Paolo Cognetti – New York Stories

Cronache dalla città che non dorme mai

recensione di Fabio Soriente

NEW YORK STORIES
a cura di Paolo Cognetti
pp. 400, € 21
Einaudi, Torino 2015

Paolo Cognetti - New York StoriesQuello che Einaudi lancia, con New York Stories, è uno sguardo sul passato prossimo di New York, città in continua trasformazione, crocevia di popoli e dimensione di passaggio in cui gli intellettuali di ogni epoca hanno visto opportunità.
I racconti vengono presentati cronologicamente. In primis gli anni ruggenti, i Twenties, periodo fatto di sogni e contraddizioni. Per Francis Scott Fitzgerald New York è un’attrazione da guardare «a bocca spalancata come gli orsi ammaestrati», ma anche una «città perduta, avvolta nel freddo del suo mistero e delle sue promesse». E il nuovo borghese newyorkese, per Dorothy Parker, è quello che copre la mestizia della sua esistenza indossando una maschera di gioviale esaltazione. La bella bionda del suo omonimo racconto incarna la perfetta moglie, piacevole distrazione per mariti vuoti, che affoga i malumori negli speakeasies.
Nel primo quarto di secolo New York è, con le parole del curatore Paolo Cognetti, «il nuovo porto mediterraneo», un sogno da cui ricominciare. Mario Soldati ci parla della comunità italiana, Bernard Malamud di quella ebraica. New York è un Eden, ma anche un Moloch impietoso, e molti scappano prima di esserne fagocitati. Qualcuno però resta. Così fa la Mary di Nicholasa Mohr, tenace portoricana con i segni della vita sulla pelle e una casa in sfacelo nell’East Village. Mary è vecchia, ma si sente giovane perché il sogno, per lei, può ancora realizzarsi.

Note jazz e ritmi hip-hop

New York non si arrende. Dopo gli stenti della Seconda guerra mondiale si apre una nuova Jazz Age. Si riqualificano le periferie, i suburbs, con le villette a schiera, più amichevoli dei grattacieli. Comincia l’esodo verso Long Island, Connecticut, New Jersey. La grande mela si spopola, ma tanto New York è fatta per chi arriva, non per chi resta. E così arrivano e se ne innamorano Truman Capote, John Cheever, Herbie Brennan.
La fase più rivoluzionaria è quella denominata “età ribelle”: le manifestazioni di protesta a Washington Square, l’impegno femminista, quello per i diritti degli afroamericani, gli hippies. Sono gli anni sessanta, testimoniati dall’effervescente Ed Sanders, che scrive degli artisti della beat generation, un’intera scena culturale dotata di un’irresistibile carica sensuale, degna dell’ammirazione degli intellettuali, come del Pasolini del racconto della Fallaci, Un marxista a New York.

New York

Nelle decadi successive New York attraversa crisi economiche e sociali. Resistono gli artisti, combattendo a colpi di graffiti e di hip hop. Resistono le anime caritatevoli, come le due suore di Don DeLillo, in L’angelo Esmeralda, che si danno da fare nelle strade delittuose del Bronx. Resistono i newyorkesi perché questa è pur sempre la loro città. Perché dalla parabola di questa antologia una cosa è chiara: New York si rialza, sempre. I suoi grattacieli, pinnacoli di un progresso che non può essere fermato, continueranno a essere un simbolo per chi vi cammina intorno, scrittori, intellettuali, flâneurs, perché essere cittadini di New York è come essere cittadini del mondo.

fabio.soriente@aol.fr

F Soriente è critico letterario