Clarice Lispector – Un soffio di vita | Primo piano

Nell’oscurità del presenso, per una non letteratura

di Vittoria Martinetto

Clarice Lispector
UN SOFFIO DI VITA
ed. orig.1978,  trad. dal portoghese di Roberto Francavilla,
pp. 193, € 16,
Adelphi, Milano 2019

Di recente lo scrittore argentino Alan Pauls ha detto una frase che suonava più o meno così: “non è necessario capire tutto in letteratura, anzi forse è meglio non capire”. Intendeva che il lettore dovrebbe lasciarsi trasportare da ciò che legge e comprenderlo non necessariamente attraverso filtri interpretativi. Questo concetto, espresso qui in modo approssimativo, mi è tornato in mente durante la lettura di Un soffio di vita di Clarice Lispector. E non solo mi è parso lo stato d’animo adatto per predisporsi ad attraversare questo testo (come del resto altri della scrittrice ucraino-brasiliana), ma mi ha anche suggerito di non uscirne per cercare appigli nel contesto, quali residui biografici o interpretazioni psicanalitiche, limitandomi a raccogliere le impressioni che ne rimangono.

“Quello che ti scrivo non è da leggere, è da essere”, scriveva l’autrice in Acqua viva, un testo per certi versi molto simile a questo Un soffio di vita, nel senso che anche là, come qui, le sue “frasi balbettate” – per usare una sua stessa espressione – sono pronunciate in un dialogo ideale: là erano frammenti del discorso amoroso di una donna rivolta a un uomo in forma di lettera, qui il dialogo fra un autore anonimo e un personaggio – Ângela Pralini – da lui creato apposta per riflettere dialetticamente su temi che ricorrono nell’opera tutta di Lispector: la vita, la morte, la follia, la creazione, la grazia, Dio, il tempo, l’indicibile, la comunione con le cose, gli animali e la natura in una sorta di panteismo mistico, gioioso e brutale insieme. In entrambi i casi sono discorsi a circuito chiuso, nell’intimità fra due, in caotica sintonia, rispetto ai quali al lettore è concesso di assistere stupefatto, rapito, ipnotizzato, incluso perché trascinato emotivamente dentro, e insieme escluso da un ermetismo di sottintesi che solo l’autore e il suo doppio sembrano oscuramente comprendere. Ma proprio qui risiede il fascino di questo testo postumo che ci arriva grazie alla cura di Olga Borelli – l’amica assistente vicina a Lispector fino all’ultimo respiro – e la spettacolare traduzione di Roberto Francavilla.

Ma chi è Ângela? Chi è l’autore? Viene spontaneo di ravvisare Lispector in entrambi, perché se è vero che l’autore sembra addirittura censurare il verso libero della sua creatura (“Ângela non sembra essermi grata che io l’abbia inventata”), poi è come se dimenticasse di essere se stesso e si fondesse con il suo personaggio al punto che chi legge finisce per individuare una sola voce: “Io e Ângela siamo il mio dialogo interiore: converso con me stesso. Ângela appartiene al mio buio interno: però viene alla luce”. E, infatti, questa donna nata dalle parole ma senza sinonimi, che è libera come una parentesi aperta e finge di ignorare il suo “padrone”, ne è il doppio luminoso: Ângela “ha un’ansia dorata. Io ho il peso di un’angoscia nel cuore, angoscia senza oro, né cristallo, né argento”. Libro “un po’ folle, un po’ cialtrone, un po’ che balla nudo per strada”, Un soffio di vita è, alla fine, un libro fatto di domande – “A quanto pare ha senso solo vivere interrogativamente” – diviso fra la consapevolezza che senza trovare parole per esprimerlo, è impossibile il pensiero, e il desiderio di abbandonarsi all’inesprimibile “sovracomprensione” necessaria per sentire il flusso e riflusso di quel nulla, che Ângela chiama la grazia.

Le avvertenze dell’autore, all’inizio, erano lapidarie: “Io scrivo per nulla e per nessuno. Se qualcuno mi leggerà sarà di sua iniziativa e a suo rischio. Io non faccio letteratura”. Questo libro che sembra “composto di detriti di libro”, è in sostanza, il tentativo, destinato a fallire, di dare voce al “pre-pensiero”, così come nel suo sconvolgente La passione secondo G.H., Lispector, ultima mistica solitaria, aveva tentato di descrivere una discesa all’indifferenziato della materia precedente la separazione biblica. E tuttavia non ritengo che Un soffio di vita sia un testo per iniziati secondo le cautele avanzate dall’autore, ma adatto a chiunque sia disposto ad abbandonarsi al suo flusso ondivago ed euforico, pieno d’amore e di parole sensuali, quasi fisiche, che semplicemente accadono, “antiparole” coniate alla bisogna e proprio per questo chiarissime, dal momento che significano senza dover essere decifrate. Scrittura non controllata, associativa, poetica, enigmatica, vicina al cuore selvaggio dell’esistenza. Se l’oscurità è il brodo di cultura di Lispector, vista la sua aspirazione a toccare l’indicibile, ciononostante non c’è pagina senza l’epifania di una frase perfetta che ci colloca molto vicino alla radice del senso e arriva a toccare quella che per mancanza di sinonimi potremmo chiamare anima. È un testo che comunica per “pulsazioni” – come recita il sottotitolo –, che creano cerchi concentrici simili a quelli che provoca il sasso lanciato in uno stagno. E si rimane così, a vibrare, anche quando lo si è terminato.

vittoria.martinetto@gmail.com

V. Martinetto insegna letteratura ispano americana all’Università di Torino

Leggi anche la recensione a Un soffio di vita di Guia Boni