L’avanzata della Russia e del nuovo mondo

Oltre l’Ucraina le ambizioni di una guerra

di Alberto Masoero

Per capire le origini di questa guerra dobbiamo guardare prima di tutto dentro la Russia, più precisamente nella mentalità della sua classe dirigente, che maturava da decenni. Dobbiamo cioè sforzarci di ricostruire le coordinate intellettuali di un regime che si sono precisate nel tempo lungo un percorso punteggiato di tentativi ed errori, attraverso aggiustamenti progressivi certo condizionati dalle circostanze e dal contesto, ma ispirati da un grumo di convinzioni e sentimenti ben visibile fin dall’inizio. Sono idee affermate con sicumera tetragona e l’intensità di una religione politica. Fa fatica a percepirlo chi pensa che le religioni politiche non esistano più.

Per comprendere occorre superare una visione delle relazioni internazionali basata sulla convinzione che la storia sia come il tappeto liscio di un tavolo da biliardo sul quale si muovono tante palle di colore diverso, superficialmente rosse o bianche, blu o nere, ma con la medesima massa e peso, le quali si scontrano o si respingono come se fossero animate dalle leggi universali della fisica. E dobbiamo anche smetterla di considerare il regime putiniano come un minorenne inconsapevole e privo di autonome convinzioni, che fa, dice o diventa qualcosa in risposta a ciò che fanno o dicono gli altri soggetti della politica internazionale. Idee e volontà contano, in Russia più che altrove.

Non vi è nulla di nuovo in ciò che Vladimir Putin ha dichiarato nel suo saggio pseudo-storico del luglio 2021 oppure nel discorso dello scorso 21 febbraio. Sono tesi che potevano sorprendere solo chi, per decenni, ha fatto finta di non vedere, ha blandito, edulcorato, razionalizzato. Non sono una novità né il proposito di rivedere radicalmente l’architettura di sicurezza sulla quale si basa la pace europea, cioè la nostra pace, né la determinazione di perseguire una riunificazione dello spazio post-sovietico a guida moscovita. Nemmeno è inedita l’idea di una Russia portatrice di un modello politico originale, basato sulla sottomissione consapevole a un soggetto personalizzato, sovrastante, capace di intimidire e perciò di proteggere, regime presentato orgogliosamente come alternativa superiore alla democrazia liberale. Nuova è la radicalizzazione del linguaggio e delle scelte, il passaggio dalla volontà all’azione. Il modo migliore per cominciare a capire tutto questo consiste nell’immergersi nelle fonti, esaminarne con attenzione il linguaggio. Leggere il testo tradotto qui di seguito può essere un buon inizio.

Quest’articolo a firma Pëtr Akopov, ha un’origine un po’ insolita. È comparso il 26 febbraio, alle otto del mattino ora di Mosca, sul sito dell’agenzia giornalistica ufficiale RIA Novosti, due giorni dopo l’inizio dell’invasione russa dell’Ucraina indipendente. Si presentava con l’evidenza declaratoria di un editoriale. Ed è poi stato subito rimosso. Probabilmente era stato redatto in anticipo per celebrare una vittoria ritenuta imminente, a portata di mano e poi sfuggita a causa dell’inattesa resistenza ucraina. È in sostanza un comunicato che, oltre a proclamare un po’ troppo frettolosamente la missione compiuta di “smilitarizzare e denazificare” l’Ucraina, ne spiega al mondo – e a se stessi – il senso e le motivazioni. Perciò merita attenzione.

Il testo figurava sotto una foto di Maidan, la piazza dell’indipendenza ucraina, rappresentata come luogo fisico la cui riconquista simboleggia non la presa di un territorio, ma un’ideologia, “un nuovo mondo (che) si apre dinnanzi ai nostri occhi”. Basta leggere queste righe per rendersi conto che non si discuteva davvero di alcune terre irredente, di regioni particolari e complesse o di una minoranza ritenuta, a torto o a ragione, discriminata od oppressa. Né si parlava di confini più o meno artificiali e controversi, come ce ne sono e ce ne sono stati tanti non solo nell’Eurasia delle frontiere sempre fluide o negli stati post-coloniali tracciati a tavolino, ma anche nella formazione degli stati europei, dall’Alsazia-Lorena a Trieste. Neppure si discuteva veramente di sicurezza militare intesa come oggetto di un discorso razionale, ovvero di missili nucleari che in Ucraina non vi erano più, precisamente a causa della fine dell’Urss.

Le parole che seguono riflettono una visione del mondo in cui la volontà di potenza sente sempre il bisogno di rappresentarsi quale alba del genere umano e riparazione di un torto. Quando perde fiducia in un’utopia sul trono deve a ogni costo reinventarsene un’altra – insieme a un altro trono – per riuscire a sopravvivere senza provare vergogna di sé. È lo stile di pensiero di chi non riesce a immaginare di vivere come stato tra gli stati, delimitato da confini accettati e proprio per questo attraversati spensieratamente. Deriva da una tradizione espansionistica secolare in cui i territori conquistati non sono mai stati veramente pensati come colonie, ma come proiezione di sé altrove. Perciò si percepisce il loro distacco e poi il rispetto della sovranità altrui non solo come una perdita, ma come un suicidio: la libertà degli altri diventa autodistruzione.

È un mondo mentale fatto di idee-spazio che avanzano o arretrano senza che chi vi abita abbia alcuna voce in capitolo: grandi blocchi continentali di cemento in cui qualcuno ha deciso di suddividere l’umanità e a cui gli individui – così come i popoli senza stato e senza storia – possono solo adeguarsi, accettando il destino naturale che altri hanno descritto e prescritto nei loro manuali di geopolitica e nelle loro filosofie della storia. In questa visione l’Europa è già raffigurata da tempo come una gigantesca Ucraina, uno spazio intermedio destinato a schierarsi “con noi” o “contro di noi” perché qualcuno così ha deciso a Mosca. Si riconosce anche in filigrana l’idea di un’Europa che può essere unita e degna solo se in sintonia e con il beneplacito di questo nuovo mondo russo.

La celebrazione di questa riunificazione forzosa, che conferisce alla Russia il ruolo globale di sovvertire “il dominio occidentale”, ha però ricadute interne tangibili. Riflette l’ideologia di uno stato che, nel momento stesso in cui proclama l’eguaglianza tra le civiltà, rinchiude i propri cittadini – nella realtà persone in carne e ossa né migliori, né peggiori di chi vive a Kiev, Roma o Washington – in un recinto cupo di sacrifici, di mobilitazione insensata e di angoscia. Come è già successo in passato in altre forme e con altre idee.

Prima impariamo a comprendere questo mondo, e meglio sarà per tutti.

 

26/02/2022 ore 08.00

di Pëtr Akopov

Un nuovo mondo sta nascendo sotto i nostri occhi. L’operazione militare russa in Ucraina ha inaugurato una nuova epoca, e in un sol colpo in tre dimensioni. Più una quarta, ovviamente, quella interna. Comincia una nuova fase anche nell’ideologia, e nel modello stesso del nostro sistema socioeconomico, ma a questo sarà meglio dedicare un discorso a parte più avanti.

La Russia sta ripristinando la sua unità: la tragedia del 1991, questa terribile catastrofe della nostra storia, e le storture innaturali a cui ha portato sono state superate. Sì, a caro prezzo, sì, attraverso i tragici eventi di una guerra di fatto civile, perché in questo momento ci sono ancora fratelli che, divisi dall’appartenenza all’esercito russo e ucraino, si sparano l’un l’altro, ma l’Ucraina come anti-Russia non esisterà più. La Russia sta ripristinando la sua integrità storica, riunendo il mondo russo, il popolo russo nella sua interezza: grandi russi, bielorussi e piccoli russi. Se avessimo rinunciato a farlo, se avessimo permesso a una divisione temporanea di consolidarsi per sempre, non solo avremmo tradito la memoria dei nostri antenati, ma saremmo stati anche maledetti dai nostri discendenti per aver consentito che la terra russa si disgregasse.

Vladimir Putin si è assunto – senza ombra di esagerazione – una responsabilità storica, decidendo di non lasciare alle generazioni future il compito di risolvere la questione ucraina. Per la Russia, infatti, questo sarebbe rimasto in eterno il problema principale, per due motivi chiave. E la questione della sicurezza nazionale, ovvero della trasformazione dell’Ucraina in anti-Russia e in avamposto da cui l’Occidente poteva esercitare pressioni su di noi, è solo il secondo in ordine di importanza.

Il primo sarebbe rimasto per sempre il complesso del popolo diviso, il complesso dell’umiliazione nazionale, dal momento che la casa russa inizialmente avrebbe perso una parte delle proprie fondamenta (quella di Kiev) e poi sarebbe stata costretta a rassegnarsi all’esistenza di due stati non più di un solo popolo, bensì di due. Sarebbe stata cioè costretta a rinunciare alla propria storia, accettando le versioni folli secondo cui “solo l’Ucraina è la vera Rus’”, oppure a digrignare i denti impotente nel ricordare i tempi in cui “abbiamo perso l’Ucraina”. Con il passare dei decenni recuperare l’Ucraina, ossia riportarla in seno alla Russia, sarebbe diventato sempre più difficile: la ricodificazione, la derussificazione dei russi e la creazione di un sentimento antirusso nei piccoli russi, o ucraini, avrebbero preso troppo campo. E qualora l’Occidente ne avesse assunto il pieno controllo geopolitico e militare, sarebbe stato del tutto impossibile: per farlo, si sarebbe reso necessario combattere con il blocco atlantico.

Ormai questo problema non esiste più: l’Ucraina è tornata alla Russia. Ciò non significa che il suo ordinamento statuale sarà liquidato: piuttosto sarà ricostruito, rifondato e riportato alla sua condizione naturale di parte del mondo russo. Con quali forme e confini verrà suggellata l’alleanza con la Russia (attraverso l’Organizzazione del trattato di sicurezza collettiva e l’Unione eurasiatica oppure lo Stato unitario di Russia e Bielorussia)? Lo si deciderà dopo aver messo il punto alla storia dell’Ucraina come anti-Russia. In ogni caso, il periodo di scissione del popolo russo volge al termine.

Ed eccoci alla seconda dimensione della nuova epoca in arrivo, quella relativa ai rapporti della Russia con l’Occidente. Anzi, non della Russia, bensì del mondo russo, ovvero dei tre stati – Russia, Bielorussia e Ucraina – che sulla scena geopolitica agiscono come un tutt’uno. Questi rapporti sono entrati in una nuova fase: l’Occidente sta assistendo al ritorno della Russia ai suoi confini europei storici. E protesta indignato a gran voce anche se, sotto sotto, deve ammettere che non poteva andare diversamente.

Davvero nelle vecchie capitali europee, a Parigi e Berlino, qualcuno credeva sul serio che Mosca avrebbe rinunciato a Kiev? Che i russi sarebbero rimasti per sempre un popolo diviso? Per giunta in un momento in cui l’Europa si unisce, in cui le élite tedesche e francesi cercano di strappare agli anglosassoni il controllo dell’integrazione europea e di compattare l’Europa? Dimenticando che l’unificazione dell’Europa è stata resa possibile solo dall’unificazione della Germania, avvenuta grazie alla buona (seppur non molto intelligente) volontà russa? Dopo questo, mettere gli occhi anche sulle terre russe è il colmo neppure dell’ingratitudine, ma proprio della stupidità geopolitica. L’Occidente nel suo insieme, e tanto meno l’Europa singolarmente, non aveva la forza di tenere l’Ucraina nella propria sfera di influenza, figuriamoci di impadronirsene. Per non capirlo, bisognava essere dei veri sciocchi in ambito geopolitico.

Per l’esattezza, c’era solo una possibilità: scommettere su un ulteriore sgretolamento della Russia, vale a dire della Federazione russa. Ma che le cose non sarebbero andate così era comprensibile già venti anni fa. E quindici anni fa, dopo il discorso di Putin a Monaco, persino un sordo l’avrebbe sentito: la Russia sta tornando.

Ora l’Occidente cerca di punire la Russia perché è tornata, perché ha mandato all’aria i suoi piani di allargamento a spese nostre, perché si è opposta all’espansione verso est dello spazio occidentale. Dietro questo tentativo c’è la convinzione che per noi i rapporti con loro abbiano un’importanza vitale. Ma è da tempo che non è più così: il mondo è cambiato, e lo sanno benissimo non solo gli europei, ma anche gli anglosassoni alla guida dell’Occidente. Le pressioni occidentali sulla Russia non porteranno a nulla. L’inasprimento dello scontro causerà perdite da entrambe le parti, ma la Russia è pronta ad affrontarle sia moralmente che geopoliticamente. Per l’Occidente, invece, l’aumento del livello di tensione avrà costi enormi, e i principali non saranno certo economici.

L’Europa, come parte dell’Occidente, voleva l’autonomia: se gli anglosassoni mantengono il controllo ideologico, militare e geopolitico del Vecchio Mondo, il progetto tedesco di integrazione europea non ha senso sul piano strategico. E non può nemmeno avere successo, perché agli anglosassoni serve un’Europa subordinata. L’Europa ha però bisogno di ottenere l’autonomia anche per un altro motivo: nell’eventualità che gli Stati Uniti passino all’isolazionismo (per via dell’aumento dei contrasti e degli scontri interni) o si concentrino sull’area del Pacifico, dove si sta spostando il baricentro geopolitico.

Ma il conflitto con la Russia in cui gli anglosassoni stanno trascinando gli europei priva questi ultimi di qualsiasi chance di indipendenza, per non parlare del fatto che sempre gli anglosassoni cercano di imporre all’Europa la rottura con la Cina. Se adesso gli atlantisti gongolano all’idea che la “minaccia russa” compatti il blocco occidentale, a Berlino e Parigi non possono non capire che, una volta persa la speranza di autonomia, il progetto europeo semplicemente crollerà nel medio termine. È proprio per questo che gli europei capaci di ragionare con la loro testa non sono affatto interessati a costruire una nuova cortina di ferro ai confini orientali, sapendo che si trasformerebbe in un recinto per l’Europa stessa. Europa il cui secolo (o, meglio, mezzo millennio) di leadership mondiale in ogni caso è finito, ma che per il futuro ha ancora diverse possibilità.

La costruzione del nuovo ordine mondiale – e siamo alla terza dimensione degli eventi odierni – sta infatti accelerando, e i suoi contorni traspaiono in maniera sempre più chiara dal velo in disfacimento della globalizzazione all’anglosassone. Il mondo multipolare è ormai diventato una realtà: l’operazione in Ucraina non è in grado di compattare contro la Russia nessuno tranne l’Occidente. Perché il resto del pianeta non fatica a vedere e capire che questo è un conflitto tra la Russia e l’Occidente, la risposta all’espansione geopolitica degli atlantisti, la mossa con cui la Russia intende riprendersi il suo spazio storico e il suo posto nel mondo.

Cina e India, America Latina e Africa, mondo islamico e Sud-Est asiatico: nessuno ritiene che l’Occidente sia a capo dell’ordine mondiale e tanto meno che stabilisca le regole del gioco. La Russia non si è limitata a lanciare una sfida all’Occidente: ha mostrato che l’epoca del dominio globale occidentale si può considerare completamente e definitivamente conclusa. Il nuovo mondo sarà costruito da tutte le civiltà e da tutti i centri di potere, senz’altro insieme all’Occidente (unito o no), ma non alle sue condizioni e non secondo le sue regole.

 

Traduzione dal russo di Elisabetta Spediacci