L’attualità di Pëtr Kropotkin, principe russo naturalista e anarchico

La socievolezza è la vera legge di natura

di Francesco Remotti

Che nelle vene degli antropologi scorra sangue anarchico è facile constatare ed è forse inevitabile (vengono in mente i nomi di David Graeber e Marshall Sahlins, Pierre Clastres e Claude Lévi-Strauss). In effetti, gli antropologi si sono occupati di società “senza”: “senza scrittura”, per esempio, e soprattutto “senza stato”. Incuriosisce però il lato anarchico di un fondatore dell’antropologia sociale britannica così ieratico e autorevole come Alfred R. Radcliffe-Brown (1881-1955). In gioventù era conosciuto come “Anarchy Brown”, in quanto lui stesso si autodefiniva anarchico e seguace di Pëtr Alekseevič Kropotkin (1842-1921), un principe russo che negli anni settanta dell’Ottocento si rifugiò come esule rivoluzionario in Svizzera, per poi riparare in Inghilterra, a cui fece ritorno dopo alcuni anni di prigione in Francia.

In Inghilterra Kropotkin acquistò rinomanza sia come scienziato naturalista, a seguito di diversi scritti, poi confluiti nel libro A Mutual Aid, a Factor in Evolution del 1902, sia come teorico di spicco del pensiero anarchico. In questa veste gli fu affidata la voce “Anarchism” nell’XI edizione dell’Encyclopaedia Britannica (1910), dove vediamo descritta una società decentralizzata, senza stato, con parole che ritorneranno in molti antropologi sociali: “una rete intrecciata (interwoven network), composta da un’infinita varietà di gruppi e federazioni di ogni dimensione e grado, locali, regionali, nazionali e internazionali – temporanee o più o meno permanenti – per ogni possibile scopo: produzione, consumo, così come scambio e comunicazioni”. Quante volte gli antropologi sociali useranno il concetto di network per descrivere le società senza stato, a cominciare da Radcliffe-Brown, il quale definiva la struttura sociale di qualsivoglia società come una “complessa trama (network) di rapporti sociali”. Né dobbiamo dimenticare che in uno dei testi classici dell’antropologia britannica – The Nuer (1940) di Edward E. Evans-Pritchard – l’autore definiva la società in esame come “un’anarchia ordinata”. In effetti, tutta l’antropologia britannica della prima metà del Novecento, che esplicitamente si rifà a Radcliffe-Brown, vuole essere la dimostrazione di come le società siano in grado di funzionare egregiamente pur in assenza dello stato (come appare con tutta evidenza in African Political Systems del 1940, a cura di Evans-Pritchard e Meyer Fortes: una pietra miliare dell’antropologia politica). Quel “senza stato” non indicava un vuoto: era invece un pieno di rapporti sociali organizzati.

In una lettera al collega americano Alfred Kroeber, Radcliffe-Brown dichiarò che “il fatto più importante” del suo periodo giovanile fu la sua “amicizia col principe russo Peter Kropotkin”. In effetti il giovane Radcliffe-Brown era solito fare visita all’anarchico russo, suo vicino di casa a Birmingham: in quelle occasioni discutevano di tutto e soprattutto dei problemi della società contemporanea. L’insegnamento che l’anarchico russo impartiva al suo giovane amico con aspirazioni di riformatore consisteva – per dichiarazione dello stesso Radcliffe-Brown – soprattutto in due momenti: a) studiare e comprendere scientificamente la società, prima di cercare di cambiarla; b) intraprendere uno studio sistematico delle società primitive per poi capire una società complessa come l’Inghilterra del tempo. A monte di questo insegnamento personalizzato si intravedono gli anni trascorsi in Siberia dal giovane Kropotkin (con le sue minuziose osservazioni naturalistiche e le sue frequentazioni e amicizie con i gruppi indigeni, come i Tungusi) e, a valle, le ricerche sul campo prima nelle isole Andamane e poi tra gli Aborigeni australiani con cui Radcliffe-Brown intraprese la sua carriera di antropologo. In mezzo, troviamo Mutual Aid del 1902, che ora la casa editrice elèuthera offre in una rinnovata traduzione italiana.

A parere di chi scrive, il libro di Kropotkin non ha soltanto un valore storico: può e dovrebbe essere letto oggi per l’attualità sia dei temi, sia delle prospettive che lo caratterizzano. Non dovremmo forse essere interessati ai modi, alle forme, agli obiettivi, agli esiti che i fenomeni di solidarietà, aiuto reciproco, condivisione, convivenza assumono nella nostra vita? L’esperienza in Siberia – in regioni in cui l’asprezza del clima e le avversità ambientali raggiungono punte estreme – ha aperto gli occhi del giovane Kropotkin proprio su questi fenomeni: la Siberia è stata il suo “campo” di ricerca. Ammiratore e studioso attento di Darwin, dalla Siberia egli ha attinto le idee che poi in Mutual Aid sono diventate la base di un nuovo paradigma, non sostitutivo, ma indubbiamente integrativo rispetto a quello darwiniano.

La lucidità di Kropotkin è notevole sotto questo profilo: egli coglie assai bene l’influenza che il pensiero di Hobbes aveva esercitato sia su Darwin sia sui darwinisti suoi contemporanei. L’obiettivo polemico è chiaramente The Struggle for Existence in Human Society (1888) di Thomas H. Huxley; ma non si esime dal far vedere come Darwin dia un po’ troppo per scontata l’idea di una competizione all’interno di ogni gruppo animale. Lo stesso Darwin, però, specialmente in The Descent of Man (1871), offre uno spunto a Kropotkin, là dove afferma che la scarsa forza e la mancanza di armi naturali nell’uomo sono controbilanciati in primo luogo dalle sue facoltà intellettuali e, in secondo luogo, dalle sue “qualità sociali, che l’hanno portato a dare e ricevere aiuto (to give and receive aid)” dai suoi simili.

Qui è l’idea germinale del mutual aid. Ma Kropotkin compie un’inversione e una generalizzazione. In Darwin le qualità sociali sono gerarchicamente posposte rispetto agli intellectual powers, mentre in Kropotkin viene prima la società: “l’intelligenza – egli afferma – è una facoltà eminentemente sociale”, nel senso che è la vita sociale, come egli dimostra con gru e pappagalli, il fattore di sviluppo dell’intelligenza. Inoltre, il mutual aid, che è l’espressione più forte della “socievolezza” (sociability), lungi dall’essere relegato in un’unica strana specie, come rimedio compensativo della sua debolezza, assurge in Kropotkin a “legge di natura”: in termini evolutivi finisce per sovrastare la “lotta reciproca” tra gli individui. La socievolezza in quanto tale diviene infine un principio a sé, come quando Kropotkin pone in luce, mediante una molteplicità di esempi, che “la vita sociale è praticata soprattutto per il gusto di farlo: in parte per la sicurezza, ma principalmente per i piaceri che essa procura”. “Sì, i piaceri” della socialità, egli aggiunge.

Con questo ampio riconoscimento di socialità nel mondo della natura non si avverte nel libro di Kropotkin alcuna discontinuità nel passaggio dalle specie animali alla specie umana. Si dirà che questa è una tipica impostazione positivistica: vedere gli uomini come se fossero animali, ridurre l’umanità all’animalità. Ma non è così. I capitoli che Kropotkin dedica alle forme di solidarietà e di aiuto reciproco nelle società primitive e nelle società medievali sono di una ricchezza e di una penetrazione analitica ammirevoli: come padroneggiava la zoologia dell’epoca, Kropotkin utilizzava con grande acume e competenza l’etnologia e la storiografia dei suoi anni. Lo studioso russo non cade in alcun tranello riduzionistico. In particolare, per quanto riguarda i popoli primitivi egli si dimostra molto attento alla “complessità della loro organizzazione sociale”. Significative sono per esempio le pagine in cui espone i fenomeni di “distribuzione periodica” delle ricchezze personali accumulate e di “distruzione delle proprietà” allo scopo di “mantenere l’uguaglianza” tra i gruppi e tra le persone. In altre parole, nella ricostruzione di Kropotkin società umane e periodi storici considerati mantengono le loro specificità culturali. Ma ciò non impedisce all’autore di offrire un quadro generale in cui si vede il mutual aid agire, come “legge naturale”, tanto nelle società umane quanto nelle società animali. I pregi della sociability appaiono ovunque nel mondo: basta saperli vedere e apprezzare. Gli uomini trovano quindi i loro simili non soltanto nei diversi gruppi umani, ma anche in altre specie animali. E non è affatto escluso che pure questo sia un insegnamento che Kropotkin potrebbe avere tratto dai suoi “amici” Tungusi o altri gruppi siberiani, per i quali gli animali non appartengono affatto a un altro mondo, ma condividono con “noi”, esseri umani – oltre che l’ambiente – sentimenti, emozioni, pensieri e, appunto, socialità. Anche gli animali sono “persone”, proprio come gli esseri umani.

Una scommessa: Kropotkin si sarebbe appassionato agli studi degli antropologi sul concetto di persona che diverse società estendono al di là dei gruppi umani. E si sarebbe probabilmente entusiasmato nel vedere come la sua nozione di mutual aid sia del tutto applicabile alle piante, con la loro intelligenza diffusa e le loro mirabolanti possibilità di comunicazione. È un’ulteriore conferma della tesi di Kropotkin: mutual aid è una “legge di natura”, nonostante tutte le guerre e tutti i massacri indotti specialmente dagli stati. Chissà: in pieno Antropocene egli si sarebbe forse ricreduto sulla tesi con cui conclude il suo libro, ossia che il “mutuo appoggio” e la solidarietà umana siano vantaggiosi soprattutto per quanto riguarda “il progresso industriale” e “ogni altra conquista sulla natura”.

francesco.remotti@fastwebnet.it

F. remotti è professore emerito di antropologia culturale all’Università di Torino