Paolo e Vittorio Taviani – Una questione privata

“Follia amorosa e cavallereschi inseguimenti”

recensione di Francesco Pettinari

dal numero di novembre 2017

Paolo e Vittorio Taviani
UNA QUESTIONE PRIVATA
con Luca Marinelli, Lorenzo Richelmy, Valentina Bellè, Francesca Agostini, Jacopo Olmo Antinori.
Italia, Francia 2017

Paolo e Vittorio Taviani - Una questione privataLa cinematografia dei fratelli Taviani, Paolo (classe 1931) e Vittorio (classe 1929), è ricca di un costante e proficuo rapporto con la letteratura, con opere e autori anche molto distanti tra loro, che vanno da Tolstoj (San Michele aveva un gallo del 1972, Il sole anche di notte del 1990, nonché Resurrezione, miniserie per la televisione del 2001) a Goethe (Le affinità elettive del 1996); da Pirandello (Kaos del 1984 e Tu ridi del 1998) a Gavino Ledda (Padre padrone del 1977, Palma d’oro a Cannes); da Antonia Arslan (La masseria delle allodole del 2007) a Boccaccio (Maraviglioso Boccaccio del 2015) a Shakespeare, messo in scena dai detenuti di Rebibbia (Cesare deve morire del 2012, Orso d’oro alla Berlinale): ebbene, in ogni film, il loro rapporto con il testo di riferimento non è mai stato all’insegna della fedeltà a tutti i costi, del filologicamente corretto; più che di trasposizioni si deve parlare di adattamenti, realizzati all’insegna di una lettura personale, libera e creativa dell’originale. Per il loro ventesimo film, la scelta dei fratelli toscani è caduta su Una questione privata di Beppe Fenoglio, un romanzo postumo, pubblicato da Garzanti nell’aprile del 1963, a soli due mesi dalla morte prematura dell’autore; un romanzo che presenta un fascino particolare legato al fatto che è, almeno da un punto di vista redazionale, non finito; è inoltre il meno epico dei romanzi dell’autore, e, nello stesso tempo, è quello più romanzesco, pur essendo ambientato durante la Resistenza: Fenoglio non ha confezionato soltanto un tributo alla memorialistica ma è partito dalla Storia per indagare la condizione umana su un piano universale, trascendendo così l’immanenza e trasformandola in un’allegoria dove prende corpo la disillusione nei confronti della vita, in un’accezione che si può definire metastorica. Se si dovesse sintetizzare in una sola frase l’essenza del cinema dei Taviani, si potrebbe dire che hanno cercato, non sempre con lo stesso esito, di interrogare il ruolo delle vicende del singolo individuo dentro la Storia: in questa prospettiva, il romanzo di Fenoglio collima in modo perfetto con la loro poetica. Un’indicazione critica folgorante su Una questione privata l’ha lasciata Italo Calvino, il quale, scrivendo l’introduzione al proprio romanzo sulla Resistenza, Il sentiero dei nidi di ragno, sostiene che l’opera di Fenoglio è costituita di “follia amorosa e cavallereschi inseguimenti” senza per questo venir meno alla trasmissione di valori morali che sono tanto più forti pur essendo impliciti.

Un’opera particolare, a dire il vero

Il film dei fratelli Taviani ha avuto la sua première mondiale al Festival di Toronto, nella sezione Masters, e, dopo l’anteprima nazionale alla festa del Cinema di Roma, è nelle sale distribuito da 01. Non è stato accolto con favore unanime dalla critica, che ha espresso varie perplessità, a ben guardare più legate al confronto con il romanzo, uno dei capolavori della letteratura italiana del Novecento, e di conseguenza al retaggio ideologico legato alla lettura della Resistenza, che non a uno sguardo frontale al film nella sua legittima autonomia artistica.
È un’opera particolare, a dire il vero, Una questione privata: intanto, è un film rapido, dura solo ottantaquattro minuti, un tempo piuttosto insolito, ma questo non significa poter affermare che il film rappresenti la trama in maniera sbrigativa; inoltre, è la prima volta che, a dispetto della sceneggiatura firmata da entrambi, materialmente la regia è solo di Paolo, perché Vittorio, per motivi di salute, non  ha potuto essere presente fisicamente durante le riprese, anche se il confronto è stato quotidiano, via telefono, anche comprensivo dei loro celebri litigi. La sfida di tradurre in racconto per immagini la scrittura di Fenoglio non era certo facile, anche se il romanzo è nato dall’idea di un soggetto cinematografico per un film che avrebbe dovuto realizzare Giulio Questi; la peculiarità del romanzo, la compresenza dell’oggettività del realismo descrittivo e della visione interiore del protagonista, non poteva che tradursi, nel film, in una costruzione narrativa basata sul montaggio alternato, dove l’asse temporale che disegna il continuum del tempo filmico alterna il presente della guerra alla memoria legata a  momenti del passato; ma è rispetto alla rappresentazione dello spazio che i Taviani hanno avuto un’intuizione molto efficace. Non solo il paesaggio non è quello reale della Langhe – ormai più adatto a uno spot enogastronomico che non a un set per un film sulla Resistenza – ma c’è un elemento visivo che invade lo schermo a partire dalla prima inquadratura: la nebbia, che diventa per tutta la durata del film un vero e proprio personaggio, una caratterizzazione quasi fiabesca del paesaggio, una sorta di correlativo oggettivo dell’incantamento che subisce il protagonista, Milton, rispetto al suo perdere la testa per una ragazza.

aolo e Vittorio Taviani - Una questione privata

Nella prima metà del film i Taviani sono fedeli alla lettera e allo spirito del romanzo di Fenoglio, raccogliendo la suggestione calviniana che permette di leggerlo come un moderno poema cavalleresco. C’è stata una vita di prima: nell’estate del 1943, Milton, un giovane borghese colto e incline al silenzio, insieme al suo amico del cuore Giorgio, al contrario estroverso e solare, ha conosciuto Fulvia, una ragazza di Torino sfollata nella sua villa di campagna a causa dei bombardamenti. Si è venuto a creare un triangolo di amicizia e di amore, di pomeriggi trascorsi ad ascoltare anche ventotto volte di seguito Over the Rainbow di Judy Garland  – era un tempo in cui si diceva “mi piace da svenire” e non “mi piace da morire” -, e a tradurre Cime tempestose di Emily Brontë, perché Milton è un asso nell’inglese, per questo porta il nome del celebre poeta del diciassettesimo secolo. Nella triangolazione, Milton si sente inferiore rispetto agli altri due, o almeno, lui vive un sentimento amoroso tutto interiore e sublimato.
Dopo l’armistizio, la guerra civile ha spazzato via la vita di prima, che può solo tornare come memoria visiva. Milton e Giorgio sono partigiani in due brigate diverse. Il paesaggio incantato e il ricordo riportano Milton alla villa: lì lo accoglie la custode, che allude a una possibile relazione tra Giorgio e Fulvia (lui veniva troppo spesso a farle visita, e uscivano e rientravano tardi): semplici allusioni, ma tanto basta a insinuare in Milton un dubbio che diventa ossessione – oggi si direbbe paranoia. Milton deve cercare Giorgio, perché ha bisogno di sapere, di conoscere la verità, di procurarsi delle prove, ma l’amico è stato catturato dai fascisti. Da questo punto in avanti, l’azione militare e il dramma interiore di Milton si amalgamano; Milton cattura un fascista, ma è merce di scambio per dare soddisfazione ai suoi dubbi. Il prigioniero cerca di scappare, Milton lo uccide; ormai in preda al furore, non seguirà i compagni, ma tornerà alla villa, dove però trova i fascisti che gli sparano addosso.

Tornare uomo d’azione

È nella seconda metà del film che i Taviani si prendono maggiori libertà rispetto al romanzo: la follia amorosa di Milton non significa rinnegamento o tradimento degli ideali che lo hanno portato a scegliere di essere un combattente: è come se, in certi momenti, dimenticasse il posto in cui si trova e i motivi per cui ci si trova. Come per controbilanciare questo aspetto, i Taviani hanno inserito alcune scene che non sono presenti nel romanzo di Fenoglio: una bambina sopravvissuta al massacro della propria famiglia che rimane distesa, come se dormisse, accanto al cadavere della madre – un frammento narrativo che crea un ponte tra questo film e La notte di San Lorenzo del 1982 -; e l’uccisione, fuori campo, di un fascista a tempo di musica jazz: scene che però non aggiungono nulla al valore e al significato della vicenda legata al romanzo.
Lo spazio più aperto alla libertà, era, per ovvi motivi, il finale. Fenoglio non precisa se Milton muore oppure no: si rifugia in un fossato, probabilmente è ferito; la morte del partigiano-paladino, molto probabile, in Fenoglio è tanto dovuta alle pallottole dei fascisti quanto alla sua ossessione interiore; nel finale dei Taviani Milton riesce a sfuggire ai repubblichini, raggiunge la cima di una montagna, esce dalla nebbia, e, come se finisse un sortilegio, acquista consapevolezza di essere vivo; più ancora, come se si fosse liberato da una volontà di morte legata alla sua vicenda interiore, ritorna uomo d’azione. Molto efficace visivamente, è però una lettura che finisce per  sottrarre qualcosa all’assunto di Fenoglio.

Eccellente Luca Marinelli nel ruolo di Milton: meno istrionico, sia nel fisico sia nel linguaggio, rispetto ai personaggi di Lo chiamavano Jeeg Robot e di Non essere cattivo, l’attore riesce a esprimere lo stato allucinazione, quasi di trance, che accompagna il percorso narrativo del protagonista. Non così brillanti sia Valentina Bellè nel ruolo di Fulvia sia Lorenzo Richelmy in quello di Giorgio, nonché il resto del cast, nell’impresa di sostenere una recitazione di chiara matrice teatrale, brechtiana, antinaturalistica, molto distante da quella richiesta per interpretare un personaggio di una fiction televisiva. Pregevoli sia la fotografia di Simone Zampagni, sia la colonna sonora, firmata da Giuliano Taviani e Carmelo Travia, che ha avvolto di sonorità jazzistiche il leitmotiv legato al tema di Over the Rainbow – e il titolo internazionale del film è Rainbow–A Private Affair. Al di là della valutazione critica, al di là di alcuni momenti irrisolti, forse più per fedeltà alla propria poetica che non per incapacità, resta riconoscibile e immutata l’impronta autoriale dei fratelli Taviani: un cinema rigoroso, austero, che nulla concede all’emozione facile, che alterna aulicità ed elegia, realismo e astrazione. Una questione privata si impone per la necessità di far conoscere, soprattutto ai giovani, un momento della Storia italiana che appartiene a un passato recente e che però sembra ormai troppo remoto; un tempo in cui le questioni private convivevano con le questioni pubbliche, con il senso di appartenenza a un partito, a un ideale, a un’utopia, e con la determinazione a cambiare lo stato delle cose.

fravaz_tin_it@hotmail.com

F Pettinari è critico cinematografico

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