Speciale Primo Levi: come nacque “Il sistema periodico”

Speciale Primo Levi

Una voce, un’epica. Come nacque Il sistema periodico, di Martina Mengoni

I due mestieri di Levi, di Gian Luigi Beccaria

Anna Dolfi (a cura di) Gli intellettuali/scrittori ebrei e il dovere della testimonianza, di Mariolina Bertini

Ian Thomson Primo Levi. Una vita, di Mario Porro

Roberta Mori e Domenico Scarpa (a cura di) Album Primo Levi, di Francesco Cassata

Una voce, un’epica

di Martina Mengoni

dal numero di aprile 2018

Il sistema periodico (Einaudi, 1975) è un libro stratificato ed eterogeneo, che contiene racconti differenti tra loro innanzitutto per contenuto: al filone dell’autobiografia chimica si affiancano racconti fantastici, come Cromo e Mercurio; racconti di Lager o quasi-Lager (come Cerio e Vanadio); racconti in cui Levi non è protagonista, come Titanio; o ancora un racconto sugli antenati e sul mondo ebraico-piemontese (Argon), l’unico in cui l’elemento chimico sia metaforico; e infine la storia di Carbonio, un esperimento linguistico e narrativo, il tentativo di costruire un’avventura della materia, di rendere protagonista il minimo organico, il quasi-inscindibile puntiforme vettore d’azione del mondo. Da cosa sono tenute insieme istanze così differenti, apparentemente centrifughe?

Molti pezzi, semi, idee germinali del libro risalgono agli anni cinquanta e sessanta, e prima ancora. In un’intervista a Lina Zargani, Levi dichiara di aver scritto una prima versione di Argon nel 1946; sia Levi che Jean Samuel (il Pikolo in Se questo è un uomo) ricordano poi molti pezzi, semi, idee germinali del libro risalgono agli anni cinquanta e sessanta, e prima ancora. In un’intervista a Lina Zargani, Levi dichiara di aver scritto una prima versione di Argon nel 1946; sia Levi che Jean Samuel (il Pikolo in Se questo è un uomo) ricordano poi che dell’idea di un “romanzo sull’atomo di carbonio” – che si concretizzerà nel capitolo di chiusura del Sistema, intitolato appunto Carbonio – si discuteva già nei mesi della prigionia ad Auschwitz. Il racconto Titanio è una versione con varianti di Maria e il cerchio che Levi pubblicò su “L’Italia socialista” nel 1948; di due anni dopo è Turno di notte, che verrà riassorbito nel Sistema periodico con il titolo di Zolfo. Nel 1961, sul “Mondo”, Levi pubblica La carne dell’orso, racconto di montagna che Calvino definisce un tentativo di “epica conradiana”: come hanno mostrato Andrea Cortellessa e Riccardo Capoferro è infatti esplicitamente modellato su Youth di Joseph Conrad. Questo testo non comparirà mai nel Sistema periodico, eppure lo si potrebbe considerare una prima elaborazione (per ambientazione, epos, costruzione dei personaggi) del racconto Ferro. Su ventuno racconti chimici che comporranno Il sistema periodico, sappiamo per certo che tre prime versioni certe (e una possibile) sono dunque scritte entro il 1950, una quarta entro il 1961. Sempre nel ’61, Levi recensisce un curioso libro, Il chimico di Fabrizio De Santis (all’epoca giornalista del “Corriere della sera”), secondo volume di una collana di Vallecchi intitolata “Il Bersaglio. Saggi e inchieste sulle professioni”; un incrocio tra indagini sociologiche e racconti di costume, con una chiave nettamente divulgativa. Levi apprezza il libro, pur rimanendone in una certa misura insoddisfatto, come lascia intendere la conclusione della sua recensione: “Ci sarebbe piaciuto leggere (ma solo un chimico avrebbe potuto scriverne) delle esperienze fondamentali del ricercatore, il successo e l’insuccesso; dello stato d’animo esaltante, ilare, del chimico che segue una pista; della sua lotta quotidiana contro la materia inanimata, che egli percepisce come malvagia, chiusa, nemica, fino a che non abbia la ventura di trovare lo spiraglio in cui far leva, ed allora al buio segue la luce, al caos l’ordine”. Ed è questa, senza dubbio, una prima e compiuta formulazione (la più antica di cui abbiamo notizia) dell’idea alla base del Sistema periodico.

Eppure, in un’intervista del 1966 a Edoardo Fadini, Levi si descrive “diviso in due metà”, preda di una “spaccatura paranoica”, quella tra il chimico e lo scrittore, incapace di fondere insieme queste due vene: “Sono due parti di me stesso talmente separate che sulla prima, quella della fabbrica, non riesco nemmeno a lavorarci su con la penna e con la fantasia. Ho tentato di fare dei racconti sulla mia vita di fabbrica. Sono i peggiori”. Cinque anni dopo la recensione a De Santis, il progetto che aveva enunciato appare una pista morta.
Solo due anni dopo, nel 1968, la situazione è capovolta. In un’altra intervista, questa volta di Mladen Machiedo, Levi dichiara: “L’ho iniziato. Sarà un libro sulla mia esperienza di chimico. All’infuori di queste non ho più molto da dire. Il primo racconto descrive il mio amore giovanile per la chimica, anzi per l’alchimia; la chimica mi pare una cosa troppo evidente, priva di velo, di mistero… Ho scritto un altro racconto su un atomo”. Al netto delle cautele leviane, nel 1968 il progetto del Sistema periodico ha preso il via. I due racconti cui si fa cenno sono Idrogeno e naturalmente Carbonio.

Il passaggio decisivo

Che cosa è successo in questi due anni? Come si è passati dallo sconforto per racconti malriusciti alla certezza che il libro è iniziato? Nell’intervista a Machiedo Levi lascia intendere che la stesura di Idrogeno abbia rappresentato in qualche modo un passaggio decisivo. Sebbene non compaia come primo racconto della raccolta ma come secondo (dopo Argon), Idrogeno può essere considerato il vero inizio del libro. È il primo testo in cui compare il giovane Levi-personaggio, alle prese con la passione per la chimica. Levi narratore lo presenta come un giovane poco adatto alle relazioni sociali, in polemica con la filosofia (in generale, e con Croce in particolare) e con le discipline umanistiche, che proietta sulla chimica la propria sete di conoscenza e il proprio desiderio di misurarsi; “avremmo dragato il ventre del mistero con le nostre forze”, dice Levi riferendosi a se stesso e al compagno di studi Enrico. Qui la scienza della materia è più che altro un’alchimia potenziata, una chiave per la comprensione dell’universo e insieme una battaglia formativa, attraverso cui il giovane ilozoista Levi modella il suo passaggio alla vita adulta. Si delinea quello che è forse il vettore dominante del libro, in grado di tenere insieme racconti tra loro molto diversi, e distanti temporalmente; la combinazione di un impianto epico e un’impostazione vocale che, saldandosi insieme in Idrogeno, costituiscono il principio di unità del libro.

I primi “esperimenti vocali” Levi li aveva fatti in Se questo è un uomo, in particolare nell’edizione einaudiana 1958. Una delle varianti più significative di questa edizione è l’inserimento di un autoritratto incipitario. L’attacco della prima edizione (1947) era impersonale (“Alla metà del febbraio ’44, gli ebrei italiani nel campo di Fossoli erano circa seicento; v’erano inoltre un centinaio di militari jugoslavi internati…”); un generico “noi” entrava in scena dopo circa venti righe (“Noi avevamo parlato a lungo coi profughi polacchi e croati, e sapevamo che cosa voleva dire partire”): è un “io collettivo” composto da personaggi consapevoli e disillusi. Viceversa, nell’autoritratto incipitario 1958 (che precede e non sostituisce l’apertura del 1947), Levi si auto-descrive al di qua del Lager, ancora immerso nel mondo civile: un giovane di ventiquattro anni colto e solitario, non disilluso e certamente non consapevole: con “poco senno”, “nessuna esperienza”, “una decisa propensione (…) a vivere in un mio mondo scarsamente reale”; poche amicizie maschili, e amicizie femminili “esangui”. Complessivamente, l’autoritratto è costruito su un’esaltazione enfatica di anti-eroismo che istituisce una simmetria tra incapacità relazionale e inettitudine alla lotta. Levi sta introducendo il protagonista di Se questo è un uomo, e al contempo sta modulando quella che Cesare Segre definisce la “gamma tonale” della voce del personaggio-narratore del libro. Nella sua seconda chance editoriale, Primo Levi volle che l’attitudine di “studio pacato dell’animo umano”, senza odio ma anche senza redenzione, che aveva penalizzato una larga diffusione del libro undici anni prima, fosse il vero propulsore del testo. Per riuscirvi c’era bisogno di impostare il tono fin dalla prima pagina, presentandosi al lettore sia in quanto agens che in quanto auctor. La posizione diminuita e la fallibilità del personaggio assicuravano maggiore credibilità al narratore, e costituivano anche un capovolgimento dell’invettiva di Shemà, la poesia posta in epigrafe.

Già in Se questo è un uomo, quindi, Levi cerca e trova una voce con cui entrare in scena, che unifichi la sua narrazione, sempre modulare, per tasselli, short stories. Questa esperienza (trovare un timbro vocale e una posizione autoriale unificanti) funziona da prototipo; seguiranno diversi altri tentativi (attraverso autoritratti incipitari e non solo); ma la raccolta più importante, quella che necessiterà di un’omogeneità vocale che tenga insieme l’eterogeneità di temi e costruzioni, sarà proprio il Sistema periodico. La radice del vettore epico è invece da riscontrarsi, come già anticipato, nel primo tentativo di racconto di montagna, La carne dell’orso. Rifarsi esplicitamente a Joseph Conrad, uno dei suoi autori prediletti (in particolare al Conrad di Youth, The Shadow Line e Typhoon) significava traslare dal racconto di mare a quello di montagna il motivo del misurarsi, misurare le proprie forze, e dello scontro con la natura come rito di passaggio e insieme come esperienza di libertà (“il sapore di essere forti e liberi, il che significa liberi di sbagliare”). L’epica dei montanari taciturni e negletti dalla grande letteratura (“è gente che non parla molto e di cui gli altri non parlano affatto, per cui ne manca ogni menzioni e nella letteratura di quasi tutti i paesi”) è per Levi gemella e complementare a quella dei chimici nascosti nei propri laboratori; di entrambi ancora nessuno ha scritto; di entrambi Levi, chimico e escursionista, vorrebbe scrivere. Nel 1961, Levi denuncia questo suo desiderio sia nella recensione a De Santis che ne La carne dell’orso. Entrambi i tentativi confluiranno nel Sistema periodico: il campo semantico del misurarsi è dominante in Idrogeno; Sandro, il compagno di scalate del giovane Primo in Ferro, è come lui studente di chimica; Sandro inizia Primo ai segreti della montagna, Primo inizia Sandro a quelli della letteratura.

Carbonio, con cui si chiude il libro, rappresenta il polo epico opposto e speculare: dalle infinite potenzialità simboliche proiettate nella chimica, all’infinita potenzialità atomica dell’elemento chimico, che di volta in volta si specifica in epoche, oggetti, ambienti diversi, in maniera insieme determinata e transizionale. Dopo aver dato seguito al suo progetto del 1961, dopo aver riscritto il libro di De Santis dal punto di vista delle vittorie e delle sconfitte di un chimico, Levi nell’ultimo capitolo ce ne offre la rilettura, perfino parodica, de lautre côté, dal punto di vista dell’oggetto di studio: l’atomo come il marinaio senza sosta, che attraversa e modella la materia del mondo spogliato da ogni desiderio formativo, ma con vero e perpetuo spirito di avventura.

martina.mengoni@sns.it

M Mengoni è insegnante e saggista

Una versione estesa di questo testo è stata presentata all’interno del convegno “Cucire parole, cucire molecole. Primo Levi e Il sistema periodico”, svoltosi presso l’Accademia delle Scienze di Torino lo scorso 22-23 novembre, e sarà pubblicata nei prossimi mesi in un volume di Atti.