Isabelle Eberhardt – Pagine dall’Islam

Annegata nel deserto

 recensione di Elisabetta Bartuli

dal numero di settembre 2014

Isabelle Eberhardt
PAGINE DALL’ISLAM
ed. orig. 1932, trad. dal francese di Elena Pozzi
pp. 236, € 16,50
La Vita Felice, Milano 2014

Isabelle Eberhardt “Everything about her was extraordinary” (tutto quel che la riguarda fu straordinario) si legge a proposito di Isabelle Eberhardt nel profilo che ne traccia Lesley Blanch in The Wilder Shores of Love (John Murray, 1954). E ancora: “Her death was strangest of all, for she was drowned in the desert” (più strana di ogni altra cosa fu la sua morte, perché annegò nel deserto). Ed è indubitabile che la sua tragica fine a soli ventisette anni (travolta dalla piena di uno uadi nel cuore del deserto algerino) abbia contribuito ad alimentarne la leggenda.
Una leggenda che, comunque, già trovava linfa nella sua genealogia familiare. Isabelle, infatti, era figlia naturale di una tedesca luterana, a sua volta figlia naturale di un ebreo russo. La madre, Nathalie, una quindicina di anni prima della sua nascita, si era trasferita in Russia, aveva sposato un generale e generato tre figli. Della loro istruzione si occupava un precettore, tale Alexandr Trofimovskij, ex pope della chiesa ortodossa. Proprio con lui (filosofo anarchico e poliglotta, amico personale, sembra, di Bakunin e discepolo di Tolstoj) Nathalie aveva lasciato la Russia, portandosi appresso i figli e, dopo un periplo attraverso la Turchia e l’Italia, era approdata in Svizzera. Qui, probabilmente dal rapporto con lo stesso Trofimovskij (ma nulla è certo, si è vociferato addirittura di un legame con Arthur Rimbaud) nasce Isabelle.

Siamo a Ginevra e corre l’anno 1877. Da buon anarchico, Trofimovskij (che Isabelle, nei suoi scritti, chiamerà sempre “Vava”) si fa carico dell’educazione di tutti e quattro i figli di Nathalie, sia dei maschi sia delle femmine, pervicacemente e senza operare distinzioni di genere. Pur se rude e collerico, dà loro una cultura e, insieme, li istruisce alla vita all’aria aperta, facendoli impratichire nel giardinaggio. Isabelle, che non frequenterà mai alcuna scuola, sotto la sua guida studierà storia, filosofia, geografia, chimica, botanica, qualche elemento di medicina. Soprattutto, apprenderà molte lingue (greco, latino, turco, arabo e russo) e, non ultimo, l’amore per la lettura e la scrittura. A tutto ciò, vanno aggiunte le frequentazioni di Trofimovskij, che nella villa ginevrina offre asilo a oppositori del regime zarista, a giovani turchi in lotta contro la Sublime Porta, a rivoluzionari fuggiti dalla Siberia. Questo l’humus in cui Isabelle nasce e cresce. Non dovrebbe perciò far meraviglia se la ritroviamo, a nemmeno vent’anni, in corrispondenza epistolare con intellettuali sparsi per mezzo mondo, immersa in un mondo di parole che la spingono verso un costante movimento, dapprima mentale e subito dopo, spesso camuffata in abiti maschili, fisico. Il suo approdo, alla fine, sarà il deserto, che percorrerà instancabile in lungo e in largo, assetata di conoscenza, di sensualità e di misticismo.

Isabelle Eberhardt - Pagine dall'IslamSarebbe però riduttivo limitarsi a questi dati, pur se indubbiamente fascinosi, per leggere nella sua pienezza l’avventura umana di una donna che ha anticipato i tempi, che è stata, verrebbe da dire, una hippy ante litteram. E, in estrema sintesi, inseguendo l’estasi ascetica è andata, invece, a cozzare contro la realtà della sua epoca, restituendocela di fatto in tutta la sua crudezza. I racconti, le pagine di diario, i reportage, gli appunti, gli abbozzi di romanzi (tutto ciò che Eberhardt ha pubblicato durante la sua breve vita su vari periodici e riviste e, in aggiunta, quanto è stato ritrovato a Ain-Sefra tra le macerie della sua casa distrutta dalla piena ed è ora conservato negli Archivi d’Oltremare di Aix-en-Provence), tutto quanto ha scritto nelle decine e decine di quaderni, fogli sparsi, a volte anche sul retro di documenti di varia natura, tutto mostra inequivocabilmente la crudeltà dell’esperienza coloniale così come si mostrava al suo sguardo libero, scevro da pastoie politiche e da ideologie precostituite.
A proposito delle condizioni di vita sotto dominio straniero, così come dell’esperienza dei tanti che si erano arruolati nella Legione straniera (fossero essi occidentali o spahi come l’uomo che Isabelle sposerà), si possono leggere alcuni esempi anche in questo Pagine dall’islam, che ora esce in italiano dopo un silenzio lungo più di vent’anni (con prefazione di Victor Barrucand e una presentazione dell’edizione italiana di Anna Banfi) e che va ad affiancare gli altri testi di e su di lei pubblicati nel tempo: Scritti sulla sabbia (Mursia, 1990), Sette anni nella vita di una donna. Lettere e diari (Guanda, 1989), Voglia d’Oriente. La giovinezza di Isabelle Eberhardt (Bompiani, 1990).
Dalla rilettura di questi testi non potrà non emergere la caratteristica principale di tutta l’opera di Isabelle Eberhardt, donna il cui sguardo non conosce orientalismi, non accetta stereotipi, va in profondità, ben oltre l’apparenza. Eppure rimane umanamente empatico e, non ultimo, dolcemente romantico.

kesten@goldnet.it

E Bartuli insegna letteratura araba all’Università di Venezia e Vicenza