Novembre 2018 – In questo numero

Sistemi variabili e interconnessi

Iniziamo da Marx. Il numero di novembre si apre con un’ampia rassegna degli scritti in occasione del centenario a cura di Cesare Pianciola e una lunga intervista ai due curatori di una recente edizione degli Scritti economico filosofici del 1844, Enrico Donaggio e Peter Kammerer. Emerge dalle parole dei due editori una preoccupazione filologica, prima ancora che filosofica, di recuperare una versione credibile degli scritti di Marx, una modesta e fondamentale “manutenzione della memoria” per salvare il testo di Marx dall’oblio delle celebrazioni: quel paradossale effetto di sovra-interpretazione tipico dei centenari che finisce per offuscare l’autore celebrato.

E il senso e l’utilità della “manutenzione” è al centro del segnale di Massimo Moraglio che ricorda l’importanza di mantenere i sistemi in funzione, curando la routine, gli aggiustamenti graduali dei loro meccanismi. È una presa di coscienza importante della natura politica della tecnologia, al di là dell’esaltazione del momento geniale dell’invenzione: prendere coscienza appunto della complessità dei sistemi, delle loro interrelazioni molteplici e inevitabili che richiedono cura e attenzione.

Questo ci porta direttamente al libro del mese: Costruire e abitare di Richard Sennett, recensito da Arnaldo Bagnasco e Cristina Bianchetti: l’etica della città proposta da Sennett – sociologo, urbanista, e altro ancora – è chiaramente quella di una città aperta: “storta, aperta, modesta”, dove la stortura “naturale” dell’uomo trova rimedio in una difficile ricerca dei modi per sopportare “il peso degli altri”.

La scelta per l’apertura dei nostri sistemi sociali e politici è presente anche nell’intervista a Maurizio Veglio nel Primo piano Migrazioni: Veglio ci informa sull’attività delle legal clinics universitarie, che svolgono funzione di ricerca (sui precedenti dottrinali) e di assistenza (nei tribunali) alla preparazione dei ricorsi alla giustizia dei migranti. Una nuova forma di creare una scienza pratica del diritto per spingere l’ordinamento giuridico nazionale (e sovranazionale) a salvaguardare la natura aperta delle comunità occidentali.

Su un altro piano, ma in linea con queste prospettive, segnaliamo anche il Primo piano sulla biografia di Goethe, Della mia vita, un testo fondamentale per la cultura moderna, nel quale Goethe ripercorre la storia della sua formazione all’insegna di una cultura transnazionale e universalistica, un ideale da mantenere anche quando le forze “demoniche” intervengono a modificare le volontà individuali nei momenti di crisi.

Sull’influenza di forze “involontarie” – o forse semplicemente poco conosciute – ci illumina la recensione di Francesco Cassata al libro di Jan Plamper, Storia delle emozioni, una prospettiva di ricerca che complica l’idea semplice della storia come affermazione lineare della razionalità umana, indagando il ruolo delle emozioni nelle scelte umane. Ma emerge anche, ed è l’aspetto forse più interessante, la convinzione che le esperienze della vita “storicizzano” il cervello, che non è una macchina sempre uguale a se stessa, ma oggetto di “variabilità storica”.

Una prova della natura variabile e interconnessa dei comportamenti umani è il grande libro di Frank Trentmann, L’impero delle cose, una gigantesca ricostruzione dei consumi nel mondo occidentale, dove l’autore mette in crisi il postulato primo del consumismo moderno: l’esistenza di un consumatore isolato che sceglie secondo il suo utile. Trentmann ci mostra invece la natura sistemica dei consumi, l’influenza dello stato e l’agire di una pluralità di attori grandi e piccoli che strutturano le forme collettive del consumo.

Un ultimo richiamo alla formazione complessa dei sistemi culturali: le due recensioni nella sezione Arte: sia l’Islam a Firenze sia l’arte politica in Italia (recensite da Laviola e Iamurri) ci ricordano, se ce ne fosse bisogno, l’irriducibile natura plurale e internazionale e meticciata dei grandi movimenti artistici e culturali che hanno segnato la storia italiana. Manca poco, ma prima o poi dovremo difendere i Medici dall’accusa di aver inquinato il Rinascimento “italiano” con pericolose influenze islamiche.

M.V.

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