo sull’isola di Procida. Tina ha otto anni ed è in vacanza a Pantelleria con la sorella e la mamma. Trascorre le giornate in spiaggia a pescare meduse col retino e viene perennemente scambiata dagli altri bagnanti per un maschio. Il padre, pianista di successo, ha lasciato la famiglia per «il suo nulla», una ragazza di vent’anni a cui impartiva lezioni private. L’assenza della figura genitoriale, topos ricorrente di ogni romanzo di formazione che si rispetti, è la molla che mette in moto gli ingranaggi di una storia breve ma densa di silenzi, allusioni e punti interrogativi la cui decifrazione Torino lascia al lettore.
Attraverso i fili di una prosa che pur leggera non rinuncia a una marcata letterarietà, si intravede tutto il mestiere impiegato dall’autore per quella che, a oggi, è la sua prova narrativa più impervia. La vocazione di fondo rimane la stessa del suo precedente Urbino, Nebraska: il rapporto tra i personaggi e lo spazio. Salutato come erede del Volponi narratore della Strada per Roma, con Tina Alessio Torino alza ulteriormente il tiro. Già, perché un’isola è una provincia alla seconda, con dei confini ancora più soffocanti e un’apertura al mondo esterno ridotta al traghetto che, vento permettendo, attracca una volta alla settimana portando provviste e turisti.

La nuotatrice francese e il manager dal Canada

L’isola di Tina è una presenza ingombrante, modella l’esistenza dei suoi abitanti così come il maestrale fa con le sue coste rocciose. In questo ecosistema che vizia e altera i rapporti tra le persone, Torino amalgama un gruppo di individui eterogenei: il giovane ristoratore che apre un locale a Pantelleria per fuggire dai guai, gli iscritti alla scuola estiva di sub, il gestore dello spaccio alimentare che, sospettoso e impiccione, assume le funzioni dell’antagonista.
E poi ci sono Parì e Charles, le due figure che più di tutte accompagnano Tina nella sua formazione. La prima è una nuotatrice francese di cui la bambina si invaghisce: Torino affronta con delicatezza un momento potenzialmente cruciale nella crescita della sua piccola protagonista, ne abbozza la prima infatuazione e ricostruisce quegli improvvisi sussulti tipici di chi, nel percorso verso l’adolescenza, inizia a diradare i dubbi riguardo il suo orientamento. Charles invece è un ex manager di grandi tenori, ha lasciato il Canada per Pantelleria dopo la perdita della moglie e trascorre le nottate a bere disperatamente. Epigono contemporaneo del fool shakespeariano, agli occhi di Tina si sostituisce al padre che l’ha abbandonata. «Nessuno di loro era come Charles», pensa Tina osservando i compagni di vacanza: la solitudine del canadese è anche la sua, lo scarto tra il loro sguardo e quello «normale» li accomuna e ne marca la diversità rispetto al resto.

È durante una cena con Charles che Tina, facendo finta di dormire, origlia una conversazione tra lui e la madre. Si scopre così che il padre avrebbe voluto chiamare le due figlie Kezia e Lottie, come le due sorelline protagoniste di Preludio, il più bel racconto di Katherine Manfield. Ancora una volta Torino gioca a carte scoperte e rende palese l’identificazione con l’autrice neozelandese. Le linee tra i due sono marcate: tanto per i giochi di forza che regolano i rapporti tra le sorelle, quanto per l’ambiente entro cui prende vita l’intreccio, una Nuova Zelanda di villeggiatura e paesaggi poco aggrediti dall’uomo. Ma anche lì, come succede nella Pantelleria di Tina, l’apparente benessere della stagione di vacanza nasconde un blocco, una radiazione di fondo che, a forza di eroderlo, dissolve quel fondale di cartone che ognuno costruisce a suo uso e consumo. Il grido finale che Tina rivolge a Charles, «mi chiamo Kezia», è la testimonianza dello smarrimento di una figura fin troppo acuta, destinata anzitempo allo stigma della diversità. Una figura a tutto tondo le cui peculiarità Torino lascia scolpire in controluce dai silenzi, dagli sguardi e dai non detti. Il risultato è un dipinto bellissimo dai contorni incerti, sfumati da una prospettiva squisitamente femminile che l’autore indossa alla perfezione come fosse un abito di sartoria.

matteo.fontanone@gmail.com

M. Fontanone è critico letterario

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In una città a forma di fegato: sul numero di giugno 2014 Francesco Morgando recensisce “Urbino, Nebraska“, il romanzo più noto di Alessio Torino.