Ade Zeno – L’incanto del pesce luna

Un estraneo molto educato

di Matteo Fontanone

Ade Zeno
L’INCANTO DEL PESCE LUNA
pp. 183, € 16,50,
Bollati Boringhieri, Torino 2020

Il primo lavoro di Gonzalo è uno di quelli davvero insoliti, da far drizzare le orecchie anche al lettore di narrativa più cinico: non capita spesso di avere per le mani un protagonista impiegato come cerimoniere presso il Tempio Crematorio del cimitero della sua città, un luogo ideale e senza nome che tuttavia non si fatica a identificare in Torino. Anche il secondo mestiere di Gonzalo non è da meno: non capita spesso nemmeno di leggere la storia del procacciatore di pasti umani per una vecchia vampira ancora affamata di sangue ma troppo debole per ottenerlo da sola. La figlia di Gonzalo è malata di una patologia rara, e da anni l’unico stimolo che pare incidere lievemente sullo stato vegetativo in cui versa è la musica di Gene Kelly; per assicurarle le giuste cure Gonzalo farebbe qualsiasi cosa, come ogni padre, persino ciò per cui lo recluta un misterioso signore che fiuta la sua fascinazione per la morte e la sua sensibilità obliqua, individuando in lui il candidato ideale per sostituirlo nell’organizzazione dei banchetti della Signorina Marisòl.

La vecchissima matriarca della Famiglia, un nucleo silenzioso dove si addensa buona parte del potere che amministra la città, dorme un sonno profondo proprio come la figlia di Gonzalo, ma una volta alla settimana si sveglia in preda a un incurabile appetito di uomini vivi, «la fame». Al protagonista, ovviamente, spetta tutta la parte logistica: selezionare e trarre in inganno gli ignari «pupilli» da offrire alla padrona, condurli alla villa in collina dove si svolgono le cene della Signorina, chiuderli nella sua stanza – spesso i malcapitati credono di essere coinvolti in qualche irresistibile rito sessuale – e infine, dopo il pasto, mettere a dormire l’esausta Marisòl, pulire i pavimenti dai residui del banchetto e far sparire le carcasse delle sue vittime nel pratico inceneritore di casa. Dodici anni prima, quando la moglie Gloria ha scoperto in cosa consistesse il lavoro così misterioso e ben pagato che da qualche mese oscurava l’umore del marito, come prevedibile l’ha abbandonato per sempre.

Oltre all’indubbio fascino dell’intreccio e del suo svolgersi, di cui non è bene dire oltre se non che nelle pagine successive il libro si squarcia e lentamente deflagra in uno scontro tra forze opposte dove Gonzalo e sua figlia giocheranno una parte determinante, L’incanto del pesce luna colpisce per la sua sostanziale estraneità a un mercato editoriale contemporaneo sempre più affamato di storie familiari, di romanzi ponderosi e iperrealistici, di scritture dell’io. È un libro violento, fondato su un immaginario stravolto e su diversi passaggi dal gusto quasi splatter, ma allo stesso tempo capace di conservare – piccolo miracolo ad appannaggio esclusivo dei bravi scrittori – un nucleo di grazia e di dolcezza che si riverbera su ogni pagina a partire dalla figura di Gonzalo. Un protagonista in grado di vivere nella disumanità e, insieme, di esercitare una malinconia umanissima ovunque posi lo sguardo: disarmato di fronte al dramma della figlia, l’unica soluzione percorribile è indossare una corazza di freddezza per adempiere alle mansioni che gli sono assegnate e garantire a Inés la permanenza nella clinica di lusso dove, forse, i dottori tentano di trovare una soluzione al rompicapo che incarna. In tutto questo, impressiona l’intelligenza della meditatio mortis ricamata dall’autore capitolo dopo capitolo, inserita in un contesto narrativo ben oltre i normali standard di visionarietà e veicolata da una scrittura che riposa a lungo nel subconscio di chi legge, anche a libro finito. Per deformare la realtà e piegarla ai propri incubi narrativi, sembra insegnare Ade Zeno, non serve chissà quale capriola della fantasia: basta inserire in un contesto già lievemente alterato un unico elemento – la Signorina, in questo caso – davvero perturbante. È da questa strana reazione chimica, non a caso, che Ade Zeno ricava la sottile nebbiolina in cui questo romanzo sembra essere immerso.

Da un punto di vista per così dire biografico, inoltre, questo libro può essere anche letto come la testimonianza di un mestiere particolare: come il suo protagonista, anche Ade Zeno è cerimoniere al Tempo Crematorio; le sue sono quindi informazioni di prima mano, e soddisfano in pieno una curiosità che forse non sapevamo nemmeno di avere. Ecco, dalle prime pagine, una sorta di breviario del perfetto cerimoniere, empatico ma discreto, «un estraneo molto educato, abile nel recitare discorsi, a scegliere le musiche giuste da dedicare al morto, e infine a declamare poesie consolatorie». Per una rapida frazione di tempo, il cerimoniere si trasforma nello psicologo di chi ha subito il lutto, deve assecondarne i silenzi o la volontà di sfogo, intercettarne i desideri e conoscere sempre la lettura giusta. Il buon cerimoniere riconosce a colpo d’occhio le imprese funebri, risale all’appartenenza sociale della clientela, di cui compila tassonomie infallibili, sa sempre quali sono le frequenze giuste su cui sintonizzarsi per dare al suo pubblico ciò che più brama, proprio come farebbe un qualsiasi mestierante da palcoscenico.

Ade Zeno ha scritto un libro inusuale: innanzitutto la storia di un individuo che ogni giorno impasta di orrore la sua vita, ma anche il racconto della faida tra le due Famiglie che hanno le mani sulla città, e dello spietato combattimento in cui Gonzalo è coinvolto suo malgrado; uno scontro, questo, dove finalmente si allineano tutte le similitudini che l’osservatore più scaltro non avrà faticato a intercettare nel corso del libro: da un lato c’è il padre costretto a diventare egli stesso un mostro per salvaguardare ciò a cui tiene di più, dall’altra parte invece il mostro vero e proprio, la vecchia ricca e potente che lo piega alla sua volontà dalle insospettabili stanze di una villa in collina. La filigrana è chiara, e riassume in sé l’eterna dialettica tra oppressori e oppressi, tra gli sfruttati e i grandi ricchi che senza troppi scrupoli da sempre li vampirizzano (in questo caso, tra l’altro, fuor di metafora). Il meccanismo di rimandi e allusioni, tuttavia, non deve distoglierci troppo dal cuore caldo di questo romanzo, un’opera surreale in bilico tra l’horror filosofico, il gotico e il noir, che mettendo in scena la parabola allucinata di Gonzalo ci permette di intravedere in lui – e nella Signorina Marisòl, e nel vecchio faccendiere Malaguti, e nell’infermiera Maylis e nel giornalista Lentini – un grumo senza forma che si muove inquieto nel profondo di noi stessi.

matteo.fontanone@gmail.com

M. Fontanone è italianista e consulente editoriale