Gian Piero Piretto – Vagabondare a Berlino

Perdersi e lasciarsi andare

di Salvatore Renna

Gian Piero Piretto
Vagabondare a Berlino
Itinerari eccentrici tra presente e passato
pp. 360, € 25,
Cortina, Milano 2020

Secondo quanto scrive Baudelaire ne Il pittore della vita moderna (1863), il compito dell’artista che vaga tra la folla della città risulta decisivo: essendo “sempre in viaggio attraverso il gran deserto d’uomini”, egli “persegue un fine più alto di quello di un semplice perdigiorno”, poiché è alla ricerca di “quell’indefinito che ci deve essere permesso di chiamare la modernità”. Le riflessioni del poeta francese, pur essendo direttamente suscitate dalla percezione del moderno e, in particolare, della sua manifestazione urbana, si sono dimostrate incredibilmente feconde, dando vita alla figura del flâneur. Questi, comparso al centro di innumerevoli esempi non solamente letterari, emerge come colui che decide di perdersi camminando all’interno della città e che vive così un’esperienza estetica rivelatrice: egli, cioè, esplora lo spazio caotico della metropoli senza alcuna meta prestabilita, con gli unici obiettivi di smarrirsi nei suoi meandri e di percepirlo tramite i sensi e la dimensione corporea, per poi rielaborare in forma artistica l’esperienza vissuta. Una domanda sorge però spontanea: può sopravvivere qualcosa di questa pratica e, soprattutto, delle sue potenzialità euristiche ed ermeneutiche, una volta che le coordinate storico-sociali della modernità sono state stravolte e dopo che sono state completamente alterate le modalità attraverso cui nell’epoca contemporanea si sperimentano le connessioni tra spazio e tempo?

Il volume Vagabondare a Berlino, scritto da Gian Piero Piretto, costituisce un’implicita risposta affermativa. Lo scenario attraverso cui si snoda la flânerie di Piretto è, com’è chiaro dal titolo, la Berlino contemporanea, scoperta soprattutto nei suoi luoghi più nascosti, lontano dai consumati itinerari turistici. Ponendosi in piena continuità con la tradizione di una flânerie intesa come sguardo straniato sul territorio urbano e come esercizio in grado di svelare, secondo la lezione dei surrealisti francesi, l’inconscio della metropoli e il suo genius loci, l’autore privilegia esplicitamente quelle “camminate apparentemente senza meta” e “prive dell’obbligo di arrivare e performare a ogni costo”. Pertanto, la sfida lanciata al lettore, che legge di Berlino ma che sin dalle prima pagine comprende di poter replicare l’esperimento pressoché ovunque, consiste nel “perdersi e lasciarsi andare dopo che si è reso il debito omaggio ai capolavori raccolti nei musei, dopo che si sono visitati i luoghi della grande storia e della memoria, quando, magari saturi di arte e cultura cosiddette alte, si senta il desiderio di accantonarle per immergersi nella quotidianità”.

Partendo da queste premesse, la scelta della capitale tedesca, dove l’autore risiede da qualche anno, poteva rivelarsi felice e rischiosa al tempo stesso: felice, perché pochi altri luoghi appaiono storicamente e culturalmente stratificati come Berlino, nei cui spazi spesso secondari e interstiziali la storia del Novecento (ma non solo) ha saputo incunearsi con straordinaria potenza simbolica; rischiosa, anche, perché i processi di gentrificazione e omologazione culturale tipici del tardo capitalismo hanno sempre più travolto la città e, soprattutto, molte di quelle nicchie di autentica cultura alternativa che per molto tempo l’hanno resa profondamente diversa da altre capitali europee. Da questo punto di vista l’operazione compiuta nel volume appare più che riuscita, perché è proprio attraverso una continua deriva all’interno dello spazio cittadino che ne viene restituita un’immagine alternativa a quella patinata delle guide turistiche.

Il ritratto fornito dallo sguardo ondivago di Piretto risulta infatti denso di una storia che viene rievocata e ricostruita in profondità a partire da piccoli dettagli – un negozio, un palazzo, un angolo di strada –, nonché ricco di cultura contemporanea e popolare, come le bellissime pagine dedicate a un negozio di articoli sacri e alla sua proprietaria. E, mentre cammina, questo flâneur si mostra altresì attento a tematizzare e discutere la sua figura e la lunga tradizione letterario-filosofica alle sue spalle, particolarmente significativa nel caso di Berlino – non soltanto guardando a Franz Hessel, ma soprattutto attraverso un continuo confronto con Walter Benjamin, nume tutelare di ogni riflessione sulla flânerie. Se, da un lato, il peso della teoria non diviene mai eccessivo, ma serve anzi come grimaldello per rilanciare e approfondire una pratica inevitabilmente legata all’esperienza, dall’altro il testo si apre agli innumerevoli spunti da cui l’autore è stato colpito nelle sue passeggiate (reali e bibliografiche), realizzando con misurata intelligenza la natura intimamente transmediale del flâneur. Il lettore si trova così di fronte non solo ai luoghi più nascosti della città, non solo davanti alla sua storia più profonda e alle sue eccentricità più affascinanti, ma viene anche sollecitato dalle rappresentazioni visuali, filmiche e musicali che ne hanno riflettuto e plasmato l’identità, a loro volta accompagnate dalle illustrazioni di Manuele Fior e dalle fotografie scattate durante le passeggiate.

I motivi per apprezzare il racconto degli itinerari berlinesi di Piretto sono senza dubbio molteplici: la discussione approfondita delle diverse implicazioni del camminare in città, la scelta di momenti e monumenti berlinesi significativi e particolarissimi al contempo (senza che tale originalità scada mai nella convenzionalità o nella boria dell’esperto), una scrittura chiara, comprensibile e mai banale, oltre alla capacità di stimolare il lettore a segnarsi sul margine della pagina quei luoghi – fisici e simbolici – da visitare al più presto. Oltre a questi, un merito spicca però su ogni altro: esser stato in grado di mostrare come un certo tipo di fruizione dello spazio cittadino possa rappresentare un’esperienza intensa, autentica e incredibilmente arricchente, in un momento storico in cui le città tendono a ridursi a cartoline sfocate o sfondi inerti di movimenti distratti. Come il libro esemplifica con grande chiarezza, a tutto ciò può ancora corrispondere un’alternativa in grado di raggiungere profondità notevoli, siano esse tra le rovine di Berlino o in qualsiasi altra città.

renna.salvatore@hotmail.it

S. Renna è dottore di ricerca in letterature comparate