Pagani e Cannucciari: in Kraken la vera protagonista è l’atmosfera

Eliminare ogni orpello: come lavorano insieme scrittore e disegnatore

Intervista a Emiliano Pagani e Bruno Cannucciari di Andrea Pagliardi

dal numero di gennaio 2018

Emiliano Pagani e Bruno Cannucciari sono due tra gli autori più prolifici del fumetto italiano. Pagani ha scritto e disegnato per numerosi mensili italiani, dal “Vernacoliere” a “Dylan Dog” ed è l’autore della pluripremiata serie “Nirvana”. Cannucciari da quasi trent’anni scrive e disegna le storie di Lupo Alberto.
I disegni di Cannucciari, tratti da Kraken e da altri suoi lavori, illustrano e impreziosiscono il numero di gennaio 2018 dell’“Indice”.

Partiamo da una considerazione generale: voi avete entrambi lavorato negli anni novanta, in un periodo in cui al centro della scena fumettistica d’autore si trovavano le riviste contenitore come “Comic Art”, “Orient Express” o “Frigidaire”. Ora è tutto graphic novel e vi siete adeguati. Cosa pensate di questo cambiamento?

Cannucciari: Penso che la scomparsa delle riviste abbia modificato soprattutto i tempi della narrazione. È vero, c’erano storie lunghe, pubblicate a puntate che in parecchi casi venivano poi rieditate in volume. Ma avevi anche la possibilità di lavorare su racconti brevi e fulminanti, di due pagine o poco più. Ora, invece, nell’epoca dei graphic novel, spazi per questo genere di storie non ci sono quasi più e se ti viene un’idea che è compiuta in 40 pagine non te la pubblica nessuno. Ed è un peccato, perché la narrazione breve è un distillato di ingegno. Inoltre quella delle storie brevi è una palestra molto interessante. Su “Lupo Alberto” sei costretto a uno svolgimento veloce e a una chiusura rapida: ogni vignetta deve essere efficace ed essenziale, non puoi permetterti errori o tempi morti. Quando, poi, affronti un graphic novel, che ha senza dubbio meno vincoli, la tentazione di indugiare su questo o quel passaggio è forte e l’abitudine a restare aderente alla storia diventa una risorsa preziosa.
Pagani: Sì, sono d’accordo. Anche per me lavorare al “Vernacoliere” è stata un’ottima scuola. Lì eravamo costretti a realizzare fumetti autoconclusivi di due pagine al massimo. E dovevano pure far ridere. Quando lo spazio è quello ti abitui ad asciugare, a tagliare e a selezionare sfruttando al massimo tutti gli strumenti narrativi che mette a disposizione il linguaggio del fumetto. Parole e immagini sono due canali diversi ma interconnessi che devono andare in un unica direzione per portare avanti la narrazione senza risultare ridondanti. E tutto questo è ancora più fondamentale se hai a disposizione solo due pagine.

A questo punto veniamo a Kraken, il vostro primo graphic novel. Come avete lavorato?

Pagani: Ci siamo dettati alcune semplici regole: eliminare ogni orpello superfluo, compresi quegli elementi tipici del linguaggio fumettistico come le linee cinetiche le onomatopee, che funzionano bene in tantissimi altri casi, ma che nella nostra storia ci sembravano fuori luogo. E, soprattutto, ci siamo imposti di usare parole e immagini a complemento l’una delle altre, mantenendo una dimensione evocativa: suggerire senza spiegare troppo, ricordando che la prima cosa è sempre il dialogo col lettore. L’essenza del fumetto è ciò che accade tra un disegno e l’altro: nel passaggio tra due vignette la mente si mette in moto e diventa creatrice. Lo spazio bianco è un potenziale infinito ed è costituito dall’immaginazione del lettore.

Una visione del fumetto che punta all’essenziale…

Cannucciari: Sì, avevamo in mente una sorta di manifesto tipo Dogma 95: è stato il nostro corrispettivo della camera a spalla, della luce naturale. Ecco, proprio la questione della luce per me era importante: spesso noi disegnatori siamo portati a utilizzare molti effetti di chiaroscuro per dare volume ai volti. In una situazione di grigio plumbeo, l’atmosfera dominante della nostra storia, tutto questo non poteva avvenire, perciò per Kraken abbiamo scelto un’illuminazione naturale, senza effetti speciali. Insomma, volevamo essere più sinceri possibile. Per i tratti dei personaggi abbiamo invece deciso di usare uno stile non realistico, quasi grottesco. Potrebbe sembrare una contraddizione, ma l’idea era quella di caricare al massimo l’intensità dei gesti e delle espressioni per comunicare in modo evidente e immediato le emozioni dei protagonisti e le loro reazioni ai vari accadimenti. Una reazione di paura, di rabbia di disprezzo deve essere accentuata perché trasmetta la sensazione corrispondente nel lettore.

Come vi siete divisi il lavoro?

Pagani: Ho scritto un soggetto e l’ho fatto leggere a Bruno. Prima di passare alla sceneggiatura e al disegno ne abbiamo parlato a lungo, ci siamo confrontati perché dovevamo essere sicuri di voler raccontare la stessa storia, di essere entrambi dentro lo stesso mondo. A quel punto Bruno ha realizzato numerosi bozzetti che abbiamo visionato insieme. Solo a quel punto ho iniziato a scrivere. Diversamente da quanto si può pensare le parti più sceneggiate sono proprio quelle meno scritte: quest’unica tavola muta, ad esempio corrisponde a due pagine di sceneggiatura. Ogni elemento della scena è stato pensato e inserito per un motivo ben preciso. Volevamo che anche il lettore riuscisse a respirare l’aria del paese: il cielo plumbeo, l’aria salmastra, il mare nero e ostile: è tutto questo a evocare il mostro. La vera protagonista della storia di Kraken è l’atmosfera e per rendere tutto questo occorreva lavorare narrativamente sui dettagli grafici.

E lei è intervenuto anche nella fase di scrittura?

Cannucciari: No, io ho sempre un profondo rispetto per la sceneggiatura. A me interessa entrare nella testa dello sceneggiatore e dare corpo alla sua immaginazione. È essenziale stabilire una sintonia tra disegnatore e scrittore, ma bisogna non confondere i ruoli: il confronto è essenziale, ma nel processo di lavoro è fondamentale che il lavoro dell’illustratore e dello sceneggiatore restino distinti. Metterci del mio per marcare il territorio sarebbe stato ridicolo. Anzi, volevo realizzare qualcosa che stupisse me per primo. E ci sono riuscito, mi sono molto stupito.
Pagani: in realtà alcune tavole sono venute prima della storia, erano frutto delle prove e dei tentativi che Bruno faceva per inquadrare l’atmosfera e il ritmo del racconto, ma erano talmente strepitose che ho voluto inserirle così com’erano, costruendoci intorno intere parti della sceneggiatura.
Cannucciari: Per descrivere gli incubi del protagonista ho voluto usare una tecnica più pittorica che disorientasse il lettore. Anche la forma delle vignette cambia: una specie di scossa tellurica dopo la quale la narrazione riprende il suo corso normale. Intervenendo sull’ordine della pagina volevo che il lettore percepisse lo smottamento direttamente sulla sua pelle e dopo, come per le scosse di terremoto, vivesse quella sensazione di destabilizzazione tipica delle quiete che segue la tempesta. Nei romanzi non grafici tutto ciò non è possibile, ma il fumetto offre una libertà molto maggiore.
Pagani: Verissimo. Abbiamo tentato di giocare col pregiudizio del lettore convincendolo che la storia si sarebbe sviluppata in un certo modo per poi portarlo da tutta un’altra parte. Una cosa che diciamo spesso è che siamo diventati autori di fumetti per disperazione: scriviamo e disegniamo storie che ci piacerebbe leggere.

Quali sono i progetti futuri?

Cannucciari: Nell’immediato futuro entrambi continueremo con i nostri progetti seriali, io con Lupo Alberto e, insieme, con lo spin off dell’ispettore Buddha della serie Nirvana che Emiliano sta scrivendo, che sarà disegnata da Daniele Caluri e che io inchiostrerò. Abbiamo però già un’idea per il prossimo graphic novel. Si tratta di una storia complessa che potrebbe perdersi in mille rivoli e che in questo momento stiamo asciugando. Sarà una vicenda assai cruda.

Più di quella raccontata in Kraken?

Pagani: Temiamo di sì. Ci troviamo per l’appunto in quella fase di cui parlavo prima: grandi confronti e lunghe chiacchierate per riuscire a entrare tutti e due nella stessa storia, nello stesso mondo. Suggestioni, appunti, schizzi e abbozzi. Ma a breve partirò con soggetto e sceneggiatura e, se tutto va bene, dovremmo riuscire a essere in libreria nel 2019.

Gli autori più amati?

Pagani: Quelli che non hanno bisogno di presentazioni: Larcenet, Gipi, Baru. E l’irlandese Garth Ennis (The Preacher, Hellblazer, The Punisher): è un grandissimo scrittore, spesso sottovalutato perché scivola nel grottesco forse con eccessivo compiacimento, ma trovo strepitosa la sua capacità di passare attraverso registri diversissimi con grande disinvoltura.
Cannucciari: Più che fare nomi vorrei confessarvi una cosa: a me capita spesso di innamorarmi follemente di autori che hanno la metà dei miei anni e che, a dispetto della loro giovane età, dimostrano una maturità artistica ricca di trovate grafiche, tecniche e narrative. Spesso quando un disegnatore arriva a cinquant’anni pensa che il suo stile sia definito e di non aver più bisogno di imparare, né dimostrare niente a nessuno. Per come la vedo io questa è la bocciofila di noi autori di fumetti e quando mi rendo conto che conservo una sincera curiosità per i più giovani e per le nuove tendenze sono contento di me. Ecco, io vorrei stare lontano dalla bocciofila per altri trent’anni.


Un retrogusto di Lovecraft nel calamaro gigante: sul numero di gennaio 2018 Chiara Bongiovanni recensisce Kraken (riservato agli abbonati).