Debuttanti. Una rubrica sugli esordi | Quarto episodio

a cura di Matteo Moca

Col Salone del Libro alle porte, eccoci arrivati al quarto appuntamento con Debuttanti, la rubrica che, con una cadenza non definita, va a curiosare tra le maglie delle nuove scritture e commenta gli esordi di autori italiani, segnalando di volta in volta una serie di libri interessanti. Gli esordi, è ovvio, sono molti ogni mese, di conseguenza questo spazio non pretende in alcun modo di coprire l’ampiezza di queste uscite, ma si affida, com’è naturale che sia, alle preferenze e alle predisposizioni di chi scrive. Buona lettura!

 

Alessandro Ceccherini, Il mostro, nottetempo

Decidere di dedicare il proprio romanzo d’esordio a una delle vicende più complesse e controverse della storia giudiziaria italiana è una scelta coraggiosa, a maggior ragione quando questo caso ha a che fare con i fatti del Mostro di Firenze, una o più persone responsabili di quattordici omicidi accertati e di altrettanti sospettati, con l’unico comune denominatore nella pistola che ha sparato. La decisione è ancor più interessante qualora l’autore decidesse, come in questo caso, di non dimenticare tutto ciò che, a livello di società, si muove negli anni in cui agì il Mostro di Firenze, mostrando con disarmante semplicità la relazione, tutt’altro che segreta, tra il clima politico-sociale e le inquietanti e violente azioni omicide. Il mostro di Alessandro Ceccherini si adagia proprio all’interno di queste coordinate e riempie tali linee temporali, che partono dagli anni Trenta per giungere praticamente ai nostri giorni e che si fondano su un certosino, ma non ingombrante, lavoro di ricerca, con una galleria ricca di personaggi portatori di incertezze, sentimenti di superiorità, ricchezza, povertà, ingenuità e cattiveria, uomini e donne che si collocano perfettamente, come pezzi di un puzzle irrisolvibile, sugli spigoli della vicenda narrata. Ma gli incastri sono anche quelli che sapientemente Ceccherini cerca di far combaciare tra la verità documentale degli archivi e dei processi e la capacità della narrazione di riempire gli spazi bianchi e i vuoti che regolarmente, e in questa storia al massimo livello, si presentano. Il mostro è un romanzo scuro e calibrato che rivela molto più del caso giudiziario in senso stretto, provando a indagare con i lanternini della ragione e della scrittura il nero abissale che il mostro, qualsiasi mostro e in ogni momento, può spalancare.

Fosca Salmaso, Mia sorella, Il Saggiatore

Mia sorella è una storia che nasce e vive a stretto contatto con l’elemento acquatico, che finisce per avviluppare ogni spazio fisico e mentale dei protagonisti di questo romanzo. La protagonista Alice ha una sorella gemella, Matilde, che muore tragicamente in un incidente in mare, lo stesso mare che le aveva sballottolate sul traghetto quando stavano per nascere con la madre e il padre che, fuggiti da una cena al ristorante, correvano verso l’ospedale, proprio mentre mangiavano pesce, cibo che la madre di Alice e Matilde non toccherà più dopo quel giorno. Non c’è bisogno di fare riferimento alle teorie di René Zazzo in Il paradosso dei gemelli per credere nel legame particolare e spesso oscuro che caratterizza i rapporti tra gemelli (splendidamente raccontato da Michel Tournier nel suo capolavoro Le meteore) e in Mia sorella Salmaso prova a scandagliare proprio questo spazio complesso giocando sull’elemento della morte di Matilde come incubatore e generatore di traiettorie centrifughe che finiscono per mescolarsi con elementi soprannaturali legati a uno statuto della realtà che mescola con omogeneità il mondo dei vivi e quello dei morti. A interpretare questo ruolo di mediatrice tra questi mondi lontani e collegatissimi è Egle, una sorta di vestale che piomba improvvisamente nella vita di Alice e sua madre e che anche attraverso il sogno e la malattia rigenera le inquietudini legate all’acqua e scatena stati semi-allucinatori in cui provare a trovare uno sfondo possibile per il reale.

Cristina Venneri, Corpomatto, Quodlibet

In L’uomo che dorme, Georges Perec raccontava l’assopimento esistenziale di uno studente che la mattina di un esame, quando suona la sveglia, accetta l’indifferenza come via privilegiata per l’anestetizzazione della vita e il ritiro dal mondo. Torna in mente la storia raccontata da Perec, e altri prima e dopo di lui, leggendo il primo romanzo di Cristina Venneri: protagonista qui è una ragazza, Marta, che spostatasi in Sicilia per frequentare l’università vive una incapacità simile, quella di fare ciò per cui si è trasferita preferendo ciò che la compagnia e l’ambiente offrono. Quello che rende interessante questo racconto di Venneri, oltre a una scrittura che mescola con bravura i registri più diversi, è la capacità, tutt’altro che didascalica e invece perfettamente naturale, di fare di Marta un epifenomeno delle difficoltà che un’intera generazione si trova a dover affrontare. Corpomatto poi si riallaccia alle narrazioni famigliari che in molti esordi fanno capolino, ma anche in questa situazione la scrittura di Venneri riesce con linearità a collegare il tema a quello più generale di una generazione senza punti di riferimento non fermandosi semplicemente alla ricerca della protagonista di un passato rivelatore. Tornata a Taranto dopo il fallimento universitario, soffocata dentro un perimetro che non la lascia vivere, Marta dovrà proprio ripartire dalla storia famigliare e da ciò che brulica nel suo mondo originario per provare a trovare ciò che le manca nel presente, correndo anche il rischio estremo di far morire il proprio corpo.

Carmelo Vetrano, Il censimento dei lampioni, Laurana Editore

Pubblicato nella bella collana “Fremen” diretta da Giulio Mozzi (che ha già pubblicato gli ottimi libri di Manuela Mazzi, Breve trattato sui picchiatori nella Svizzera italiana degli anni Ottanta, e di Arianna Ulian, La questione dei cavalli), l’esordio di Carmelo Vetrano si inserisce nell’alveo delle storie che raccontano viaggi di ritorno, rimpatri più o meno desiderati che si offrono però come occasioni per la riscoperta di vecchi legami famigliari. Il censimento dei lampioni è proprio il lavoro che Sebastiano, rientrato in Salento dopo un periodo a Berlino contemporaneamente alla dolorosa separazione con la moglie, compie con il padre Bruno per una società elettrica che affida loro il compito di controllare i lampioni, solitari, della zona. Il romanzo è allora il racconto on the road dei viaggi del padre e del figlio, del loro rapporto complesso e irrisolto (il padre aveva lasciato la moglie abbandonando così anche i figli) e dello sguardo nuovo sui luoghi da cui Sebastiano proviene, spazi che acquisiscono forme e funzioni nuove attraverso un’inedita prospettiva dello sguardo. Ma la vicenda di Sebastiano è segnata anche da alcune importante figure femminili, la madre o la nuova ragazza che conosce e di cui si innamora (e che lo porta a scrivere queste relazioni sui lampioni, che sono i capitoli del libro, con uno strano slancio letterario), tutte direzioni narrative che, assieme agli spostamenti temporali e geografici, Vetrano riesce sempre a controllare con naturalezza.