Simone Weil – Viaggio in Italia

Machiavelli, Goethe e Rossini come guide

recensione di Tommaso Greco

dal numero di settembre 2015

Simone Weil
VIAGGIO IN ITALIA
ed. orig.1939
a cura di Domenico Canciani e Maria Antonietta Vito, pp. 131, € 16.50
Castelvecchi, Roma 2015

Simone Weil - Viaggio in Italia - CopertinaUn tentativo di aggrapparsi alla bellezza in un’epoca governata dalla forza. Questo il senso dei due viaggi fatti da Simone Weil in Italia tra il 1937 e il 1938, di cui il volume dà conto, raccogliendo (per la cura attenta di Domenico Canciani e Maria Antonietta Vito, autori di un ricco e dettagliato apparato critico) le lettere che Weil scrisse ai suoi genitori e all’amico Jean Posternak, conosciuto durante un periodo di convalescenza in un ospedale della Svizzera.
Il doppio viaggio weiliano si snoda lungo un itinerario che porta a Milano, Firenze, Venezia, Assisi, Perugia e Roma, ma anche a Ferrara, Ravenna, Stresa: tappe geografiche di una ricerca dell’anima che aspira a sollevarsi sulle miserie del mondo mediante la contemplazione dell’eterno che si esprime nell’arte. Quando si reca in Italia, Simone Weil è reduce da due esperienze, il lavoro in fabbrica e la guerra civile spagnola, che le hanno insegnato definitivamente che “nel mondo, non c’è altra forza che la forza”. Ma proprio questa consapevolezza, come avevano insegnato i greci, rende possibile quel “salto” che permette di librarsi al di sopra di questo dominio brutale; e la contemplazione della bellezza è tra le vie che consentono questo salto.

Venezia

Venezia

Soprattutto nelle lettere inviate a Posternak, Weil esprime opinioni sulla pittura e sull’architettura, sulla musica e sulla scultura, ma anche impressioni sul paesaggio umano e naturale della penisola, nella quale sembra aver trovato un po’ di pace. È una pace vera, quella che si percepisce in queste pagine, guadagnata con l’esercizio della contemplazione, e quindi non effimera e non precaria, e che permette di entrare in contatto con quanto di più profondo si incontri lungo il cammino. Simone dice di non visitare le città, ma di lasciare che siano esse a entrare dentro di lei “per osmosi”. A Milano, ad esempio, “dopo una o due ore di contemplazione” scopre “il segreto della composizione della Cena e le sembra di poter restare “tutta la vita nel refettorio del convento”; in Firenze riconosce la patria della sua anima ed è convinta di aver “vissuto una vita precedente tra i suoi uliveti”; ad Assisi si perde nella campagna umbra, sentendo lo spirito francescano che promana dalla natura (e caso mai sono alcune costruzioni realizzate in onore di Francesco a tradirne lo spirito, come Santa Maria degli Angeli che deturpa – racchiudendola – la Porziuncola). Le guide di questa peregrinazione non sono i consigli per turisti provenienti da conoscenti premurosi; di questi, Simone Weil tiene conto soprattutto per disattenderli. Le guide vere sono Machiavelli e I fioretti, Goethe e la musica di Rossini; tutto ciò che è capace di tramettere lo spirito più profondo di una terra che (pur in un periodo di plumbeo oscuramento) riesce a trasmettere quella “sovrabbondanza di grazie” derivante dal fatto che la provvidenza ha collocato “esseri belli tra cose belle”.

È questa grazia che Weil cerca e trova, mediante la confidenza con ciò che sente possa trasmetterle una “gioia pura”. Non compila elenchi di cose visitate, ci sono anzi molte cose belle che non riesce a vedere; per Venezia, che pure la incanta, non ha “il cuore libero”, e quindi non può amarla perché Firenze glielo ha già “catturato”. Ma si ferma davanti a quelle “meraviglie il cui ricordo dura tutta una vita”; fonde il proprio spirito con quelle opere d’arte che trasmettono il senso del “divino equilibrio tra l’uomo e l’universo” perché sono capaci di cogliere la verità della condizione umana. Le statue michelangiolesche della Cappella medicea, ad esempio – espressione di un’”arte troppo commovente, come Beethoven” – nella loro espressione dolorosa colgono la condizione degli schiavi per i quali la vita è troppo amara; “l’Alba – dice – mi ha rievocato con forza i miei risvegli di operaia, in Rue Lecourbe”.

Ma insieme all’arte c’è la vita: quella che pulsa nell’umanità contadina, che Weil sa riconoscere e amare dovunque si rechi, ma anche quella che scorre nelle piazze della metropoli milanese, tra piccoli caffè dove bere un buon cappuccino e da dove osservare una popolazione simpatica che mette a proprio agio, tanto che “tra qualche giorno mi sembrerà di esserci nata”.

Firenze

Firenze

Non che Weil non veda il lato oscuro del paese che sta visitando: vede benissimo la folla che alla fiera di Milano saluta la visita del re imperatore, vede i muri tappezzati con le frasi del duce, visita le Case dei fasci, nelle quali giovani pieni di retorica fascista cercano di convincerla che, viste le sue idee, il suo posto ideale sarebbe in una miniera di sale. E tuttavia, pur vedendo i segni di quel “grosso animale” che ha imparato a riconoscere grazie alla frequentazione di Platone, non vi si sofferma con preoccupazione, soprattutto perché intensi e diffusi sono i segni di ciò che è capace di contrastare la brutale adorazione della forza. Non solo l’arte,“non avranno san Francesco dalla loro parte, come non avranno Toscanini”, ma anche la fisionomia di gente semplice plasmata dal contatto con i problemi della vita reale; gente che lei ama incontrare nelle fiaschetterie, dove si può mangiare una pasta al sugo a meno di una lira, ma dove soprattutto si possono incontrare giovani operai e pensionati, che pur nella pesantezza della loro condizione “si divertono a improvvisare canzoni, versi e musica!”. Come, e meglio, di altri viaggiatori, venuti a scoprire le ricchezze dell’Italia, Weil ci aiuta a ritrovare quanto meno la memoria di quello sguardo puro che è necessario per incontrare davvero la bellezza.

tommaso.greco@unipi.it

T Greco insegna filosofia all’Università di Pisa