Orhan Pamuk – La donna dai capelli rossi

Una notte per scoprire se stessi

recensione di Santina Mobiglia

dal numero di maggio 2017

Orhan Pamuk
LA DONNA DAI CAPELLI ROSSI
ed. orig. 2016, trad. dal turco di Barbara La Rosa Salim
pp. 262, € 19,50
Einaudi, Torino 2017

Orhan Pamuk - La donna dai capelli rossiNella produzione di Pamuk La donna dai capelli rossi è un romanzo breve che appartiene alla vena speculativa più che a quella epico-corale della sua narrativa, pur non esitando a muoversi liberamente tra i modi del conte philosophique e quelli di un moderno feuilleton, tra i modelli culturali al crocevia fra Oriente e Occidente di Il mio nome è Rosso e l’ossessione erotica inseguita in Il museo dell’innocenza. Troviamo qui al centro il tema universale dei rapporti padri-figli, incarnati nel vissuto di entrambi i ruoli del protagonista e interrogati nel loro viluppo misterioso, tra bisogno di riconoscimento e di ribellione, di protezione e di libertà, fino al risucchio che lo trascina nella spirale inestricabile di innocenti crudeltà e opachi sensi di colpa.
Cem, così si chiama il nostro personaggio, è cresciuto con un padre assente, incarcerato in quanto comunista dopo il colpo di stato militare degli anni ottanta in Turchia e poi finito a farsi un’altra vita. Per contribuire alle spese dei suoi studi, Cem lavora in una libreria e da giovane vorrebbe fare lo scrittore, come Jules Verne di cui lo affascinano gli eroi “che da un capo della Terra sbucavano sul lato opposto”. Non sarà così, ma diventerà un ingegnere geologico in seguito all’esperienza cruciale di un lavoro estivo con un mastro cavapozzi in cui trova un sostituto della figura paterna, pieno di attenzioni e di insegnamenti pur severi che lo rafforzano.

L’altro io che c’è in noi

In tutta la prima parte, che li vede accampati su un altopiano desolato poco a nord di Istanbul, la narrazione procede con un ritmo lento su cui grava un’atmosfera di inquieta attesa, nel racconto giorno dopo giorno e metro dopo metro del loro lavoro di scavo sempre più profondo su un terreno ostile in cerca della falda acquifera. Lavoro minuziosamente descritto nei suoi dettagli tecnici con tutta l’attenzione che Pamuk ama dedicare agli antichi mestieri desueti, come già ai miniaturisti o ai venditori ambulanti che abbiamo imparato a conoscere in precedenti romanzi. Ma accanto a questo prende forma lo scavo in un altro sottosuolo: quello degli strati profondi della mente e delle fantasticherie del protagonista, dove si sedimentano tante cose dimenticate, come quelle anche di valore che si ritrovano gettate in fondo ai pozzi. A farle affiorare sono i racconti serali del mastro, quando i due si riposano sotto un albero guardando il cielo stellato. Storie educative e fiabesche, che parlano di giustizia e destino, di padri e figli, come quella di Giuseppe e i suoi fratelli, figli di Giacobbe, che per gelosia lo buttano nel pozzo. A sua volta il giovane apprendista, “con la forza impetuosa di un ricordo vissuto in prima persona”, gli racconta la storia che ha letto in un libro sull’interpretazione dei sogni e solo anni dopo ritroverà in Sofocle: Edipo che uccide il padre, sposa e fa figli con la madre dando compimento senza saperlo al destino annunciato proprio quando tenta di sottrarvisi. E ugualmente quando cercherà di scoprire il colpevole della peste che si è abbattuta su Tebe per punirlo dei suoi misfatti.

Ma a fargli scoprire “l’altro io che c’è in noi” è anche e soprattutto l’incontro perturbante con la Donna dai capelli rossi, che ha il doppio dei suoi anni ma lo rapisce fin dal primo scambio di sguardi nelle strade del vicino paese, dove la insegue furtivamente per giorni, gli compare in sogni “che mi si schiudevano nella testa come fiori selvatici”, fino a una notte indimenticabile di sconvolgente passione e sessualità in cui scopre il “vero se stesso”. La storia prende qui una brusca accelerazione nel concatenarsi di susseguenti eventi dirompenti. Per una distrazione di Cem, il mastro finisce immobilizzato in fondo al pozzo, e il giovane atterrito si dà alla fuga. Scompare anche la donna fatale, attrice di una compagnia di teatro popolare itinerante che quello stesso giorno smontava la tenda allestita per le recite nel paese. Una sera anche Cem era riuscito ad assistere a uno spettacolo, e la scena che resterà impressa nella sua memoria è quella di un duello fra antichi guerrieri in cui un padre uccide il figlio con le sue stesse mani che poi lo abbracciano disperato quando ne scopre l’identità: è la storia di Rostam e Sohrab, che appartiene all’epopea persiana del Libro dei re, scritto da Firdusi mille anni fa.

L’intreccio fra il simbolico e il realistico

A questo punto il piano realistico del racconto, che prosegue pieno di imprevisti colpi di scena, e il piano simbolico, che ne insegue gli archetipi arcaici all’incrocio di diverse culture, si intrecciano fino a fondersi in un potente gioco di specchi. La storia riprende nella seconda parte dopo una lunga cesura temporale, con il protagonista ormai adulto e sposato, sullo sfondo di una Istanbul non più sotto il segno del regime militare di trent’anni prima ma nel pieno della sterminata espansione urbana del nuovo millennio, che ha inglobato e reso irriconoscibile l’altopiano desolato di un tempo e ha fatto la sua fortuna come costruttore edilizio. Sono gli anni dell’ascesa al potere del nuovo partito islamico e, qui come altrove, si aprono scorci di una declinazione anche politica dei temi della libertà e della dipendenza, del paternalismo dispotico e delle multiformi servitù volontarie.

Con la moglie Cem ha un matrimonio felice, nonostante la patita mancanza di figli, compensata da un’intesa solidale nella quotidianità di una vita agiata e del lavoro nell’impresa che conducono insieme. Condivide con lei, senza rivelarne le intime scaturigini, la passione per le storie di Edipo e di Sohrab, sino a scegliere di dare il nome di quest’ultimo alla loro azienda. Ma la “parte oscura” del passato mai del tutto rimosso continua a interrogarlo, rivisitata nei suoi pensieri segreti e filtrata attraverso suggestioni letterarie o pittoriche di ogni epoca e civiltà in cui la vede adombrata. E sarà il demone della curiosità, quando per un gesto imprudente si trova a fronteggiare l’enigma di una sua presunta paternità, a farlo precipitare in una sequenza di eventi sorprendenti, sfidati con ignara hybris fino al drammatico scioglimento finale della vicenda, sul filo di un’avvolgente suspense che lasciamo al piacere della lettura.

Con le sue molte risonanze in contrappunto, il romanzo di Pamuk è un congegno narrativo complesso, costruito su una sorta di doppia mise en abyme, nel rispecchiamento reciproco tra racconto e metaracconto, come nella spiazzante mossa finale che disvela una voce narrante a più strati sovrapposti nelle memorie raccontate in prima persona dal protagonista. Epilogo affidato al rientro in scena della fatale Donna dai capelli rossi, che riprende la parola rivelandosi la vera regista del teatro dei molti destini incrociati giunti a compimento nella rete invisibile di legami, di colpe inconsapevoli e occulte, che hanno annodato in una trama sotterranea la recita delle loro vite.

santina.mobiglia@gmail.com

S Mobiglia è saggista e traduttrice