Fernando Bermúdez – La metà del doppio

recensione di Simone Innocenti

Fernando Bermúdez
La metà del doppio
trad. it. di Giovanni Barone

€ 14, pp. 140
Spartaco, Santa Maria Capua Vetere (CE) 2020

La prima cosa che accade è questa: dopo averlo letto, tornerete – giusto qualche ora dopo – a rileggerlo. Perché – è infatti questa la seconda che accade – sceglierete il superlativo assoluto dell’aggettivo qualificativo più alto per accostarlo a questo libro, ma non basterà. Perché questo non è un libro, ma una bomba a mano, anzi no. È un perfetto manufatto che mette in collegamento lo scrittore e il lettore, che però viene travolto da uno stupore inusuale, è una valanga, rischia di travolgerlo. Ecco perché si torna a rileggere, qualche ora dopo, La metà del doppio ed ecco perché si rimane doppiamente basiti: la seconda lettura sembra sempre la prima. La metà del doppio è, dunque, uno di quei rari libri – si contano sulle dita delle mani – che è una testa di ponte tra chi legge e la molteplicità delle sue emozioni.

Fernando Bermúdez, scrittore argentino di 58 anni che vive a Stoccolma ed è professore universitario di linguistica moderna, ne aveva 31 quando dette alle stampe questi sette racconti: l’anno successivo vinse il Premio Cortázar, tre anni dopo il Premio Rulfo. Nella strana e meravigliosa produzione dei racconti – l’arte più difficile e alla fine più completa, per dirla, molto sommariamente, alla Manganelli – Bermúdez mette i brividi. Nei suoi sette racconti ci trovi sì l’amore e l’odio, la passione e la grettezza, la gioventù e la vecchiaia, ma ne rimani avviluppato senza un minimo di presentimento: le parole scoppiano in faccia, le emozioni deflagrano improvvise, le storie detonano voraci. Mezzanotte passata, che è la vicenda di un uomo infermo su un letto che ricorda il suo amore con una donna bellissima, è molto di più di questa vicenda stessa: la voce del protagonista diventa un mondo, essa stessa diventa una storia che a sua volta si trasforma in un modo di narrare. A differenza, ad esempio, di Blomma (terzo racconto della raccolta) che si fa modo narrativo per raccontare una storia, quella di un uomo che cerca – assieme al lettore – una donna di cui si conosce solo il nome. Giovanni Barone, che ha curato la traduzione e anche la postfazione, ha fatto un lavoro eccelso restituendo al lettore la complessità di una lingua che diventa ora poesia, ora pungolo.

La scrittura di Bermúdez si annovera tra quelle dei giganti della letteratura internazionale. E va tracciata non soltanto in Rulfo o in Cortázar, ma presa per quello che è: una macchina piena di meraviglia che è affilata come quella di Jenet, architettata come quella di Perec, pensata come quella di Calvino (e più precisamente del suo Se una notte d’inverno un viaggiatore), asciutta come quella di Carver, immaginifica come quella di Savinio. E c’è da dire un’altra cosa: questo libro di Bermúdez – e non si dovrà mai finire di ringraziare Edizioni Spartaco, la realtà editoriale indipendente che ne ha capito l’importanza – va messo sullo scaffale accanto agli altri due autori contemporanei di racconti: Georgi Gospodinov e Christos Ikonomou. Ci sarebbe molto altro da scrivere, e si dovrebbe rendicontare la scrittura di Bermúdez su una linea d’onda letteraria capace di captare i grandi temi della scrittura e dell’umanità assolutamente in anticipo rispetto agli ultimi trent’anni della produzione narrativa. Un po’ come Laurent Mauvigner, insomma. Ma il discorso sarebbe troppo lungo e porterebbe via tempo prezioso alla lettura di questa meraviglia che va sotto il titolo di La metà del doppio.