Marko Kravos – Zlato ustje. L’oro in bocca

Scabra scrittura, gemmante silenzio

recensione di Elvio Guagnini

dal numero di maggio 2017

Marko Kravos
ZLATO USTJE
L’ORO IN BOCCA
a cura di Darja Betocchi
pp. 117, € 15
Beit, Trieste 2017

Marko Kravos - Zlato ustje. L’oro in boccaTra gli scrittori triestini di lingua slovena (un capitolo importante della cultura letteraria della città) spicca il nome di Marko Kravos: poeta, traduttore dall’italiano, dal serbocroato e dallo spagnolo. Kravos – che è anche autore di opere per  l’infanzia e di testi narrativi e radiofonici – è stato professore di letteratura slovena all’università di Trieste, direttore editoriale di una importante casa editrice volta anche alla produzione di testi bilingui, esponente di punta di associazioni degli scrittori sloveni. Tra le sue traduzioni dall’italiano, si ricordi quella del Mio Carso di Slataper (Moj Kras) del 2015.

Kravos è scrittore parco, essenziale, ben cosciente delle ragioni della propria attività poetica, come si avverte dai Cenni d’autore: un piccolo saggio dove Kravos puntualizza: “Con l’accumularsi degli anni (…), le parole si raccolgono ancora di più su se stesse, pregne di esperienze, emozioni, di risonanze di altri tempi, di colpi di becco della coscienza e dell’ansietà per le scadenze in arrivo”. Nella propria opera, aggiunge, vecchio e nuovo confluiscono in un linguaggio dove si rivela la volontà di far proprie la ricchezza e la tradizione della propria lingua “dotta e orale” e di “esprimere la propria identità nazionale/culturale/linguistica slovena” in “un ambiente di convivenza qual è Trieste, con il mondo italiano e le altre comunità presenti”. Da qui la necessità di una comunicazione tra le culture, anche per la poesia. Per questo libro, Kravos dichiara di aver avvertito la necessità di lasciare ad altri la traduzione dalla lingua originale, lo sloveno, all’italiano (“Si può fare l’uovo per una seconda volta? Lo stesso uovo, nota bene”). Quindi la scelta, come traduttrice, di Darja Betocchi, autrice – tra le altre – di una recente e importante traduzione di Srečko Kosovel ma anche di rilevanti riflessioni in tema di traduttologia, che si ritrovano sviluppate anche in questo libro, in una Nota della traduttrice. Dove, in sostanza e in sintesi, si afferma in primo luogo che la poesia di Kravos è fortemente “radicata nella lingua” e assume spesso il carattere di “gioco, scanzonato divertimento, sberleffo”; in secondo luogo – prendendo le mosse dai princìpi di Eco per la traduzione, in particolare da quello che la vede come una “negoziazione” –  si conclude che il traduttore deve essere fedele per il significato, molto meno (“poco o nulla”) per la forma. Si deve fare in modo che la perdita – nel passaggio da una all’altra lingua – sia meno pesante possibile attraverso una ricerca di compensazione per rendere la specificità del linguaggio originale. La trattativa, l’alleanza tra l’autore e il traduttore risultano ancora più efficaci quando – come nel caso di questo libro – siano stati negoziati attraverso un contatto diretto tra autore e traduttore.

Quanto alla poesia di Kravos, va ricordato che si tratta di un autore che ha sempre avuto il gusto della satira (anche della poesia che diventa retorica e maniera; della storia e della politica; della predicazione e dell’inganno) e che non ama libri antologici ma i libri con un loro filo preciso e un aspetto omogeneo. Come questo, che è fatto di disincanto, ironia e autoironia, parodia, scherzo, riflessione intima, sogno, affondi esistenziali, evocazione della bellezza ma anche – qui e ora – di una nota di malinconia, mai però insistita, forse più implicita che esplicita. Spicca anche il gusto della natura: di una natura a volte così sontuosa da sembrare arte (Jesen / Autunno), tale da compiere miracoli, capace di essere – come nel caso del vino – peccato e redenzione (Prosekar / Il prosecco). La poesia di Kravos, che a tratti presenta anche dei modi da poesia burlesca, rivela altre volte aspetti più oscuri (come in Mrko / Cupezza, dove all’inesorabilità dello scorrere della vita si contrappone la relativa consolazione della bellezza: “Lastovke pod nebom/ so kaplija v morje”, “Rondini si ostinano a volare: / goccia nel mare”). Si manifesta, in Kravos, una sorta di pessimismo ironico come quando (in Ararat) lo stolto, il sapiente e Dio vengono omologati in quanto ognuno crede in quello che ha fatto. Mentre sarebbe bene – sembra dire Kravos con ironia, quasi con spirito michelstaedteriano – guardare la verità in faccia. L’invito, in altri versi, è quello di andare controcorrente rispetto all’ordine fissato; di ritirarsi per osservare lucidamente la follia del mondo, di considerare la bellezza come movimento, mai come stasi; di praticare la necessaria saggezza; di essere uomo, con coscienza. Con una considerazione incisiva finale circa la Poesia / Pesem: “Izrek, izroilo s pravo mero. Manj je rnila, / manj sprenevedanja. Brščanje molka je kvas”, “Motto, tradizione d’atta misura. Meno ambàge,/ scabra scrittura. Fermento: gemmante silenzio”.

guagnini@units.it

E Guagnini è professore emerito di letteratura italiana all’Università di Trieste