Sara Collins – Le confessioni di Frannie Langton

Sulla pelle degli schiavi

di Paolo Bertinetti

Sara Collins
Le confessioni di Frannie Langton
ed. orig. 2018, trad. dall’inglese di Federica Oddera,
pp. 432, € 22,
Einaudi, Torino 2020

Le confessioni di Frannie Langton, opera prima di Sara Collins (avvocatessa, di origine giamaicana) è un romanzo con molti padri. Il primo (anche se lo spunto le venne da un libro su Francis Barber, un ragazzo giamaicano regalato al Dottor Johnson) è Amatissima di Toni Morrison: Frannie Langton, una mulatta, è infatti cresciuta come schiava in una plantation della Giamaica che si chiamava “Paradiso”, mentre “Dolce casa” è il nome di quella di Amatissima. Non è una somiglianza casuale: è un indizio risolutivo. La padrona di Frannie, Miss-bella, le aveva insegnato a leggere e a scrivere. E il suo padrone, John Langton, l’aveva poi usata come scrivano per stendere gli appunti dei suoi esperimenti: entusiasta della frenologia, per provare che gli africani avevano un livello d’intelligenza inferiore, Langton faceva esperimenti sui crani e sulla pelle dei suoi schiavi (non soltanto di cadaveri: “un organo può rivelarci molto di più da vivo che da morto”). Un dottor Frankenstein che invece di rivolgersi alla scienza per creare un essere “umano” e sostituirsi a Dio, si accontentava di mettere la scienza al servizio della dimostrazione che Dio aveva creato una razza superiore, i bianchi, e una di razza inferiore, i neri.

Frannie Langton è per questa ragione un romanzo gotico, come Frankenstein? No. Ma è un romanzo gotico “moderno”, non come quello settecentesco di Walpole, Ann Radcliffe e M. G. Lewis, seppure racconti anch’esso le canoniche sventure di una fanciulla in contesti orripilanti (ma senza lieto fine). E neppure come il gotico ottocentesco, quello che si affaccia in Jane Eyre, o in Cime tempestose, o nei racconti di Poe e in certe pagine di Dickens.  È il gotico che nel Novecento ha trovato la sua espressione più affascinante nella scrittura di Daphne Du Maurier, o in Narciso nero di Rumer Godden, o, per certi aspetti, in Lolly Willowes  di Sylvia Townsend Warner  e Tornata alla terra di Mary Webb (mentre, per arrivare ai nostri giorni, La donna in nero di Susan Hill e Melmoth di Sarah Perry sono più vicini al gotico giocato sul sovrannaturale).

La componente gotica si ripropone quando Frannie viene portata a Londra da John Langton (che, scopriamo, è suo padre) e donata allo “scienziato” George Benham, un membro della Royal Society che aveva in parte suggerito e seguito gli esperimenti di Langton per poi prenderne le distanze. La moglie di Benham, Madame Marguerite, francese, raffinata, colta, grande consumatrice di laudano (un composto di alcol e oppio) stabilisce con Frannie un rapporto intenso, che sfocia in una relazione omosessuale. All’inizio del romanzo Frannie è in carcere: è accusata dell’assassinio dei suoi padroni, uccisi a coltellate. Sporca di sangue, Frannie è stata trovata accanto al cadavere di Madame, addormentata profondamente (anche lei assumeva laudano in quantità). Non ricorda nulla, ma sa che non può avere ucciso la donna che amava.

In carcere scrive la sua storia: così arriverà al presente e a capire, forse, il buio in cui era immersa quando fu scoperto il delitto. Il racconto della sua vita a “Paradiso” ha un altro padre, Il grande mare dei Sargassi di Jean Rhys, sia per quanto riguarda il personaggio della serva Phibbah, che rimanda alla figura della nurse Christophine, sia per quanto riguarda Miss-bella che rimanda ad Antoinette (che nel romanzo di Rhys è la moglie folle del Rochester di Jane Eyre). Un altro padre, dichiarato nel testo stesso, è Defoe, in particolare se pensiamo alla storia delle sventure di Moll Flanders. Ma Le confessioni di Frannie Langton  è figlio di un ulteriore padre ancora (se non è scorretto parlare di molti padri a proposito del libro di una scrittrice): e cioè del legal thriller. Nel testo ci sono infatti gli interrogatori e le deposizioni di testimoni ed esperti, che vanno a intrecciarsi con il procedere della ricostruzione della propria vita da parte di Frannie, dall’infanzia e adolescenza in Giamaica al suo recarsi di notte nella stanza di Madame nel periodo londinese. Ma non salta mai fuori un ricordo, un particolare, un indizio, che possa consentire al suo avvocato di salvarla dalla forca. E quando finalmente qualcosa salterà fuori, e il lettore potrà capire cosa è accaduto, quel qualcosa non basterà a salvarla.

Questo è un romanzo dalla costruzione ingegnosa, con salti temporali gestiti in modo brillante, per cui è il modo stesso del procedere della narrazione che è creatore di suspense. Frannie Langton si avvale poi di un linguaggio di grande efficacia comunicativa, svariando dai toni della quotidianità a quelli della conversazione colta, dalla tecnicità ed essenzialità legalistica alla parlata popolaresca, dalla sottigliezza delle parole a cui è affidata la riflessione su di sé all’intensità di quelle amorose e passionali di Frannie e Madame, in una varietà di registri linguistici resi con duttilità e maestria dalla bella traduzione di Federica Oddera. Frannie Langton non sarà un capolavoro;  ma, come si dice in pubblicità, “è un libro che dovete leggere”.

paolo.bertinetti@unito.it

P. Bertinetti insegna letteratura inglese all’Università di Torino