Michael Cunningham: Siamo infatuati della bellezza superficiale

Riscrittura di fiabe e sopravvivenza della letteratura

Intervista a Michael Cunningham di Tiziana Merani

dal numero di luglio-agosto 2016

Una fiaba è un tipo di storia che prevede magia e meraviglia. All’inizio di Un cigno selvatico, il titolo delle sue note iniziali è Dis. Enchant. La sua intenzione era riscrivere racconti del folklore che non avessero elementi di incanto?

No, anzi, la mia versione di queste fiabe è ricca di magia. Questo fraintendimento può nascere dal fatto che nello slang americano dis è una parola che traduce mancanza di rispetto, un insulto. Il titolo fa riferimento al fatto che nei racconti fantastici, le persone vittime di incantesimi, perseguitate da demoni o rinchiuse da streghe, sono generalmente giovani e belle. La maggior parte della gente, però, non appartenendo a questa categoria, non corre il rischio di malefici da parte di forze oscure. Forse è una considerazione un po’ cinica: in sostanza è un commento sul fatto che le riviste di moda, il cinema e i media perpetuino una lunga tradizione di infatuazione nei confronti della bellezza superficiale. Non ci sono racconti fiabeschi che abbiano come protagonisti eroi coraggiosi, intelligenti e generosi ma brutti. E nemmeno riviste di moda con fotomodelli poco attraenti.

I racconti di folklore, non sempre ma spesso, terminano in modo lieto: “e vissero per sempre felici e contenti”. Il lettore non sa ciò che accadrà dopo, ma è soddisfatto di leggere questa formula finale. I suoi racconti proseguono oltre quel finale, imboccano una nuova via, forse meno spensierata. 

Trovo la frase “vissero felici per sempre” un po’ vaga, irreale. Molti di noi, se sono fortunati, riescono a essere a volte felici, altre volte infelici. Fa parte della gioia, del cambiamento, della vita. Freud diceva che se fossimo sempre felici non riconosceremmo la felicità perché sarebbe la nostra condizione costante. Per sperimentare la vera felicità, abbiamo bisogno di conoscere anche i sentimenti più bui. Tra l’altro quel finale sembra un espediente per non raccontare ciò che accadrà dopo. Prendiamo Biancaneve, ad esempio. Un principe che passeggia nel bosco s’imbatte in una bellissima ragazza morta, adagiata in una bara di vetro. È così colpito dalla bellezza della fanciulla che la bacia e la riporta in vita. Insieme vanno a vivere al castello. Quella non è la fine, è l’inizio della storia…

Chi è l’eroe dei suoi racconti? Possono essere persone comuni che accettano il loro destino senza ribellarsi?

Molte fiabe parlano di persone comuni, ma che difficilmente accettano in modo tranquillo il loro destino: quelle che non si ribellano non entrano nelle storie, di nessun tipo, perché sono passive. Nel racconto di Jack e l’albero di fagioli un ragazzino vende la mucca di sua madre per una manciata di fagioli, con la speranza che la magia cambierà le loro vite. Mentre nella fiaba del Nano Tremotino un mugnaio cerca di far sposare la propria figlia al re, raccontando che la ragazza sa mutare la paglia in oro. Se Jack e il mugnaio avessero quietamente accettato la loro sorte, non ci sarebbero state le loro storie. No, i racconti riguardano persone che cercano di cambiare il loro destino.

Leggeva fiabe da bambino? Le amava? C’è una ragione per cui nei suoi dieci racconti ci sono quelle storie, Jack e il fagiolo magico, I Sei Cigni, Raperonzolo e le altre?

I miei genitori hanno iniziato a leggermi fiabe sin da quando ero molto piccolo e io immaginavo che quei racconti fossero veri. Da bambino, sino a una certa età, per me c’era il mondo della mia famiglia e della nostra casa, e poi c’era il mondo dei principi, degli orchi, delle matrigne, degli incantesimi e dei malefici. Erano là fuori, anche se non li avevo ancora visti.

Potremmo dire che le fiabe mi hanno dato quel senso di irrealtà necessario a fare di me uno scrittore. Per la raccolta Un cigno selvatico ho scelto semplicemente le storie che ho amato di più nell’infanzia.  Le fiabe, d’altronde, sono caratterizzate dall’improvvisazione, cambiano a seconda di chi le racconta.  Sono divertenti, intrattengono il lettore e non devono per forza implicare ragionamenti e quesiti. E credo che scegliere le fiabe secondo uno schema, riferendole a un tema specifico, o usarle per illustrare certi punti di vista, snaturi la fiaba stessa.

Oggi molti autori scrivono mescolando temi ed elementi di generi diversi. Si può ancora parlare di generi letterari?

Uno dei più interessanti movimenti della letteratura contemporanea, a mio parere, è l’abbandono di quelli che abbiamo sempre definito “generi”. La fantascienza di qualità, ad esempio, è tanto complessa e profonda quanto alcuni dei romanzi considerati “letterari”. Stiamo allargando il nostro senso di ciò che intendiamo per letteratura seria, fatto che apprezzo molto. Se la letteratura intende sopravvivere, dovrà farlo rivolgendosi alla fascia più ampia possibile di lettori.

Una domanda sul film The Hours. Il ritratto che ne è uscito di Virginia Woolf non le è sembrato un pochino ingiusto? Si è evidenziato solo il lato nevrotico della scrittrice, ma Virginia Woolf era molto, molto di più.

Ritengo che l’attrice che ha interpretato la versione cinematografica di Le ore abbia fatto un lavoro eccellente. Molte persone si sono lamentate del fatto che Virginia Woolf sia stata ritratta come una persona nevrotica, ma dobbiamo ricordare che Nicole Kidman, nel ruolo di Woolf, è rimasta sullo schermo per soli 22 minuti e che il film sarebbe stato visto da un gran numero di persone che a malapena sapevano chi fosse Virginia Woolf. Sì, Woolf era molto più di una persona malata di nervi, ma non c’era tempo per includere le parti in cui, ad esempio, partecipava alle feste. Inoltre bisogna considerare che certe sue nevrosi  (le sue ossessioni, le sue paure) sono state essenziali per il suo genio.

Quale è la sua opinione sulla letteratura dei giorni nostri?

Ci sono grandi scrittori all’opera, oggi, da Don DeLillo a Zadie Smith, Péter Esterházy o Maylis de Kerangal, solo per nominarne alcuni. Forse ci sono meno lettori che in passato, ma ce ne sono ancora e fin quando ci sono i libri, la letteratura sopravvive. Credo che ogni generazione si preoccupi che la letteratura sia in declino, ma credo anche che ogni generazione si sbagli.

Cosa ci può anticipare del suo prossimo libro?

Tutto quello che posso dire è che per ora ho scritto cento pagine. Non è per fare il misterioso, ma ho imparato che non è mai una buona idea parlare in anticipo di ciò che non ho ancora finito di scrivere.

Favole nere. La recensione di Tiziana Merani sul numero di luglio/agosto 2016 di Un cigno selvatico.

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