Hilary Mantel – Lo specchio e la luce

Con una trilogia, va in scena l’epoca elisabettiana

di Fausto Ciompi

Hilary Mantel
Lo specchio e la luce
ed. orig. 2020, trad. dall’inglese di Giuseppina Oneto e Stefano Tummolini,
pp. 1130, € 22,
Fazi, Roma 2020

Hilary Mantel e Sam Binnie
Il mondo di Wolf Hall
Guida alla lettura di Wolf Hall e Anna Bolena, una questione di famiglia
pp. 62, eBook, € 0,
Fazi, Roma 2020

Ultima tranche della trilogia dedicata a Thomas Cromwell, Lo specchio e la luce conclude degnamente un’impresa cultural-editoriale di cui è arduo trovare l’uguale nella narrativa inglese recente. Il consenso che questo ponderoso trittico ha suscitato fra critici e lettori di varie latitudini è presto spiegato. Esso restituisce vita all’Inghilterra del primo Cinquecento grazie alla penetrante rappresentazione psicologica dei personaggi e alla vivida ricostruzione delle trame storiche in cui sono coinvolti. Il lettore, come lo spettatore di un rutilante play elisabettiano, rivive le dispute politico-religiose, gli intrighi di corte e di letto che hanno reso cruciale il regno di Enrico VIII, dal punto di vista di Thomas Cromwell, uomo rozzo nella figura, grossolano di lineamenti, un soldataccio figlio di un fabbro che si fa strada alla corte di re Enrico fino a raggiungere il rango baronale e la carica di Primo segretario di stato: un politico astuto, in questo volume ormai cinquantenne, che spinge “avanti” la storia sino all’inevitabile tracollo. Qualità non sempre adatte a un eroe romanzesco, ma perfette per un analista spietato dei tempi. Sempre ragionando in termini socio-ricettivi, la trilogia piace inoltre a un certo pubblico inglese perché consente di scuotere, dalle insegne della national heritage, un po’ della polvere che il tempo fatalmente depone su di esse. Basta adocchiare l’impressionante elenco dei romanzi storici usciti in Inghilterra nel 2020 per comprendere che, da quelle parti, il rapporto che la letteratura intrattiene con la memoria patria si nutre di un profondo humus culturale e non di mero, contingente sciovinismo. Per gli analisti più raffinati, bisogna invece rammentare che l’epoca di Enrico VIII – ce lo confermano Julian Barnes e Alan Bennett – è lo snodo essenziale nelle vicende storiche d’Inghilterra: l’epoca in cui la nazione, insularizzandosi in termini di mentalità ancor prima che politicamente, si autodefinisce secondo le linee della riforma.

Dal punto di vista narrativo, Lo specchio e la luce è un libro leggibilissimo: fin troppo leggibile, dirà qualche critico gourmet. Mantel non è del resto una stilista, una che si danna per cesellare la “parola giusta” o sconvolgere le basi tecniche del mestiere. Non ostenta, per paragonarla a qualche romanziere storico contemporaneo, l’erudizione di Umberto Eco, la sottigliezza jamesiana di Ian McEwan o l’intenso espressivismo di Jonathan Littell. In compenso è una narratrice formidabile, l’ideatrice e manutentrice di perfette macchine da affabulazione. Si prenda, ad esempio minimo, l’espediente di attribuire ai suoi personaggi secondari un tratto distintivo o un nomignolo ad effetto: definizioni che diventano reminder provvidenziali per il lettore che altrimenti rischierebbe di perdersi nella colorata moltitudine del cast de Lo specchio e la luce. Niente di straordinario: Tolstoj fa lo stesso in Guerra e pace. Eppure Mantel è abile quanto basta a far passare l’escamotage per un’alzata d’ingegno o chissà che finezza psicologica. O si veda l’inizio del romanzo, incentrato sul dopo-esecuzione di Anna Bolena: un attacco che non ha nulla da invidiare a Victor Hugo o a Dickens.

Ho citato tre grandi nomi della tradizione perché i romanzi storici di Mantel, pur scritti nella lingua e dalla prospettiva disincantata della post-postmodernità, si inseriscono proprio nella linea realistica del romanzo dell’Ottocento. Si distaccano cioè nettamente dalla historiographic metafiction, che, decostruendo certi valori del passato ancora troppo rispettati nel presente (il patriarcato, l’impero, a livello tecnico “l’illusione mimetica”), imperversano da oltre quarant’anni nelle lettere anglofone mischiando fact e fiction. I romanzi di Mantel ripristinano invece illusione mimetica e verosimiglianza storica. Sono “racconti scenici”, in cui prevalgono nettamente i dialoghi e gli stacchi a effetto. Perfino quando esplora l’intimità del suo eroe, solo, a letto, mentre riflette sulle sorti dell’Inghilterra, Mantel ce lo rappresenta come uomo dialogico, che si finge nella mente conversazioni con figure di ogni rango sociale. Cromwell è un personaggio tutto risolto nell’esteriorità, inadatto a solitudine e introspezione. È un eroe machiavellico, ma nelle sue vene scorre “il ferro” e non, per quanto egli conosca il latino, l’aurea linfa dei classici. Priva di telos metafisico, per lui la storia è dipartita dal padre biologico (la prima scena di Wolf Hall) e ritorno a lui (la conclusione de Lo specchio e la luce): pragmatico nutrimento delle circostanze politiche che favoriscono la sussistenza individuale e quella del regno. E in questo senso di agonistica precarietà sta forse la modernità del personaggio.

fausto.ciompi@unipi.it

F. Ciompi insegna letteratura inglese all’Università di Pisa