Mappe e percorsi della poesia italiana degli anni zero

Primo piano sulla poesia contemporanea

dal numero di marzo 2018

Dello speciale sulla poesia contemporanea che presentiamo in queste pagine si può dire soprattutto quello che non è: non è una mappatura esaustiva della produzione poetica delle generazioni nate tra gli anni sessanta e gli anni ottanta del Novecento; non è una ricognizione che pretenda di individuare linee di tendenza o valori dominanti; non è una selezione di nomi e di titoli orientata secondo una prospettiva militante. È un attraversamento, di necessità parziale, a partire da alcuni libri usciti nel corso del 2017, di una scena sommersa ma vivace e di un mercato editoriale periferico ma che nel tempo ha conquistato lettori e lettrici fedeli. Un attraversamento reso possibile anche grazie alla guida di Franco Buffoni, poeta e scopritore di poeti: i “suoi” Quaderni di poesia contemporanea, che ha fondato alla fine degli anni ottanta e che dirige ancora oggi per Marcos y Marcos insieme a Marco Zapparoli, Claudia Tarolo, Umberto Fiori e Fabio Pusterla, sono stati e continuano a essere, per chi scrive e legge poesia, un osservatorio privilegiato e un laboratorio del futuro. Riccardo Deiana e Jacopo Mecca, che lo hanno intervistato, firmano anche questo articolo in cui si dà conto di alcune antologie nelle quali editori piccoli e medi scommettono sui nomi di domani e di un saggio di Paolo Giovannetti, uno degli studiosi più attenti alla contemporaneità, che offre una panoramica della pluralità delle esperienze poetiche recenti: non della poesia, ma delle poesie, da quella più spiccatamente lirica a quella di ricerca, da quella affidata alla performance orale alla poesia in prosa. Infine, ma non da ultimo, alcuni sondaggi critici: Gabriella Dal Lago, Virginia Giustetto e Francesco Morgando recensiscono a sei mani, in un originale esperimento di pensiero e scrittura collettiva, gli ultimi libri di Stefano Raimondi, Gabriel Del Sarto, Riccardo Olivieri e Giulia Rusconi, la più giovane del gruppo.


 di Riccardo Deiana e Jacopo Mecca

Siamo nel tempo delle fake news, è quindi doveroso sfatarne alcune. La prima. Sebbene l’opinione in voga affermi il contrario, la poesia non è affatto morta. L’importante è cercarla. Cercarla soprattutto nelle collane della piccola e media editoria (Aragno, Donzelli, Ladolfi, L’arcolaio, Lietocolle, Manni, Marcos y Marcos, Passigli, Transeuropa, solo per dirne alcune). La seconda. Ancora più falso è ritenere che la poesia contemporanea sia povera e che addirittura (la terza) sia una forma artistica non adatta alle nuove generazioni: meno istruite, più legate al visivo, alla musica pop, ai social. L’importante è farla risuonare. E farla risuonare non solo nella lettura privata o nei festival, ma anche nelle accademie, nelle scuole, nelle librerie, nei circoli; insomma: la poesia muore solo se non condivisa. Dire poesia è come dire romanzo: è varia e multiforme. Bisogna quindi individuare quella a noi più congeniale, prima di schierarsi con il coro del requiem. Ridurla a monolite significa ucciderla, e una volta uccisa, sarà inevitabilmente postuma, un morto o un fantasma. In questa pluralità, ovviamente, per evitare di perdersi, ciò che più conta è affinare gli strumenti critici e rafforzare il proprio gusto. Un’impresa realizzabile solo tramite la lettura. E se gli scopi sono quelli di affinare, rafforzare e allargare i confini della lettura, cosa c’è di meglio di sfogliare una serie di antologie sulla poesia dei più giovani, e un saggio che prova a contestualizzarla? Il primo editore a scommettere sulle nuove generazioni è stato sicuramente Ladolfi con L’opera comune (1999) a cura di Giuliano Ladolfi e Marco Merlin; il secondo Mondadori con la Novissima poesia italiana, di Maurizio Cucchi e Antonio Riccardi (2004). L’arco cronologico è lo stesso: i nati tra gli anni settanta e la fine degli anni ottanta. Alcuni nomi compaiono in entrambe (Elisa Biagini, Gabriel Del Sarto, Andrea Ponso, Flavio Santi).

L’editore Ladolfi

Ma quello che le differenzia è l’approccio. Se dei novissimi (Fabrizio Bernini, Silvia Caratti, Mario Desiati, Mario Fresa, Anila Hanxhari, Lucrezia Lerro, Amos Mattio, Francesca Moccia, Francesco Osti, Alberto Pellegatta, Barbara Pietroni, Jacopo Ricciardi, Francesca Serragnoli, Matteo Zattoni) i curatori evidenziano il valore testimoniale e individualistico, sostenendo che “non esiste un elemento che ne unifichi il lavoro”, Ladolfi e Merlin, al contrario, cercano di far emergere i punti di contatto. Novissima poesia italiana è una “campionatura sperimentale” e orizzontale; L’opera comune, invece, si muove verticalmente, a partire da un progetto preciso: accorpare un insieme di poeti (Gian Maria Annovi, Simone Cattaneo, Igor De Marchi, Sebastiano Gatto, Riccardo Ielmini, Daniele Mencarelli, Daniele Piccini, Laura Pugno, Fabio Simonelli, Andrea Temporelli, Isacco Turina, Giovanni Turra, Fabio Vallieri) non perché semplicemente affini in termini generazionali, ma perché uniti “costruiscano” la generazione cui appartengono, ne prendano consapevolezza: una generazione, si afferma, non esiste a priori. Un’operazione, questa, condotta liberamente dai poeti stessi, senza l’avallo o la supervisione dei maestri. Scrive Merlin: “Ci piace pensare a questo libro come a un’antologia-enzima, che serva a sviluppare un processo dialettico di confronto fra i diretti interessati”. Oltre l’impostazione, anche il fine delle due antologie risulta opposto: Cucchi e Riccardi vogliono chiudere il cerchio; Ladolfi e Merlin, gadameriani, promuovere “l’apertura ad un lavoro più ampio”, ovvero un’antologia come “progetto di formazione permanente”. La prima è istituzionale; la seconda è militante.

Con lo stesso spirito, maturato all’interno della rivista “Atelier”, l’editore Ladolfi dà alle stampe altre due antologie: La generazione entrante, nel 2011 (a cura di Matteo Fantuzzi); Post ‘900. Lirici e narrativi, nel 2015 (a cura di Matteo Fantuzzi e Isabella Leardini). L’arco cronologico è diverso rispetto alle precedenti: in entrambi i casi infatti compaiono i nati negli anni ottanta (Dina Basso, Marco Bini, Maria Borio, Carlo Carabba, Giuseppe Carracchia, Agostino Cornali, Marco Corsi, Noemi De Lisi, Tommaso Di Dio, Francesco Iannone, Domenico Ingenito, Eva Laudace, Franca Mancinelli, Lorenzo Mari, Michela Monferrini, Davide Nota, Anna Ruotolo, Giulia Rusconi, Sarah Tardino, Francesco Terzago). Il manifesto della Generazione entrante è chiaramente espresso nell’introduzione di Fantuzzi: “l’antidoto sono (…) i testi”. Non testi qualsiasi, ma quelli che provano a ristabilire un contatto tra la poesia e la realtà, oltre il lirismo novecentesco del “ciò che non siamo, ciò che non vogliamo”. Il soggetto dei poeti presentati adotta una lingua lontana dalla “libera effusione” e ha un atteggiamento positivo rispetto al mondo. A livello concettuale, Post ‘900 (che sposta l’asticella anagrafica fino al ’95: Martina Abbondanza, Chiara Bernini, Federica Bologna, Clery Celeste, Gianluca Fùrnari, Maddalena Lotter, Luca Manes, Ivonne Mussoni, Giuseppe Nibali, Stefano Visigalli) è in continuità con gli “entranti”. Anzi, ne rappresenta un rafforzamento. Insiste Fantuzzi, infatti, nel privilegiare un “detto” che ha una vera “sostanza”, che possa “realmente” dialogare “col lettore”. I poeti selezionati non descrivono banalmente il mondo, non abusano di una lingua fine a sé stessa, perché il mondo, essi, attraverso la poesia, lo vogliono “cambiare”. E sulla stessa linea, Leardini aggiunge: “Nessuno di loro per un’accensione linguistica rinuncia a pretendere anche una ricerca di senso”, essi mescolano diarismo, civismo, prosa e poesia sempre nel rispetto di un equilibrio: sono, appunto, “lirici e narrativi insieme”.

L’esperienza di Paolo Giovannetti

Una summa sembra invece essere l’antologia pubblicata dalla fondazione Mondadori, Velocità della visione. Poeti dopo il Duemila, curata da Marco Corsi e Andrea Pellegatta (pp. 190, €20, Milano 2017). Unitamente a uno schedario finale, qui sono stati raccolti quei poeti nati tra la fine degli anni sessanta e i secondi anni ottanta che hanno ormai una certa stabilità (new entry rispetto ai Novissimi del 2004 sono: Mary Barbara Tolusso, Massimo Dagnino, Andrea De Alberti, Lorenzo Caschetta, Michele Hide, Sergio Costa, Francesco Maria Tipaldi). Nella Prefazione Cucchi evidenzia come sia ormai acquisito lo sposalizio tra la poesia e la prosa. Al tempo stesso, lamenta però la morte della riflessione teorica, mettendola in relazione alle sirene della rete: uno spazio che Cucchi definisce “più che virtuale (…) illusorio e consolatorio”. Un declassamento forse troppo sbrigativo. Anche Pellegatta, pur plaudendo all’ apertura multidisciplinare” della poesia del nuovo millennio, ne rileva la stessa carenza. Interessante l’invito di Corsi a interpretare l’antologia come un “campo di forze” e non un “sistema chiuso”, perché uno dei suoi intenti è di “riattivare un’idea forte di comunità (…) intesa come dialogo di scritture e forme testuali in grado di riconoscersi, di stabilire fra sé non solo un valore o una precedenza, ma anche i presupposti per l’individuazione del valore nella differenza”. Più che distruggere, costruire. Più che schematizzare, leggere, nel rispetto dei testi e dei singoli idioletti. Di nuovo: “l’antidoto (…) sono i testi”.

Uno dei tentativi di sondare il terreno della poesia d’oggi, è il nuovo libro di Paolo Giovannetti, La poesia italiana degli anni Duemila. Un percorso di lettura (pp. 128, € 13, Carocci, Roma, 2017) una sorta di piccola antologia commentata, in cui si dà conto della pluralità delle esperienze poetiche recenti: non c’è la poesia – si dice – ci sono le poesie. Prima di iniziare, però, Giovannetti dichiara su quali basi teoriche poggiano le sue tesi. Principalmente sono il libro di Jonathan Culler, Theory of the lyric, del 2015; e Anatomy of Criticism: Four Essays di Northrop Frye, del 1957, tradotto nel 2000 da Einaudi. E proprio dalla teoria egli parte per riscattare la poesia lirica, replicando a chi, come Enrico Testa, afferma che il genere lirico oggi stia scomparendo. Riscattare il lirico dunque per riscattare l’io, attraverso esempi che dimostrino come negli ultimi anni in Italia più che una deriva del genere lirico si sia verificato un suo assestamento.

Sul polo opposto c’è la poesia di ricerca che non è necessariamente di derivazione avanguardistica. La sua caratteristica primaria, sottolinea Giovannetti, è quella di essere simile a un’installazione: l’oggettualità del testo s’impone prima del suo significato, perché il libro di ricerca deve essere toccato, guardato, sfogliato meccanicamente (ne è un esempio Giulio Marzaioli, Arco rovescio, Benway Series, 2014). Per questo motivo il lettore (il fruitore) è chiamato a un’azione: non si tratta solo di capire, ma di rapportarsi in modo fisico con l’oggetto-libro. Opera diversamente la poesia orale, dal momento che mette al centro la voce di chi declama il testo (come nel caso di Lello Voce). Si passa così dall’istallazione alla performance e a un ribaltamento delle parti: il pubblico è passivo, subisce l’esibizione del poeta-performer, che è esecutore di uno spettacolo. Lo scenario odierno della poesia performativa viene ricostruito da Giovannetti confrontando fenomeni diversi: la produzione dei poetry slam (Guido Catalano, Julian Zhara), alcuni aspetti del neometricismo e certa poesia dialettale (Giovanni Nadiani, Assunta Finiguerra) che coscientemente e all’interno di un’operazione letteraria manipola la lingua.

Poesia in prosa e prosa in prosa

Giovannetti prende poi in considerazione altre due forme poetiche che si muovono ai limiti della poesia. Da un lato la poesia in prosa, ormai di lunga tradizione, che punta sull’azzeramento di ogni poeticità convenzionale; dall’altro la sua più recente evoluzione, definita con l’espressione di Jean-Marie Gleize, prosa in prosa, con tutte le difficoltà di definizione del caso (esemplare l’antologia Prosa in prosa, Le lettere, 2009, che comprende testi di Gherardo Bortolotti, Alessandro Broggi, Marco Giovenale, Andrea Inglese, Andrea Raos e Michele Zaffarano). Punto nodale è infine il ragionamento sulla Rete, che oltre a presentare dei rischi oggettivi, potrebbe diventare una risorsa per sperimentare una forma nuova di poesia che in Italia però è ancora in potenza: una poesia elettronica che sappia sfruttare in modo adeguato l’ipertestualità del medium. In definitiva, l’operazione di Giovannetti non è soltanto quella di presentare il vivace panorama della poesia italiana più recente, ma anche un tentativo di problematizzarla e di segnalare quanto oggi sia urgente una teoria nuova che aiuti a codificarne la complessità.

Scommettere vuol dire prendersi dei rischi: sul numero di marzo 2018 Riccardo Deiana e Jacopo Mecca intervistano Franco Buffoni.