Gianni D’Elia – Fiori del mare

Ideali larghi come gli occhi

recensione di Stefano Giovannuzzi

dal numero di novembre 2015

Gianni D’Elia
FIORI DEL MARE
pp. 175, € 15
Einaudi, Torino 2015

Gianni D'Elia - Fiori del mareD’Elia ha ormai una voce netta nel panorama della poesia contemporanea; da anni declina una nozione civile di letteratura che riconosce il suo modello in Pasolini. In quest’alveo si colloca anche Fiori del mare: libro civile e nello stesso tempo di densa memoria letteraria (le due cose non sono antitetiche). Fiori del mare è una raccolta complessa, come dimostra la sua organizzazione interna, distesa in tredici sezioni, tra l’iniziale Sala del preludio (I) e la conclusiva Sala dei congedi (XIII), con al centro Salone del cuore della città (VII), che ne rappresenta la chiave di volta. Complessità significa anche una lunga stratificazione temporale, se in coda all’ultimo pezzo, Salut, “1984-2014” va interpretato come datazione dell’opera.
Baudelaire esercita un ruolo fondamentale: il titolo adegua, un po’ parodicamente, alla misura della riviera adriatica Les Fleurs du mal. Si tratta di una memoria insistita come rivela, ad apertura di libro, la Dedica a Mario Richter: la prima quartina imita l’invio “au poète impeccable” Théophile Gautier. Ma baudelairiano è l’uso insistito della quartina o, soprattutto in Sala dei primi fiori (il titolo non è fortuito), del sonetto, per quanto alluso: tre quartine seguite da un distico. O ancora le quartine di settenari in cui, grazie alle rime alternate, si avverte subito il calco dell’alessan­dri­no: Alla compagna è esattamente intonato come Franciscae meae laudes. Dunque, una consapevole perizia formale accompagnata da un lessico e da una struttura della frase che non coincidono mai con il parlare ordinario e che rilevano il proprio della poesia, in tensione spesso con i temi affrontati: nella poesia omonima i “fiori del mare” sono anche i detriti che il mare restituisce. La poesia testimonia una bellezza ogni giorno lacerata dal degrado e dal brutto imperanti.

Fiori del mare è una raccolta attenta al dialogo con la tradizione, tutt’altro che eversiva; al punto che non pochi testi si chiudono con la lapidarietà di versi latini. Il dialogo scatta in primo luogo con Pasolini, il “Pier Paolo” continuamente citato e ricordato (Le Ceneri, Per la nascita del nipote Pierpaolo), e attraverso Pasolini, non deve sorprendere, con d’Annunzio, quindi con Bertolucci, Fortini (Ultima della rosa, che allude a Ultime sulle rose), Saba, a tratti Montale, per risalire al marchigiano Leopardi: la presenza della Ginestra è emblematica (La Camèna Flaminia), ma il Leopardi che spicca è quello della Palinodia. E non è un caso. Tra Pasolini e il Leopardi della Palinodia si disegna il grande arco del disincanto, della caduta della speranza storica di cambiare il mondo: “La cronaca locale è il nostro niente / di quel sogno sbucciato sui ginocchi, / di quelle strade corse con la gente / dagli ideali larghi come gli occhi” (Cronaca locale). La passione civile si smarrisce tra il gigantismo delle “infrastrutture” e i centri commerciali; il paesaggio della mistificazione quotidianamente perpetrata dal mercato: “Da tutto il grande d’oggi il vero è assente, / ma poi il silenzio del sole ti prende” (Cronaca locale). È venuto definitivamente meno il tempo “in cui si voleva Tutto e Libertà” (Centro Benini). La riviera adriatica offre una qualche forma di compensazione nella memoria e in ciò che resta di uno scenario naturale sopravvissuto all’industria. Questa provincia diventa il luogo di una malinconica auscultazione del tempo e delle stagioni: la tensione etica di Pasolini si derubrica a descrizione paesistica. È una poesia che torna a bordeggiare il Bertolucci prima della Camera da letto. Il ripiegamento non rimedia però la perdita della ragione autentica della poesia: “la poesia è la società // che fa vibrare la rabbia e la pietà” (Agli assenti di Sclocchini).

Gianni D'Elia

Testi risentiti come Cronaca locale e Agli assenti di Sclocchini provengono dal Salone del cuore della città, il centro che mette a fuoco il significato della raccolta: il primo pezzo della sezione si intitola Dietro il teatro. La metafora del teatro è rappresentazione di un mondo come dissoluzione del valore in apparenza: un processo che appanna il vero e riduce le tragedie a notizie. La derubricazione da realtà a linguaggio è il fatto allarmante: la schermo delle apparenze televisive immette nel puro mondo della virtualità, “lontano da ogni orrore e da ogni incanto” (L’antennista), indifferentemente. È contro la quotidiana sottrazione di vero e di realtà operata dal mercato che la lezione della Palinodia leopardiana si attiva, trasformando la poesia in un attacco frontale alle mistificazioni della modernità e della comunicazione di massa. La satira demolisce le false narrazioni mitologiche del potere e dell’economia: “Soldi, opinione, look, televisione, / l’epoca che di sé va così fiera / al ritmo sordo della disco vuole / strafatti vitelloni in densa schiera…” (Il Vitello Adriatico, non a caso).

Il pericolo, che D’Elia talvolta corre, di un’intonazione nobilmente oratoria lascia il campo ad un affondo senza sbavature contro lo svuotamento di senso prodotto dalla modernità: è l’approdo sicuro e persuasivo dei Fiori del mare.

stefano.giovannuzzi@unito.it

S. Giovannuzzi insegna letteratura italiana contemporanea all’Università di Torino